FONTE: FACEBOOK
La verità
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La verità
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Il 25 Novembre è stata la
giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne,
manifestazioni ovunque per ricordare i diritti inviolabili dell’altra metà del
cielo. Il Teatro del Giullare di Salerno ha manifestato, come sa, ospitando uno
spettacolo, scritto da una donna Tiziana
Beato, collaborata da un uomo Antonio
Mocciola e recitato da una donna Adele Pandolfi. Il titolo
del monologo della durata di un’ora è “Bella
da morire”.
Con parole essenziali ed incisive,
Concita De Luca, rappresentante dell’ordine dei giornalisti
e giornalista ella stessa in Salerno, introduce lo spettacolo del Giullare, reggendo in mano un paio di
scarpe rosse, divenute simbolo della mattanza perpetrata ai danni delle donne.
Indica, con mano accusatoria, nella prima fila, il posto vuoto di una donna se
non fosse stata uccisa. Nel 2021, in meno di un anno, le vittime sono già 109
di numero, di cui 63, morte per mano del partner o di un ex, le uccisioni sono
in aumento dell’8% in questo anno. Il teatro può, con la sua immediatezza,
giungere alle corde più intime di chi lo frequenta e replicare contenuti al di
fuori di esso, cosicché un cambio di passo si potrà ottenere, insieme
al resto, con la cultura. Se si vive solo per soddisfare bisogni primordiali,
perché la conoscenza non ha dirozzato, è più facile sopprimere chi è più
debole: la donna.
Si fa buio in sala e si
va ad iniziare.
La scena scarna evidenzia
una sedia ed una cornice e in angolo una salma ricoperta da un lenzuolo bianco,
adagiata su di un carrello. Per contrasto alla lugubre figurazione, sparata
nelle orecchie è la canzone “Vivere”.
Fa un certo effetto con il morto di fronte, ma con curiosità si ascolta la
canzone di Cesare Bixio del 1937
cantata da Carlo Buti, tratta
dall’omonimo film
Appare lei, Anna Sole,
con un camice bianco da lavoro, il pennello da trucco in mano, chinata sul viso
della salma. Si capisce subito che è una makeup artist of the dead. La donna dà
inizio, mentre esegue il trucco, ad una serie di riflessioni, ad un sincero
sfogo, tanto dice il morto è morto e sarà benevolo nei suoi riguardi. Si
apprende che è infelice, si sente sola, non ha frequentazioni per via del suo
lavoro, meno che mai un fidanzato, perché credono che porta iella. E’ sfruttata
dal suo principale, interessato solo ai denari ed al guadagno, per cui la
incita a far spendere più soldi alle famiglie dei defunti. Lei crede, invece,
che il cocchio tirato da otto cavalli e la bara in rovere o altro legno
pregiato, felicità del suo cupido padrone, non serva a nulla, se non a
scaricare il senso di colpa dei parenti o a farli apparire migliori di quel che
sono. Lei è una ragazza semplice, ai suoi morti vuole bene, passa con loro
parte della giornata, le fanno tanta compagnia e sebbene prenda le mazzette, se
riesce a vendere un buon funerale, è dispiaciuta. Conosce i clienti da come si
presentano e ciò che le chiedono, ce ne sono di varia umanità: i presenzialisti
i latitanti, gli amatori i camorristi e di ognuno Maria Sole (Adele Pandolfi), ne imita la voce, caratterizzando
da brava attrice qual è, la volgarità, la presunzione, la superbia, il comando,
gli affranti dal dolore. A volte la sua
voce s’incrina, il tono recitativo
diventa tenero per quei morti solitari, quelli che hanno lascito i soldi
del funerale per non dare fastidio, né impaccio economico per chi resta, ecco a
quelli cesella sul viso un maquillage perfetto. Solo ai camorristi non trucca,
nemmeno per una buona mazzetta. Parla con i morti perché non fanno niente, sono
amabili perfino più di sua madre che le
rimprovera di non trovarsi uno straccio di marito. Con i morti, intorno c’è
silenzio, ma lei è contenta perché l’assenza di suoni e parole, la si può
riempire a piacimento. Il monologo va avanti, Maria Sole, ma più precisamente
l’autrice “Tiziana Beato” nelle
parole crude della morte, inserisce elementi favolistici, per cui dire della “petit
mort”, sottintende la morte apparente della Bella addormentata nel bosco. Per fare la tanatoprattore, ovvero il
trattamento post mortem, ha dovuto studiare varie discipline: chimica, anatomia
e concetti di psicologia nei confronti delle famiglie, la sua è una professione
importante, dice. Una sera rientrando dal silenzioso lavoro, trovò la sua casa
inondata da tanto suono, da poco era terminata la duemila quarantaseiesima
puntata di Beautiful, sua madre era dinanzi alla tv esanime, era morta con la
musica. Suo padre l’aveva già lasciata, adesso è sola, perciò parla con i morti.
