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mercoledì 29 novembre 2023

Cristina Donadio, al Teatro Ghirelli di Salerno, in “Marguerite”

 

Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Il 24 ed il 25 novembre, al Teatro Ghirelli di Salerno, Cristina Donadio è stata di scena con “Marguerite”, un lavoro scritto e da lei interpretato con Giuseppe Alfinito. Ad accompagnarla, la Zurzolo ensemble con: Marco Zurzolo al sax, Marco de Tilla al contrabasso e Pino Tafuto al pianoforte. I costumi sono di Alessio Visone, le luci di Paco Summonte, le foto di Fabio Donato ed il video di Giorgio Pinto.

La Marguerite di Cristina Donadio, sta per la scrittrice francese Marguerite Duras ed il pezzo si rifà a “L’ Amante”, opera autobiografica, pubblicata per la prima volta, nel 1984, anno in cui ottiene, proprio per quest’opera, il premio letterario Goncourt, nonché la nomination al Nobel per la letteratura.

Cristina Donadio, nata a Napoli 63 anni fa, è attiva sulla scena ed in TV da oltre un trentennio, sia come autrice che come regista.  E‘ di gran vanto tra gli attori napoletani; spesso è stata diretta dal regista Pappi Corsicato, in ruoli di donna volitiva. In televisione ha raggiunto notorietà nell’interpretazione di Scianel per la serie Gomorra. Negli anni ’70, a soli 16 anni, rimane incinta, una vicenda umana che le renderà difficile l’adolescenza. Negli anni ’80 si cimenta come regista di un particolarissimo tipo di spettacolo: il teatro di figura, cioè l’arte teatrale che utilizza burattini, marionette, pupazzi, ombre, oggetti, privilegiando, così, un linguaggio visivo e sensoriale. Come autrice indirizza la sua ricerca a personaggi femminili che delinea accuratamente. A soli 27 anni deve affrontare un lutto terribile, la morte del marito, l’attore napoletano Stefano Tosi, 29 anni, travolto da uno spaventoso incidente automobilistico, era alla guida, nel quale perde la vita anche il giovane e promettente drammaturgo, Annibale Ruccello, autore tra l’altro, di un memorabile pezzo “Ferdinando”. Nel 1987/88 Cristina debutta con “Frammenti di donna”, tratto da l’Amante di Margherita Duras, trent’anni dopo ritorna, di nuovo, con uno studio sulla scrittrice francese.

La scena è buia, al centro del palco seduta c’è lei, abito nero e fumo di una sigaretta, aspirata con voluttà. Recita in modo sommesso, la sua voce è un soffio, superata abbondantemente dall’ ensemble di Marco Zurzolo, che da solo varrebbe lo spettacolo. Le parole si susseguono, sono pensieri solitari, frammezzati dalla lettura di brani della scrittrice, mentre dietro di lei, scorrono le immagini di Marguerite sorridente, in compagnia ed a passeggio sulla spiaggia. La scrittrice, tra i 15 e i 17 anni, con la madre ed i fratelli vive in Indocina, per poter sopravvivere alla fame inizia una storia con un ricco e giovane cinese. Con lui si comporta da prostituta, accetta i suoi soldi ad ogni incontro, pensa che così facendo di essere al riparo di una qualche implicazione sentimentale, una sorta di emancipazione e d’iniziazione, ma la sua spregiudicatezza non l’impedisce d’innamorarsi e di restarci male quando la storia viene interrotta dal padre di lui e da sua madre, per ragione di casta. Queste le dolorose pagine che Cristina legge, un mantra, per lei la storia della scrittrice, che ritorna ogni volta negli approfondimenti creativi. La selezione dei brani operati dall’attrice è un po' confusa e non rendono fino in fondo la stesura paratattica della scrittrice che, pure rende viva la narrazione con le sole proposizioni principali (sono qui, mi vedo, ti sento…). In scena, l’artista, appare una donna indifesa, per niente volitiva, sofisticatamente elegante, quando canta in francese India Songh, ma niente di più. Il sapore retrò dello spettacolo è innocentemente dinanzi al pubblico, una Juliette Greco rispolverata, con la pretesa intellettualistica di recitare in lingua, per stupire ancor più il pubblico, che invece ha apprezzato e come poteva essere diversamente, il sax di Marco Zurzolo ed i bravi musicisti al seguito. Tutto lo spettacolo è sembrato volesse stupire forzatamente la platea, con effetti particolari, bastava, invece, essere semplicemente se stessa, con la sua umana storia, senza nascondersi, ancora una volta, dietro Marguerite Duras

