Se muoio sopravvivimi con
tanta forza pura
da svegliare la furia del pallido e del freddo
da sud a sud solleva i tuoi occhi indelebili
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso e i tuoi passi
non voglio che muoia la mia eredità di gioia
non chiamare il mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.
E' una casa tanto grande l'assenza
che ci entrerai attraverso le pareti
e appenderai i quadri là nell'aria.
E' una casa tanto trasparente l'assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se tu soffri, amore, morirò di nuovo.
Dal 5 al 20 aprile 2014 (i sabati alle ore 21, le domeniche alle ore 18:30) al Teatro del Giullare
"CARO DIO"
atto unico di G. Castellano. Regia di ANGELO RUOCCO. Luci e musiche di Virna Prescenzo. Ecoscenografie di Olga Marciano e Giuseppe Gorga. Note di regia
La Sacra Bibbia è sicuramente la più grande storia mai raccontata. Colpisce tutti, credenti e non, chi per un motivo, chi per un altro. Ma per chi vive la situazione “borderline”, diventa addirittura affascinante. Partendo dal presupposto che questo sacro testo sia stato scritto da uomini (certo, ci dicono “ispirati” nel trascrivere ciò che Dio voleva far sapere agli esseri umani), viene spontaneo chiedersi se, in alcuni momenti, l’essere umano non abbia avuto la meglio sul sovrannaturale lasciandosi andare ad un “pizzico” di favolistico. L’uomo è di per sé fallace, e quindi, qualche piccolo errore, potrebbe averlo fatto, soprattutto partendo dal presupposto che difficilmente la bozza sia stata inviata alla fonte d’ispirazione per i dovuti correttivi. Inoltre gli altri esseri umani, non quelli ispirati, ma la massa, sono dotati di ragione, e spesso la ragione genera dubbi. Esporli è sinonimo di intelligenza: chiedere perché, andare a fondo alle cose senza accettarle tacitamente come dogmi acquisiti non svilisce l’uomo, anzi, lo rafforza. E sfogliando la Sacra Bibbia, quante domande sono comparse nella mente della gente? Pochi hanno avuto il coraggio di esporle, e spesso questo gettito di sincerità non è stato apprezzato. Per questo c’è molta ammirazione nei confronti dell’autrice del testo “Caro Dio”, Giovanna Castellano, che ha con grande capacità dialettica messo in fila la serie di domande che in tanti si pongono senza avere il coraggio di uscire allo scoperto. Nell'allestimento teatrale tanti di questi “perché?” saranno affrontati: a volte con ironia, a volte con crudezza, ma mai in maniera dissacratoria o blasfema. Un piccolo viaggio attraverso la Sacra Bibbia che, però, come è giusto che sia, apre le porte alla speranza.
Cast: CINZIA UGATTI MATTEO AMATURO
Ingresso: 10 euro Info: 334.7686331 | 089.220261 | compagniadelgiullare@hotmail.it
Alle ore 11,00, Potenza saluta il suo grande vecchio del Teatro, della Rai e del Cinema italiano, nel luogo che più gli compete, il Teatro Comunale Francesco Stabile. Sarà un lungo applauso ad accoglierlo e a stringere con affetto i suoi familiari. Un omaggio commovente e tenero per chi ha speso la vita tutta per la nobile arte del palcoscenico. Una carriera, la sua, ricca di soddisfazioni che, dopo un lungo apprendistato sui palcoscenici ed in programmi radiofonici, esordì sul grande schermo nel 1990 con "In viaggio con Alberto" di Arthur Joffé. Tra i suoi ruoli più noti è da ricordare quello del padre di Giovannino, nel film di Carlo Verdone «Viaggio di
Nozze».
Nato a Bari nel 1924, Tamma era molto conosciuto
in Basilicata anche per essere stato una delle «voci» radiofoniche
più famose della Rai. Tra i suoi ultimi lavori da attore, anche la
partecipazione alla fiction tv «Il Giudice Mastrangelo».
Nel Teatro Francesco Stabile, la cui edificazione prese inizio nel 1856, simile per struttura e per apparato decorativo al Teatro San Carlo di Napoli, Nanni Tamma sarà per l'ultima volta il grande interprete di se stesso e sarà contento di essersene andato lasciando dietro di sè tanto amore.
"Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria, puntati nei nostri pieni di lacrime"
( Sant'Agostino)
Ecco ogni volta che ci mancherai, Nanni, basterà sfogliare l'album dei ricordi passati con la tua famiglia, nella casa piena di te, con la dolcissima moglie accanto, con Nicola che di te era certo e con Alex, l'ultimo arrivato ma già fedele e pieno di amore, proprio come solo i cani sanno fare. C'è una tua espressione dal film "Viaggio di nozze " che mi è restata impressa ed è questa:" Famme sta cu te". Si, Nanni , ti terremo, ti terremo, puoi starne certo.
Ed ora il tuo ultimo lungo applauso, eccolo....
Maria Serritiello
BIOGRAFIA
Nanni Tamma (Bari, 9 giugno
1924-Potenza, 29 marzo 2014) è un attore italiano.
Attore professionista di teatro, dopo un lungo apprendistato sui palcoscenici
ed in programmi radiofonici (partecipava alla realizzazione del mitico
programma radiofonico "La
Caravella" della Sede Regionale delle Puglie e della
Lucania - anche detta brevemente Radio Bari - negli anni 50-60), esordì sul
grande schermo nel 1990 con In viaggio con Alberto di Aldo Giuffrè. In seguito
riapparve in una decina di pellicole, tuttavia il ruolo a cui è tuttora
indissolubilmente legato, resta quello del padre di Carlo Verdone in Viaggi di
nozze, diretto da Verdone stesso nel 1995.
Nanni Tamma è impegnato da oltre 40 anni in Basilicata dove ha operato
principalmente nel settore teatrale. Personaggio amabile, dal facile approccio,
ha maturato una vasta e variegata esperienza per tanti anni presso la Rai.
Indimenticabili le prestazioni radiofoniche e televisive da
lui offerte in tanti anni di attività culturale. Ricordiamo, in particolare, la
riuscita trasmissione “Il Lucaniere”, un appuntamento domenicale questo,
imperniato sulle diverse tematiche cittadine, affrontate con garbata ironia,
finalizzate alla risoluzione dei diversi problemi di carattere cittadino.
E' residente a Potenza da oltre 40 anni e inizia la sua carriera artistica
nel1941 in veste di comico, autore e coreografo con compagnie di
avanspettacolo e rivista. Nel corso degli anni ha cambiato genere passando
dalla rivista (con De Vico, Alfredo Rizzo, Elena Giusti, Anna Campori, Mario
Carotenuto )al teatro di prosa, interpretando ruoli di primo attore nelle opere
di De Filippo,Pirandello, Dario Fo.
Dopo quattordici anni di teatro collabora con la Rai come annunciatore,
regista, autore, attore e programmista, realizzando numerosissimi programmi
radio - televisivi.
Dopo essere stato in Rai per trent’anni, dove ha sviluppato una carriera fino a
dirigente e Capo Struttura nella sede regionale per la Basilicata, ha ripreso
a lavorare come attore e regista al cinema, in televisione ed in teatro.
Queste le produzioni cui ha partecipato nel Cinema:
“Viaggio con Alberto” di A. Giuffrè con Sergio Castellitto, Nino Manfredi e
Jeanne Moreau (girato in Francia).
“Nel continente nero” di M. Risi con Diego Abatantuono (girato in Kenya)
“Dall’ altra parte del mondo” di A. Catinari, vincitore del premio De Sica nel
1992
“Viaggi di nozze” di e con Carlo Verdone, nel ruolo del padre interprete
“Giovani e belli” per la regia di Dino Risi
"I magi randagi” di Sergio Citti con Silvio Orlando, Gastone Moschin
“Del perduto amore” di Michele Placido con G. Mezzogiorno, F. Bentivoglio, E.
Loverso, S. Rubini.
Televisione.In “Patto con la morte”,per la regia di G. Lepre, con Abatantuono,
ha avuto il ruolo di un mafioso; programmato su Rai 2.
“Bellavita” di L. Pirandello, con la regia e l’interpretazione dello stesso
Tamma, prodotto da Rai 3, programmato e replicato in rete nazionale. Primo
premio al Festival del cinema di Salerno.
“Prima notte”, tratto da una novella di L. Pirandello, sceneggiatura,
interpretazione e direzione dello stesso Tamma; prodotto da Rai 3 è stato
programmato in rete nazionale.
“Le lettere dell’altro”. Commedia brillante ,interpretata e diretta da Nanni
Tamma e prodotta da Rai 3.
“Il diavolo e l’ Acquasanta” di E. Oldoini.
Radio: ha realizzato come autore, regista e interprete, con attori quali Ivo
Garrani, Regina Bianchi, Ida di Benedetto, Marina Malfatti e tanti altri
ancora, migliaia di produzioni radiofoniche di tutti i generi (prosa, rivista,
dirette di spettacoli) per Radio Uno ed altre reti.