Il testo significativo ed
intenso è recitato con bravura ed espressività variata da Adele Pandolfi, attrice di consumata professione, basti pensare
alle 296 puntate dalla prima, nei panni di Rita Giordano, nella soap opera Un
posto al sole. E’ anche autrice di un libro Morta di soap pubblicato nel 2001 e nello stesso anno è guest star
in un episodio di Una donna per amico.
Lavora prevalentemente in opere teatrali. E’ un’attrice a tutto tondo, Adele, e
con la sua performance ha valorizzato a pieno l’ottimo lavoro di Tiziana Beato, che è stata coadiuvata
dal drammaturgo e scrittore teatrale, Antonio
Mucciola. La regia è stata affidata a Pier
Paolo Palma, un esordiente talentuoso e l’aiuto regia a Giorgia de’ Conno, le musiche originali
sono di Andrea Boccia. Un buon team,
affiatato e pronto per riscuotere successo
Tiziana
Beato, una vecchia conoscenza sia per me (N.D.R) che per il Teatro del Giullare di Salerno, qui nel
2014 venne a presentare il suo primo libro “La
paura è bugiarda” e ancora in questo stesso luogo il debutto della sua
creatura teatrale “Bella da morire”.
Una prima e della sua preferenza le
siamo grati, che ha avuto, sì, il sapore amicale, ma gli applausi convinti sono
stati tributati al valore intrinseco dello spettacolo.
Maria Serritiello
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di Maria Serritiello
Andrea
Carraro, regista, attraverso pezzi significativi di opere di William Shakespeare, mette in scena
personaggi che hanno avuto a che fare con il potere, senza goderne i privilegi,
anzi vivendo ansie e tormenti imposte dal loro stato. Si scopre così, che
quelli che si pensa essere uomini privilegiati, non vivono una vita migliore,
sottoposti come sono dagli intrecci delle loro vite. Lo spettacolo prende forma
come una sorta di teatro elisabettiano, trasportato in un sala abbandonata ed usata
per fare le prove. La scena, senza essere nascosta dal sipario, appare cosparsa
di oggetti inutilizzati: un ventilatore, sedie capovolte, una scala e al centro
una poltrona di colore beige, priva di un bracciolo, ad indicare il trono,
potere giacente dei re.
Gli attori, nel buio più
totale della sala, si posizionano e sono pronti ad essere per la durata dello
spettacolo: Volumnia (Cinzia Ugatti),
Bruto ed Antonio (Andrea Carraro),
Riccardo II (Amelia Imparato),
Enrico V (Gaetano Fasanaro). Utile
per la comprensione e la fruibilità dello spettacolo sono i trafiletti ad
introdurre l’ambientazione, il tempo, il personaggio ed il punto esatto del
recitato. La ricerca accurata di Andrea
Carraro trasposta in un pezzo teatrale, ha il pregio dell’aver scelto
personaggi, che pur potendo esercitare potere per la loro genia o meriti di
battaglia, sono obbligati a soccombere, così Coriolano, che per essere
confermato console ha bisogno dei voti della plebe, quel volgo a cui ha negato
il grano e che disprezza. Accade che “Il
servo è più felice del suo re” e il si “deve”
popolare, Andrea lo ripeta con grande vigoria, tanto da farlo risuonare in tutto
il Giullare.