Maria Serritiello

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giovedì 23 novembre 2023

Quel mostro di bravura di Giulio Della Monica


È di Salerno, Giulio Della Monica, l'attore che ha interpretato la figura di Danilo Restivo, nella fiction RAI: “Il caso di Elisa Claps”. Un personaggio scomodo, inviso dal pubblico, per ciò che ha rappresentato nella realtà della famiglia Claps, per la povera Elisa e per tutti gli italiani. Viso pulito, sorriso comunicativo, statura non perfettamente longilinea, altezza 1,80, è l’esatto opposto della figura interpretata. Un’impressionante caratterizzazione, la sua, nei gesti pigri, nella voce roca, nello sguardo perso, nel viso inespressivo, nella lentezza della camminata, nell’indolenza di ogni cosa, il perfetto sgusciante assassino! La sua docilità ferina e l’ubbidienza al padre, come sottoposto, Giulio, poi, le ha rese in modo eccezionali, suscitando, a volte, anche un sentimento di umana pietà. Forse è proprio questa la grandezza della sua interpretazione, nonostante sapessimo tutta l’orrenda verità, un qualche pensiero si è avuto, ma ciò è da addebitare, quasi esclusivamente, alla bravura dell’interprete. Il trucco, poi, ha fatto il resto, Giulio, con i capelli radi, ingrassato e ricoperto da vestiti improvvisati, è stato l’informe sacco che si muoveva per ogni dove lo portasse la sua voglia di uccidere. Ancora risuona nelle orecchie dei tanti telespettatori, 3.005.000, la prima serata, il lento parlare di Giulio, nel riproporre quella di Danilo Restivo, insomma, un “mostro” di bravura, per l’appunto.

 

Giulio Della Monica, 33 anni, occhi castano-grigi, colore capelli castano scuro, pettinatura corti lisci, ha studiato presso Scuola del Teatro Stabile di Genova, vive stabilmente a Roma.

Maria Serritiello

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Ruoli interpretati

Romeo e Giulietta: Tebaldo

"la guerra di troia non si farà"

Teatro Stabile di Genova

Ulisse

Co-protagonista 

Detto Gospodin di Lohle

Co-protagonista

Le baccanti" di Euripide

 

 




 




giovedì 16 novembre 2023

Gea Martire, con “Della Storia di G e G”, sua la drammaturgia, al Teatro del Giullare di Salerno

 



Gea Martire

Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Due giorni in compagnia dell'inimitabile Gea Martire, al Teatro del Giullare di Salerno, con “Della Storia di G e G”, un pezzo scritto da Maria Grazia Rispoli, con la drammaturgia della stessa attrice e lo spettacolo si fa di alta qualità. La storia di per sé è semplice, la protagonista, nel giorno della morte del padre, ha un colpo di fulmine per il responsabile delle pompe funebri, tal Gennaro Gargiulo di una bellezza esasperante, ma di una parlata e di modi rozzi assai. Tutto sembra capovolgersi in lei, la donna assennata, la professionista impegnata, la compagna devota e la figlia compita cedono al desiderio lascivo di quell’uomo, così improvvisamente forte, che il dolore della perdita del congiunto ed il conseguente funerale passa in second’ordine. Eppure deve contenersi, deve essere incoraggiante rassicurare la vecchia madre, è là per questo, lei che vive altrove ed è tornata per onorare la salma e ricevere le condoglianze del vicinato, dei parenti e degli amici. Nulla è più importante per lei che guardare, le spalle, l’altezza, le braccia, le movenze di Gennaro, tanto da provare fastidio per tutta quella gente, accorsa a rendere omaggio a suo padre. Un dualismo della sua anima si palesa in scena, Gea interpreta, indifferentemente e con una bravura la donna presa dai sensi e la puritana che stenta a resistere. Il funerale ha una sua scadenza, deve immediatamente trovare altre occasioni d’incontro, per soddisfare il desiderio dei suoi sensi, un po' difficoltoso data la materia di cui si occupa il necroforo. A tratti il pezzo, oltre alla frenesia spavalda e la conseguente ritrosia bigotta, di una bene educata, è anche divertente, ci sono battute che suscitano ilarità anche se la funebre circostanza meriterebbe il contrario.  

