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domenica 2 gennaio 2011

"La donna allo specchio”, un capolavoro in prestito dal Louvre a Milano. Tutti in coda per il quadro di Tiziano


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FONTE:TISCALI NOTIZIE
DI MELISA GARZONIO

Specchio delle mie brame…chi è la più bella? Domanda retorica, la provocante sconosciuta che intinge il dito indice della mano sinistra in un vasetto di balsamo profumato, mentre con la destra si strapazza una ciocca di capelli (di quel biondo indefinibile che i posteri chiameranno ‘tizianesco’) lo sa bene di essere la più bella del reame. La conferma è lì davanti a lei, nel mistero della sua seducente immagine riflessa. C’è un uomo nell’ombra, presumibilmente molto innamorato, che con una mano le porge uno specchio piano, mentre con l’altra ne manovra uno più grande, convesso, con una preziosa cornice di legno, sistemandoglielo dietro la nuca, in modo da dilatare lo spettacolo di tanta beltà in una visione allargata, bidimensionale. Ne nasce un intrigante gioco di riflessi in cui la fanciulla può apprezzarsi anche di spalle, quasi fosse una scultura. Vanitas vanitatum.Il quadro è “La donna allo specchio” di Tiziano Vecellio, capolavoro della torrenziale giovinezza del genio cadorino, che al tema della sensualità, più o meno spudorata (“Nuda che faria venire il diavolo addosso”, fu il commento di Monsignor Giovanni Della Casa davanti all’intensità erotica della “Danae Farnese”) si è dedicato con fervida fantasia fino al crepuscolo della sua sfolgorante carriera, quando il pittore della gioiosa sensualità cede il passo al Grande Vecchio meditabondo e saturnino. Tiziano con gli anni acquisisce spessore e colore, come il vino di qualità.Se lo sfarzo delle tinte della giovinezza è abbagliante, un omaggio alle armonie liriche apprese da Giorgione, con la maturità che coincide con l’affermazione nelle corti di Ferrara e di Mantova, e con la nomina a pittore ufficiale della Serenissima, e più ancora dopo il 1570, negli anni che precedettero la fine (muore il 27 agosto 1576), Tiziano reinventa la sua tavolozza; alle pennellate sostituisce strisciate fosche di colore, steso con le mani, lisciato coi polpastrelli, una tecnica estrema che riflette il senso d’inquietudine e di smarrimento di una vecchiaia solitaria, funestata da mille acciacchi, problemi di famiglia e di denaro: un figlio ribelle, una figlia illegittima alla quale garantire una certa sicurezza, i debiti con la Magnifica Comunità di Cadore, il recupero di crediti, le dispute col Fisco veneziano.

Lo straordinario dipinto femminile, eseguito tra il 1513 e il 1515, da un Tiziano poco più che ventenne - se nato, come si crede, negli anni Ottanta del Quattrocento - è oggi conservato al Museo del Louvre che, furbescamente, lo espone in una sala accanto alla più chiacchierata delle vanitose, la Gioconda di Leonardo. Chi sarà la più bella? Specchio delle mie brame. Dal 3 dicembre la bella di Tiziano è in prestito temporaneo al Comune di Milano, che la presenta in Sala Alessi, a Palazzo Marino, ben protetta da una teca di cristallo da 450 chili, e come sospesa su una quinta di tela bianca che fa risaltare l’incarnato splendente e la chioma dorata della ‘jeune fille’. L’allestimento, di Valeria Merlini e Daniela Storti, quasi uno scenario teatrale dove luce e colore dialogano con la bellezza della donna allo specchio, rievocano l’intimità della toilette dove il pittore l’ha raffigurata, e avvicina il visitatore al suo stile seducente che farà proseliti nei secoli successivi, fino a Manet e agli impressionisti. Chiusura il 6 gennaio, ingresso libero, visitabile anche sul sito: www.cultura.eni.com; catalogo Skira).

Dietro la modella. E’ ancora mistero fitto sull’identità dei due personaggi ritratti. Alcuni vedono nella donna l’amante di Alfonso d’Este o di Federico Gonzaga. Altri pensano si tratti di Tiziano e della sua futura sposa Cecilia Soldano, sposata nel 1525 dopo aver avuto da lei due figli maschi, Pomponio e Orazio, e morta dando alla Luce Lavinia nel 1530. Altre interpretazioni invece, vedrebbero nel dipinto nient’altro che una rappresentazione allegorica della Pittura, in grado di far conoscere, attraverso i virtuosismi del doppio e del riflesso, quello che all’occhio è proibito vedere.

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