“Ascolta
questi buoni consigli, il mio cuore non è incline a piegarsi più del tuo, ma ho
un cervello che sa guidare la collera ad un fine migliore…
E’ Volumnia, ovvero Cinzia Ugatti a parlare, a dare buoni
consigli, a provare a convincere Coriolano che faccia ritorno a Roma, a non
tradire il suo sangue. La fermezza della voce, unita ad una velata
preoccupazione sono porte al pubblico con grande bravura interpretativa e
quando sarà Cleopatra, altro personaggio perdente, non cambia registro,
l’espressione vocale è dolente, è piena di dignità. Fasciata da un abito nero
lungo, che le scopre le spalle, Cinzia Ugatti, con il portamento del suo corpo
dà un impronta personale al personaggio di Volumnia, prima ed a quello di
Cleopatra, dopo. Di fronte ha un rabbioso Andrea
Carraro, nei panni dell’offeso Coriolano, il primo re, dei quattro
rappresentati. E’ se stesso nell’imperiosità della voce e nel cipiglio
altezzoso ed è convincente quando con moderazione pronuncerà l’elogio funebre di
Cesare. Due facce per la stessa bravura di Carraro, che di questo spettacolo è
anche il regista.
Ad uno ad uno, poi, si
ascoltano i pezzi di Riccardo II “Da
qualche tempo” interpretato magistralmente da Amelia Imparato e il sostenuto discorso di San Crispino, recitato da un sicuro ed energico Gaetano Fasanaro. Le atmosfere profonde
dello spettacolo hanno avuto risalto dalle luci della brava Virna Prescenzo
E’ stato un bell’andare
al riascolto delle tragedie di William Shakespeare, le 4 romane da lui
composte, spettacoli sempre più rari nel teatro odierno, per cui respirarne e
viverne le atmosfere è stato oltremodo gradevole.
Maria
Serritiello
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Cantautore, sceneggiatore e regista, aveva 76 anni. A ottobre aveva vinto il Premio Tenco ma non era potuto intervenire all'Ariston perché già malato
Paolo Pietrangeli (Roma, 29 aprile 1945 – Roma, 22 novembre 2021) è stato un cantautore, regista, sceneggiatore e scrittore italiano.
Belli quegli anni, la protesta era finalizzata a migliorare la società che da contadina si trasformava in industriale, per cui le regole andavano riviste.
Si apriva un mondo dinanzi a noi, uscivamo dai luoghi sicuri: casa, famiglia, chiesa e scuola e provavamo ad affrontare il mondo reale con spinte ideali.
Che felicità … che rimpianto!
Poi abbiamo dovuto capire ciò che Tommaso di Lampedusa scrisse nel suo unico libro "Il Gattopardo", neanche visto pubblicato : Cambiare tutto per non cambiare nulla.
Maria Serritiello
CONTESSA
Che roba contessa, all'industria di Aldo
Figlio del regista Antonio Pietrangeli e di Margherita Ferrone, negli anni sessanta inizia a comporre canzoni a sfondo socio-politico, inserendosi ben presto nel filone della canzone di protesta. Dal 1966 fa parte del Nuovo Canzoniere Italiano. Alcune delle sue composizioni divengono estremamente popolari all'interno dei movimenti giovanili di sinistra a partire dalle agitazioni del 1968. Due in particolare si trasformano in veri e propri 'inni', il cui successo perdurerà negli anni a seguire: Valle Giulia e, soprattutto, Contessa, entrambe incise con la seconda voce di Giovanna Marini, altra grande interprete delle canzoni di protesta.
Nel 2008 Ala Bianca pubblica Antologia, doppio Cd che racchiude buona parte della sua produzione. In tutto 48 brani, tra i quali
Valle Giulia è ispirata dagli avvenimenti del 1º marzo 1968, quando presso la facoltà di architettura dell'università di Roma, situata in via di Valle Giulia, avviene il primo grave scontro tra gli studenti che occupano la Facoltà e le forze dell'ordine. Il ritornello della canzone, non siam scappati più, non siam scappati più, "fotografa" quel che avviene effettivamente: il primo esempio in Italia di contrapposizione diretta tra studenti e polizia.