I cambi di voce, poi, per rappresentare lui, con il suo dialetto infestante, i propri balbettamenti per l’insicurezza della sua condizione, il richiamo non elegante del padre, nel ribadire che non aveva la testa apposto, la voce fastidiosa della madre, non sono altro che la conferma della bravura dell’attrice, che fa delle caratterizzazioni del recitato, i momenti più apprezzati della sua performance. È l’ennesima sua prova d’artista che la fanno tanto amare dal pubblico del Giullare, dal quale era lontana da ben10 anni

La scena, arredata semplice, è al buio, una sedia, con una serie di santini e lumini accesi, funge da catafalco, un’altra, invece, si trasforma in carro funebre, per l’accompagnamento al cimitero e macchina per l’unica passeggiata, che riesce a fare con Gennaro. Con l’abito che indossa, una semplice redingote, di colore grigio scuro, riesce ad essere vertiginosamente sexy, aiutata anche dalla folta capigliatura leonina. Immensa Gea, non far trascorrere tanto tempo, prima di tornare!

Maria Serritiello

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martedì 14 novembre 2023

Al Caffè dell'artista di Salerno nel centenario della nascita di Don Milani "I CARE: la trasversalità del prendersi cura nella relazione educativa"

 

Fonte :www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Il 2023 si rivelato un anno ricco di centenari da commemorare. Al Caffè dell'artista di Salerno, lunedì 13 Novembre, la Prof. ssa Antonietta D'Episcopo,  ha ricordato  la figura  di Don Lorenzo Milani, a cent'anni dalla sua nascita, con un'interessante,quanto erudita conversazione

In sintesi il suo intervento



                                                    Antonietta D'Episcopo

Sono convinta che il modo migliore per commemorare Don Milani sia quello d’individuare gli elementi di attualità derivanti dall’espressione  I CARE, m’interessa, per te ci sono, sono al tuo fianco, puoi contare su di me, che assunta come bussola di orientamento, implica responsabilità e coerenza nell’azione quotidiana dell’insegnante, caratterizzandone lo stile, l’approccio didattico e comunicativo. Dalla scuola dell’infanzia all’Università la mediazione culturale si basa su una intenzionale azione di cura, sul farsi  carico della totalità della persona, di tutte le sue dimensioni, potenzialità, bisogni materiali e non materiali per fare acquisire un bagaglio di competenze, che si avvicini sempre più al saper fare, al saper pensare con la propria testa, al saper essere.

Fare scuola significa svolgere un compito civile di altissimo valore: insegnare a non obbedire acriticamente, a passare da “curvàti ad alzati” perchè solo insieme, in piedi, si può incominciare a trasformare il mondo trasformando noi stessi.

Ogni realtà scolastica, per evitare di diventare uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile, “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”, dovrebbe essere concepita come un laboratorio permanente di ricerca e di creatività animato da una relazione educativa, in cui i saperi vengano utilizzati come strumenti di umanizzazione attraverso l’intreccio tra alfabetizzazione strumentale ed  esistenziale.

Il prendersi cura, di fatto, acquista e trasmette  senso attraverso la coerenza delle modalità operative messe in atto, come dimostra la scrittura collettiva promossa da Don Milani per alimentare il confronto democratico, la condivisione e la corresponsabilità attraverso l’esercizio del pensiero critico ed un costante allenamento al saper discernere.

A Barbiana i ragazzi potevano leggere tutti i giorni  due giornali, uno di destra ed uno di sinistra, per confrontare punti di vista differenti, esercitare il senso critico ed esprimere la loro personale opinione. Ciò che caratterizza l’azione educativa di don Milani è l’autogestione pedagogica degli apprendimenti e la capacità di auto-correggersi. L'insegnante è un regista che favorisce la discussione, lo scambio,  la riflessione individuale e collettiva.

Conoscere e saper utilizzare le parole, il loro significato, e la loro potenzialità comunicativa, è la strada maestra, che conduce alla libertà, permettendo, attraverso il principio costituzionale del diritto alle pari opportunità, e la visione evangelica della vita, il superamento dell’idea imprigionante di destino.

Solo attraverso una significativa esperienza scolastica le tante Barbiane ancora esistenti, gli emarginati, gli oppressi, gli ultimi, avranno la possibilità di emanciparsi, di diventare protagonisti, di esprimere pienamente la propria sovranità con spirito solidale e volontà di partecipazione attiva alla costruzione e difesa del bene comune, restituendo  loro il  futuro, di cui continuano ad essere derubati.

Curriculum Antonietta D’Episcopo 

Docente, formatrice in ambito educativo-didattico, ha sempre considerato la scuola come reale laboratorio d’umanità. Nei suoi diversi articoli, pubblicati su riviste specializzate e testate giornalistiche locali e nazionali, ha indagato il delicato equilibrio tra dimensione personale e comunitaria e la sinergia, autonomia, responsabilità e partecipazione, che s’istaura nella complessa interazione tra scuola, famiglia, cultura e società. È stata referente nazionale per la formazione dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC), associazione professionale fondata nel 1945, qualificata dal MIUR per la formazione.

Dal 2000 è componente del Coordinamento nazionale per le politiche dell’infanzia e della sua scuola costituito dalle associazioni professionali “storiche” e dalle maggiori organizzazioni sindacali.  Dal 2005 al 2008 è stata membro del gruppo dei formatori per la piattaforma BDP INDIRE, gestendo un numero considerevole di forum e di laboratori on line, promossi dal Miur, per la formazione a distanza dei docenti in servizio e dei neo assunti immessi in ruolo, appartenenti a scuole di ogni ordine e grado, garantendo un approccio innovativo, anche attraverso un uso mirato degli spazi informatici, al fine di un’efficace interazione comunicativa.

Attualmente continua a svolgere il ruolo di formatore/coordinatore, a livello nazionale e territoriale, con gruppi di docenti e dirigenti scolastici, istituti comprensivi e reti di scuole dell’infanzia, primaria e secondaria, sui temi della continuità, della valutazione, dell’autoanalisi d’istituto, della didattica delle discipline e dell’inclusione nell’ottica della unitarietà dell’apprendimento e della trasversalità dei saperi. Segue con particolare attenzione i processi innovativi sollecitati dalla costituzione del Sistema integrato “zerosei” e  dagli aggiornamenti alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo, in termini di miglioramento dell’esistente.

Nella pubblicazione particolarmente significativa A. D'Episcopo e C. Giuntini, Progettare la scuola che cambia, Edizioni Cetem, Milano 28 marzo 2006, ha analizzato e proposto piste di riflessione e di azione ai docenti della scuola primaria alle prese con i processi d’innovazione collegati alla riforma del sistema scolastico.

Nel testo Il bambino che unisce. Scuola e genitori in dialogo,scritto in collaborazione con Silvana De Luca, Edizioni Società Cooperativa Editoriale Cultura e lavoro, Roma, maggio 2015, ha analizzato i presupposti su cui costruire un’alleanza scuola-famiglia basata realmente sul superiore interesse dei bambini.

La sua passione educativa si riflette anche nei  testi poetici il cui linguaggio rappresenta per lei preziosa risorsa a cui attingere per incrementare la conoscenza di sé, la scoperta del mondo, la comprensione degli altri, attraverso un dialogo empatico e universale fra persone: tutte simili, ma ognuna diversa.




 

 

 



Sabato11 e domenica 12, il secondo appuntamento di “Che Comico” 2023/2024, al Ridotto di Salerno

 


Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Dopo Salvatore Gisonna, il primo incontro della rassegna di Che Comico 23/24 al Ridotto di Salerno, è stata la volta di Alessandro Bolide, che dal Tempio della risata mancava da un bel po'.

Sì, lui, il ragazzone della porta accanto, con il suo slogan, "Che ce ne fotte", che tanto è piaciuto e piace tutt'ora. Faccia furbetta, sorriso spontaneo e mantra che fregia la sua maglietta, ecco l’inizio del crescente monologo di circa due ore. Ad andare sotto tiro è la famiglia, quella di origine e quella matrimoniale, per subire la sua bonaria cattiveria dei vizi e delle virtù dei vari componenti.