La fama di Paolo Pietrangeli è però dovuta soprattutto a Contessa, vera e propria colonna sonora del 1968 italiano. Pare che Pietrangeli l'abbia scritta ispirandosi a una conversazione intercettata, in modo del tutto involontario, in un elegante caffè di Roma nel Quartiere Trieste. Contessa diviene negli anni seguenti una canzone popolare nella vera accezione del termine. E della canzone popolare riprende stile e andamento, nonché l'argomentare che propaganda il parallelismo tra lotte operaie e studentesche (una delle parole d'ordine dell'attività del movimento studentesco che infatti nel 1969 va a saldarsi con il montante autunno caldo delle proteste operaie).
L'attività cantautoriale di Pietrangeli non si interrompe negli anni ed è durata per tutta la sua vita. Tra le canzoni scritte in anni successivi a Contessa, è da ricordare Il vestito di Rossini, con la trouvaille dell'aria della canzone ispirata a una cavatina di Gioachino Rossini. Sul finire degli anni sessanta, parallelamente all'attività musicale, Pietrangeli inizia ad occuparsi attivamente di cinema. Negli anni successivi 'abbandona' di fatto la regia cinematografica per dedicarsi a tempo pieno alla regia televisiva e realizza sulle reti Fininvest programmi di vastissimo successo popolare come Maurizio Costanzo Show e Amici di Maria De Filipp La sua vita si divide tra il lavoro in TV e
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di Maria Serritiello
Lo
spettacolo “Resilienza 3.0” di Massimiliano Gallo,
venerdì 12 ottobre ha inaugurato la prima
stagione teatrale del Teatro –Cinema Charlot di Capezzano, una frazione di
Pellezzano, che dista da Salerno, solo 10 Km. Il Teatro, a cui è stato dato
il nome di Charlot, il comico più
grande di tutti i tempi e non poteva non essere che così, essendo il locale una
costola della famiglia Tortora, nei
panni di Gianluca e di un compagno
di viaggio Piermarco Raniero Fiore.
La struttura, un gioiellino, che già il 16 luglio ha tagliato il nastro per
presentarsi al pubblico, ma solo adesso ha spalancato le porte, per iniziare la
stagione teatrale, con 8 spettacoli in cartellone, fino a marzo 2022. Bella
impresa, lode ai due giovani imprenditori per aver scelto, in un momento di depressione
dello spettacolo, causato dalla pandemia, aprire un nuovo teatro, laddove gli
altri li chiudono. Al loro coraggio va tutta la nostra vicinanza e
partecipazione.
A cominciare, dunque è Massimiliano Gallo, figlio d’arte, suo
padre, infatti, è stato, nel passato, il cantante napoletano di grande successo:
Nunzio Gallo. Teatralità garbata e
sicura, quella di Massimiliano, con la buona capacità di destreggiarsi sia
vocalmente che con il ballo, fa molta simpatia presso il pubblico, che non gli
lesina applausi. Ha fine dizione, soprattutto nel cucire addosso a sé e alla sottile
signorilità della moglie, uno spettacolo gradevole, leggero, anche se non
mancano spunti di riflessione meritevoli di un programma più ampio ed attento.
La napoletanità che ci si aspetterebbe, molto raramente, fa capolino nella
performance, realizzandola quasi in punta di piedi, affidando alla grande
maestria dei musici pezzi musicali nazionali tirati a lucido e interpretati dal
nostro con padronanza e personalità.
Il desiderio di un
pensiero e quindi di un percorso alternativo lo si può cogliere già nel titolo:
“Resilienza 3.0”, dato allo
spettacolo e subito chiarito e spiegato dalla voce registrata dello scrittore Maurizio
de Giovanni, intellettuale di spicco in libreria ed in televisione. La rappresentazione, un insieme di riflessioni
ed argomenti seri, sia pure in atmosfera leggera, sono, in sostanza, le sensazioni
che ognuno di noi ha provato durante la chiusura forzata nelle case, così
inusuale. Gli intermezzi di Shalana Santana, la bella consorte
brasiliana di Massimiliano, sono delle riflessioni a voce alta, problematiche
che trovano un pubblico attento, avendo condiviso le stesse ansie quotidiane,
pesanti e difficili, così come le ha descritte Massimiliano. Nello spettacolo,
poi, si alternano canzoni mai banali o sketch mai villani di Massimiliano.