Per la madre, Alessandro ha un affetto particolare, nella casa natia è stato fino a 38 anni, prima di lanciarsi nella vita matrimoniale e le sue tante premure sono nostalgicamente, ora, desiderate invano. All'inizio ha trovato difficoltà, la mamma a denunciare la sua professione, per lei il figlio ‘attore’ non era qualcosa di cui vantarsi, come lo era per il primogenito ingegnere, ma poi aggiungeva, mestamente che nonostante la laurea ' nun tene fatica', invece “Alessandro ha avuto, successo, sta in televisione”

Quando dichiarò al padre, la sua decisione di fare l'attore, interrompendo gli studi universitari, questi non lo prese in considerazione e lo condusse dallo psicologo, ma il risultato fu che il padre considerò il professionista più pazzo di suo figlio e stette alla sua decisione. Per la suocera “la gnora” ha un affetto, si fa per dire, particolare, spaventato per come diventerà sua moglie, in seguito. La donna della sua vita, che appena sposati, ha subito una trasformazione da come si presentava prima del matrimonio, insomma a rimpiangere è sempre “mammà” che lo accontentava in tutte le più impensabili necessità. Entrano nel suo monologo tanti personaggi dello spettacolo, della politica e semplici modi di fare dei napoletani, così diversi da tutto il resto dell’Italia. Sfilano, così, De luca, il governatore della Campania, l’ex sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino ed Antonio Bassolino, ma anche Berlusconi, Ilary Blasi e Francesco Totti, Fassino, i virologi, la nostra vita durante il lockdown, la dad dei nostri figli, i vaccini, la benzina in aumento, la guerra, il clima, il piano di evacuazione, Giulietta e Romeo versione napoletana, così come i marziani dovessero trovarsi a Piazza Garibaldi, usciti dalla navicella spaziale.  Un monologo esilarante, scritto ed assemblato con grande maestria da sé, ma è “che ce ne fotte” a sottolineare che si può vivere bene anche senza i tanti orpelli della vita quotidiana.

La sua storia artistica risale agli anni scolastici, quando faceva divertire compagni e professori con le sue performance, testando l’indice di gradimento, fino a giungere a considerare di fare l’attore come stabile lavoro. Molto ha influito, nella sua scelta definitiva, la famiglia “Tortora”, una dinastia importante per il cabaret che conta, offrendogli la possibilità di esibirsi nelle manifestazioni più prestigiose del salernitano.

La consacrazione di comico televisivo, Bolide, l’ha ottenuto all’interno del citato spettacolo “Made in sud”, registrato al teatro “Tam” di Napoli e trasmesso in prima serata su Rai 2. Sempre grazie a questo spettacolo, è stato scelto da Carlo Vanzina per affiancare Raul Bova, nella parte del tassista, nel film “Ti presento un amico”. In seguito è lo stesso Bova ad offrirgli di partecipare alla fiction “Come un delfino”, da lui prodotta. Ha partecipato allo sceneggiato, su canale cinque, dal titolo “Pupetta Maresca”, con la partecipazione di Manuela Arcuri e per la Sperling Kupfer Edizioni ha scritto un libro, con discreto successo di vendita, dal titolo, che altro se no, “Ma che ce ne fotte”.

Due ore di spettacolo di grande godibilità, con la risata spontanea che viene facile, perché lui sa porgere e dialogare, con disinvoltura. Prima di lasciare il Ridotto, Alessandro Bolide regala ai presenti tre barzellette molto divertenti

Maria Serritiello

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sabato 11 novembre 2023

Al Teatro del Giullare, il 10 Novembre, è andata in scena la poesia di Claudio Tortora e Giovanni Caputo, con Renata Tafuri.

 


Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Uno spettacolo speciale, ieri sera,10 novembre, al Teatro del Giullare, il primo dei tre in tournée, nei teatri Salernitani: Arbostella, Ghirelli e Delle Arti, organizzati dal duo, per l'occasione, Tortora-Caputo. Dolcissima rappresentazione perché a recitare è stato il cuore dei due protagonisti con poesie dedicate   all'amore, quello universale! Si sono presentati in scena come due scolaretti, emozionati come al loro primo giorno di scuola, eppure stiamo parlando di Claudio Tortora, il patron del Premio Charlot, per riassumere la sua luminosa carriera di uomo di spettacolo e di Giovanni Caputo trent'anni di teatro, spesi in quello popolare Salernitano, per intenderci, dei gloriosi Sandro Nisivoccia e Regina Senatore. Il teatro per chi lo ama e lo amerà sempre, questo è l'effetto che fa e l'emozione la si leggeva sui loro volti e nelle loro voci. Eleganti nel puntuale completo nero, il rosso della sciarpa di Tortora e del fazzoletto nel taschino di Caputo ci lanciano messaggi subliminali, riconducibili alla loro passione per lo spettacolo teatrale, quello che fa pulsare il sangue nelle vene, una meravigliosa sensazione!

Ed ecco buio in sala ed il recital dei due consumati uomini di teatro ha inizio con musica, luci, video e loro poesie, che hanno letteralmente incantato il pubblico, accorso numeroso, per non perdersi lo spettacolo dei sentimenti ed in verità sono stati esaltati tutti: la famiglia, il mare, la vecchiaia, la città natia, la luna, la pace, i nipoti, ed anche uno sguardo sulla propria fine e l’andar nell’aldilà. Una carrellata di buoni sentimenti capace, di regalarci una pausa all’andar veloce dei nostri giorni.

Il duo nell'allestire lo spettacolo ha previsto uno spaccato di gentilezza con la presenza dell'artista Renata Tafuri, che ha impreziosito, la lettura con l’ armonia, la gentilezza e l' amorevolezza, il recital.

Una serata magica, incantevole, dunque, attraverso il delicato progetto, riservato interamente ai versi recitati, un genere trascurato da sempre dal mondo dello spettacolo, Per un’ora circa, siamo stati fuori da questo pozzo mondo che si è allontanato spregevolmente dal comandamento del cuore, l'unico in grado di abbracciarci tutti senza inesistenti distinzioni.

Grazie "ragazzi " per aver pensato a raccogliere, in teatro, i fogli della vostra creatività ed a regalarci una pausa di puro piacere come solo la poesia sa fare.

Maria Serritiello

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Regia Antonello Ronga

Luci Virna Prescenzo

Musica Marcello Ferrante

            Claudio Tortora



 



mercoledì 1 novembre 2023

“Destinazione Comicità” al Teatro laboratorio Santa Margherita di Salerno con la Compagnia “Il Dialogo”, in Non ti pago.


Fonte:www.lapilli.eu

 di Maria Serritiello

Secondo appuntamento della stagione teatrale “ Destinazione Comicità”,  del Teatro Laboratorio Santa Margherita di Salerno, con la compagnia “Il Dialogo” nella commedia “Non ti pago” di Eduardo De Filippo.

Due spettacoli, il sabato sera alle 21,00 e la domenica in replica alle 19,15, nei giorni 28 e 29 ottobre e 4 e 5 Novembre

Si Legge sul sito ufficiale della compagnia:

La compagnia Il DIALOGO” nasce 50 anni fa, come aggregazione di giovani appassionati del teatro che spontaneamente associandosi intesero dare vita ad un sogno… “portare in scena le proprie emozioni”. I primi spettacoli allestiti pagarono, ovviamente, lo scotto dell’improvvisazione organizzativa, ma la dedizione alla causa e la forte determinazione dei fondatori tramutarono ben presto il brutto anatroccolo in una struttura dai meccanismi ben oleati…. Ad oggi, l’associazione vanta partecipazioni alle maggiori rassegne nazionali di teatro amatoriale con numerosi riscontri in termini di premi e riconoscimenti ottenuti in contesti ben distanti dalla propria realtà locale.

Non ti pago

Non ti pago è una commedia in tre atti scritta da Eduardo De Filippo nel 1940 e viene messa in scena, per la prima volta, dalla compagnia "Teatro Umoristico I De Filippo", l'8 dicembre 1940 al Teatro Quirino di Roma, con discreto successo di pubblico.