Tutto l’insieme è dosato, la parte recitata fa l’occhiolino alla canzone che
viene esaltata dalla voce bene impostata di Pina Giarmanà.
Allo
Charlot di Pellezzano, Massimiliano si presenta in semplicità,
non strafà, si muove con discrezione, quasi sia ancora in lockdown e affida
alla sua capacità di essere se stesso, anche in palcoscenico, la sua valentia
attoriale, così che la recitazione non risulta mai forzata, ma si caratterizza,
come in televisione, quando interpreta il marito della sostituto procuratore Tataranni, personaggio della scrittrice
Mariolina Venezia.
Tutto scorre liscio, uno
spartito, dunque, ben organizzato, in due tempi equamente diviso tra momenti
recitati e quelli cantati, il risultato è di una piacevole gradevolezza, che è voluta
per riabbracciare ruffiano il pubblico, tenuto fin qui sottovuoto. Nessuno a conclusione di tanta dosata
signorilità si sarebbe aspettato il Coup
de théàtre. Ebbene in sala, su ogni poltroncina azzurra si lasciano notare copie
di giornali datati, tutti ci siamo chiesti (N.d.R.) quale fosse la loro utilità.
Ed ecco che Massimiliano, come già Don
Lurio, famoso ballerino della Rai TV, in uno spettacolo di tanti anni fa a “Pronto chi gioca” del 1985 / 86 fece, ha invitato il pubblico a cantare la canzoncina
da lui intonata ed a strappare i giornali, imbrattando tutta la sala. E’
inimmaginabile ciò che si è scatenato tra i presenti, stropicciare, strappare e
gettare le striscioline in ogni angolo è stato di una liberazione che non ha
avuto uguale. Un momento corale, dove il pubblico è diventato attivo, si è
coinvolto ed ha applaudito lungamente il bravo Massimiliano che ha confezionato
uno spettacolo perfetto e terapeutico.
Maria
Serritiello
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Resilienza
3.0 di Massimiliano Gallo.
Con
Shalana Santana, Pina Giarmanà, Arduino Speranza.
Musica:
piano e arrangiamenti: Mimmo Napolitano, contrabbasso: Davide Costagliola, sax
/ clarinetto: Peppe Di Colandrea.
IL
20 NOVEMBRE LO SPETTACOLO VIENE REPLICATO AL TEATRO DELLE ARTI DI SALERNO
Inizio modulo
Da
Martedì 10 ottobre si respira un’aria diversa in Via
Giovanni De Falco di Salerno, grazie alle bellissime luci natalizie istallate
tutt’intorno al negozio di Rosario De Martino. Per il secondo anno, tranne
quello scorso, per chiusura covid, Rosario abbellisce sia l’esterno del suo
salone che tutto il rione. In anticipo sull’accensione della città, fissata per
il giorno 26 novembre, ma che incontra qualche difficoltà per le regole di
sicurezza, la strada che porta in Via Panoramica ha le sue belle lucine
festive, senza che nessuno dei negozianti raccolga l’esempio. Le attuali di quest’anno
sono davvero belle, una cascata di rosso da colpire chi vi passa vicino, dando
perfino una passata di vermiglio sul colore della pelle. Un fuoco vivo che
riscalda il cuore e mette allegria, in fondo il Natale fa diventare tutti più
piccoli e più allegri.
Sotto le luci, il passo
frettoloso dei residenti si ferma, si fissa il tempo e si prova, così, a
sostare sognanti davanti ad esse, appena Rosario serra il negozio. La bella
stella bianca, poi, posta nella facciata che fa angolo con Via Panoramica,
riempie l’animo e tutto il circondario di candore.