La Compagnia Il Dialogo, dopo il successo riconosciuto, per aver portato già in scena Napoli Milionaria, si cimenta con un altro caposaldo della commedia eduardiana: Non ti pago

Ferdinando Quagliuolo ha in gestione un "banco lotto", ereditato dopo la morte del padre. Egli stesso è un accanito giocatore, in cerca di numeri vincenti, a dispetto della sua ripetuta sfortuna. Un suo impiegato, Mario Bertolini, al contrario, inanella vincite su vincite, suscitando una feroce invidia nel suo datore di lavoro. Mario fa la corte a sua figlia Stella, quasi a sua insaputa, con la complicità della madre Concetta. Un giorno Mario annuncia la clamorosa vincita di una quaterna del valore di 4.000.000 di lire con i numeri (1, 2, 3 e 4) ricevuti in sogno, proprio dal defunto padre di Ferdinando, il quale va su tutte le furie, s’ impossessa del biglietto fortunato e si rifiuta di corrispondergli la vincita, rivendicando il diritto alla somma. La motivazione risiede nel fatto che Bertolini era andato a vivere nell'appartamento dove Ferdinando aveva vissuto fino alla morte del padre, quindi lo spirito di suo padre si sarebbe rivolto a Mario per sbaglio, volendo destinare la vincita a suo figlio. La disputa va avanti per due atti senza che Ferdinando cambi idea, anzi lancia un anatema contro il possessore del biglietto, davanti al ritratto di suo padre, invocando ogni tipo di incidente e disgrazia, qualora i numeri vincenti fossero stati destinati dal padre a Don Ferdinando. A seguito il povero Bartolino viene colto da una serie di disastri tanto da rinunciare al famoso biglietto. La vicenda si conclude con la resa completa del mal capitato al volere di Don Ferdinando, che avendo avuto ragione sul fortunato pretendente di sua figlia Stella, gli concede anche la sua mano e i 4 milioni saranno la dote della giovane figliola.

 

Nel portare in scena un'opera di Eduardo c'è sempre il rischio palese o di eseguire un’ordinaria imitazione o di farne una sbiadita macchietta. Tutto questo non è accaduto, perché la compagnia de Il Dialogo ne ha dato una versione autonoma, lineare e dignitosa. Tutti hanno interpretato il ruolo assegnatogli con puntuale precisione e caratterizzato i personaggi con estrema bravura. Ognuno ha dato alla propria parte il segno preciso di essere stato scelto, non a caso, ma perché adatto al ruolo, cosicché tutti hanno concorso al successo di questo lavoro, perciò bravi in egual misura e non solo, don Ferdinando: Salvatore Maccaro e donna Concetta: Tina Spampinato ma anche quelle dell’avvocato: Giuseppe Trinchesi, dell’uomo di fiducia: Alfredo Lace, della cameriera: Lucrezia Manganelli, di Mario Bertolino: Antonio Mauro, della zia di Bertolino: Liliana De Rosa,  di Stella: Roberta Allocca, delle sorelle zitelle: Rosanna Vecchiarelli e nella duplice veste: Liliana De Rosa , di Don Raffele: Felice De Cicco Su tutti lui, il cocciuto don Ferdinando, Salvatore Maccaro, rivelatosi anche il Papà di Clementino, l’artista di successo, il rapper italiano, amato dai giovani, così come la pacata Donna Concetta, Tina Spampinato è sua la mamma. A volte quando si dice che i figli somigliano ai genitori, questo è il caso, bravi tutti e tre padroni indiscussi del palcoscenico italiano. E’ stata una brillante interpretazione il  Non ti Pago della compagnia, un'opera dal testo divertente e piacevolmente leggero, che Eduardo stesso avrebbe gradito.

La Compagnia “Il Dialogo”, ben conoscendo la responsabilità di interpretare un classico del teatro, ha voluto omaggiare il grande Eduardo, nel finale, con gli attori raccolti intorno al quadro del grande autore, con le spalle rivolte al pubblico, facendo ascoltare voce e parole di Eduardo, un omaggio dovuto e voluto al grande Maestro

Maria Serritiello

 

Regia Ciro Ruoppo

Audio e luci : Ernesto Serpico

Scene: Carmine Ciccone

Direttore di Scena: Roberta Allocca