Chissà perché, ogni volta
che mi ritrovo a percorrere il breve tratto brillante (n.d.r), mi viene in
mente la favola della Piccola
fiammiferaia di Hans Christian Andersen e come la protagonista del
racconto, lei nei fiammiferi accesi ad uno ad uno, io nelle luci rosse rivedo i
miei Natali infantili, gioiosi pieni di doni e riscaldati dalla mia dolce
mamma. Un grazie sentito mi viene spontaneo da attribuire a Rosario, per questo
ricordo “da favola”
Conosciamo
Rosario
Rosario
De Martino, un salernitano doc, nato proprio in questo
quartiere, è sposato con Elisa Quintili da 13 anni, hanno un figlio di nome
Raul, che la dice lunga sulla passione di Rosario per le moto, Raul, appunto,
evoca il rumore del motore in accelerazione. Il negozio di Rosario è aperto ad
orario continuato per essere certi che lui c’è per le sue fedelissime clienti.
Entrare nel salone pieno di luci che giungono dagli specchi, il colore delle
pareti, il pavimento sempre lucido e dal candore in cui si viene avvolti,
diventa un appuntamento piacevole. Rosario
è conosciutissimo in città per la sua bravura nell’uso dei colori. Un vero
maestro!
Il
percorso lavorativo
Nel
1992 dà inizio alla sua attività a Torrione, nei pressi di una
traversa del Manila, un night, che andava per la maggiore a quei tempi, ormai
dimenticato e pochi ne hanno memoria, se non per un fatto di cronaca nera.
Passano due anni e nel 1994 lo troviamo in Via Giovanni De Falco dov'è tuttora.
Dire di lui che è bravo e capace del mestiere, sarebbe riduttivo, lui ha una
marcia in più, è uno stilista che si aggiorna, che è à la page, frequentando
l’Accademia e sottraendo spazio alla famiglia ed al giorno di chiusura per
conoscere le novità delle 4 stagioni. C’è un mondo sconosciuto di cui nulla
sappiamo e che detta leggi su come vestirci, quali monili scegliere, che
accessori abbinare in quell'anno. I target s innovativi ci vengono dalle grandi
capitali della moda, ossia Milano, Londra New York. E Rosario si aggiorna,
curioso delle novità da riversare nel suo mestiere, i prodotti scelti per
curare i capelli sono sempre al top e si può essere certi che sono sempre di
ultima generazione, per donare idratazione, riportando il capello al nutrimento
naturale. Nel mestiere Rosario ci mette passione ed amore, vuole che le sue
clienti portino in giro la testa con orgoglio, a cui ha dato forma e colore.
Già il colore, lui è il maestro delle nuance, ora si possono ottenere con solo
15 minuti di posa, c’è poco da fare Rosario è sempre un passo avanti.
Maria
Serritiello
Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Ed eccoci. Domenica
7 ottobre si è tornati a teatro, il nostro luogo prediletto, per godere di
spettacoli scelti e vicini alle nostre corde: “L’acquario” di Claudio Grattacaso. Il giovane autore, classe 1962 è
nato a Salerno, dove vive e svolge l’attività d’insegnante di scuola primaria. “L’Acquario” è il suo secondo pezzo,
dopo “Il nodo della perpendicolare”
ad essere scritto e messo in scena dalla Compagnia
dell’Eclissi.
Tre amici o ritenutosi
tali, vanno ad incontrarsi nella casa di uno di essi, Elio (Enzo Tota), scrittore in preda ad un
attacco di pancia. Vive chiuso nel suo studio, circondato da innumerevoli
libri, incasellati in un ordine maniacale nella libreria a parete, eccellente
la scenografia di Luca Capogrosso a
riprendere l’ossessività dei libri anche sulle poltrone, e sugli sgabelli. Elio
si concede due finestre, aborra i balconi e da poco si è regalato un acquario
che troneggia al centro della stanza, incastonato nei libri. Con i pesci, ai
quali ha dato nomi importanti, è in perfetta sintonia e ritrova nell’osservarli
un po’ di quel calore che gli manca. La scelta di un acquario come amico, la dice
lunga sul carattere spigoloso dello scrittore. Non da meno sono i suoi amici,
Donato (Felice Avella), per esempio,
eternamente in fuga da una situazione familiare complessa e da sua figlia che
lo spia ovunque vada e Sandro (Ernesto
Fava), belloccio, che crede di essere prestante con ogni bella donna che
gli capita a tiro, previo, poi a servirsi di stratagemmi, come l’autografo su
di una copia del libro, scritto dal suo amico, per fare breccia sulla nuova
fiamma della quale, questa volta, è follemente innamorato. Ognuno,
inizialmente, lamenta la sua condizione, che alla loro età non è certo felice,
poi mano a mano iniziano a graffiarsi come vecchie gatte sul loro vissuto,
quasi che l’infelicità dell’uno può compensare quella propria.
Fotografia amara di una collettività
sull’ orlo di una crisi profonda, di cui i tre amici ne interpretano i cardini,
avendo smarriti i valori etico- estetici ed incapaci di offrirsene di
accettabili. L’autore raschia sul fondo di un barile consunto di una società,
che poco o niente di buono lascia intravedere, se l’amicizia, valore universale
viene disinvoltamente calpestato. Si scoprono i soprannomi dei tre, ognuno sa
quello degli altri due, ma non il proprio, per cui Elio è appellato “copia ed
incolla”, Donato, “puffetone” e Sandro, “pisellino di legno”. Da questi
appellativi s’intuiscono difetti inconfessati, sebbene la loro amicizia sia di
lunga durata. Donato, che appare un infermiere ligio al dovere, non è altro che
un mantenuto, e lo si scopre dal contenuto della sua borsa professionale,
dimenticata occasionalmente a casa di Elio, lo stesso Elio è incapace di
mantenere una relazione seria con una donna e si rifugia tra i libri dai quali
attinge, si fa per dire, linfa per i suoi scritti e Sandro che fa outing sulla
propria condizione sessuale. Quello che esce dalle loro bocche fa inorridire;
cala mestamente sugli spettatori una scia sordida di umanità impietosa, sicché
dalla sala si esce sgualciti nei sentimenti ed a nulla serve la ricomposizione finale
dei tre, il danno è stato fatto ed il loro stare insieme è solo frutto di
smarrimento e paura della più ingrata solitudine.
A ben guardare
fisicamente l’autore di “Acquario”, lo si direbbe incline
all’ottimismo, un peana alla speranza, ed invece ha portato sulla scena una borghesia
lacero-contusa, senza alcuna speranza di salvezza escatologica, impigliata,
com’ è, nel niente della triste condizione di vivere, nell’ affidarsi ad un
effimero bene materiale, come può essere un acquario, per convincersi di buttare
alle spalle il niente della propria esistenza, il compiacersi del proprio sé e delle proprie capacità! Fine modulo
Bravi gli interpreti: Tota, Avella e Fava a caratterizzare i
tre amici, con i loro i tic e difetti. Un intreccio perfetto di dialogo,
battuta dopo battuta, spesa ad identificare caratteri e contesti, voluti
dall’autore , in crescita come commediografo. Sempre dosata la regia di Marcello Andria e l’impegno di Angela Guerra, come direttrice di
scena. La musica di Marco De Simone
ha sottolineato, senza invadere, i momenti salienti e buono il progetto grafico
di Giulio Iannece, su cui ha
lavorato Luca Capogrosso. Una
commedia di pregio, dunque, ad accompagnare l’apertura della stagione teatrale
del Teatro Genovesi e dei suoi
interpreti: Compagnia dell’Eclissi
Maria
Serritiello
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IRICEVO E PUBBLICO
IERI MI E' STATO IMPOSSIBILE POSTARE
GRAZIE ROSA LUONGO
Da : La Campagna appena ieri
Usanze, tradizioni, lavori, proverbi, luoghi e spigolature di una certa campagna emiliano romagnola di oggi e di quella dei ricordi....di ieri e appena ieri...!!!! Per ricordarci chi siamo e come eravamo.
FARE "SANMARTINO":