È apparso ancora nel 2007 nella serie televisiva Il giudice Mastrangelo, di
Salvatore Basile.
Filmografia ragionata
Il giudice Mastrangelo - (2007) - 1 episodio;
Le ragazze di Miss Italia - (2002);
C'era un cinese in coma - (2000);
Don Matteo - (2001) - 1 episodio;
I magi randagi - (1996);
Giovani e belli - (1996) - il vecchietto;
Viaggi di nozze - (1995) - il padre di Giovannino;
Nanni Tamma (Bari, 9 giugno 1924-Potenza, 29 marzo2014) è un
attore italiano.
Attore professionista di teatro, dopo un lungo apprendistato sui palcoscenici
ed in programmi radiofonici (partecipava alla realizzazione del mitico
programma radiofonico "La
Caravella" della Sede Regionale delle Puglie e della
Lucania - anche detta brevemente Radio Bari - negli anni 50-60), esordì sul
grande schermo nel 1990 con In viaggio con Alberto di Aldo Giuffrè. In seguito
riapparve in una decina di pellicole, tuttavia il ruolo a cui è tuttora
indissolubilmente legato, resta quello del padre di Carlo Verdone in Viaggi di
nozze, diretto da Verdone stesso nel 1995.
Nanni Tamma è impegnato da oltre 40 anni in Basilicata dove ha operato
principalmente nel settore teatrale. Personaggio amabile, dal facile approccio,
ha maturato una vasta e variegata esperienza per tanti anni presso la Rai.
Indimenticabili le prestazioni radiofoniche e televisive da
lui offerte in tanti anni di attività culturale. Ricordiamo, in particolare, la
riuscita trasmissione “Il Lucaniere”, un appuntamento domenicale questo,
imperniato sulle diverse tematiche cittadine, affrontate con garbata ironia,
finalizzate alla risoluzione dei diversi problemi di carattere cittadino.
E' residente a Potenza da oltre 40 anni e inizia la sua carriera artistica nel 1941 in veste di comico,
autore e coreografo con compagnie di avanspettacolo e rivista. Nel corso degli
anni ha cambiato genere passando dalla rivista (con De Vico, Alfredo Rizzo,
Elena Giusti, Anna Campori, Mario Carotenuto )al teatro di prosa, interpretando
ruoli di primo attore nelle opere di De Filippo,Pirandello, Dario Fo.
Dopo quattordici anni di teatro collabora con la Rai come annunciatore, regista, autore, attore e
programmista, realizzando numerosissimi programmi radio - televisivi.
Dopo essere stato in Rai per trent’anni, dove ha sviluppato una carriera fino a
dirigente e Capo Struttura nella sede regionale per la Basilicata, ha ripreso
a lavorare come attore e regista al cinema, in televisione ed in teatro.
Queste le produzioni cui ha partecipato nel Cinema:
“Viaggio con Alberto” di A. Giuffrè con Sergio Castellitto, Nino Manfredi e
Jeanne Moreau (girato in Francia).
“Nel continente nero” di M. Risi con Diego Abatantuono (girato in Kenya)
“Dall’ altra parte del mondo” di A. Catinari, vincitore del premio De Sica nel
1992
“Viaggi di nozze” di e con Carlo Verdone, nel ruolo del padre interprete
“Giovani e belli” per la regia di Dino Risi
"I magi randagi” di Sergio Citti con Silvio Orlando, Gastone Moschin
“Del perduto amore” di Michele Placido con G. Mezzogiorno, F. Bentivoglio, E.
Loverso, S. Rubini.
Televisione.In “Patto con la morte”,per la regia di G. Lepre, con Abatantuono,
ha avuto il ruolo di un mafioso; programmato su Rai 2.
“Bellavita” di L. Pirandello, con la regia e l’interpretazione dello stesso
Tamma, prodotto da Rai 3, programmato e replicato in rete nazionale. Primo
premio al Festival del cinema di Salerno.
“Prima notte”, tratto da una novella di L. Pirandello, sceneggiatura,
interpretazione e direzione dello stesso Tamma; prodotto da Rai 3 è stato
programmato in rete nazionale.
“Le lettere dell’altro”. Commedia brillante ,interpretata e diretta da Nanni
Tamma e prodotta da Rai 3.
“Il diavolo e l’ Acquasanta” di E. Oldoini.
Radio: ha realizzato come autore, regista e interprete, con attori quali Ivo
Garrani, Regina Bianchi, Ida di Benedetto, Marina Malfatti e tanti altri
ancora, migliaia di produzioni radiofoniche di tutti i generi (prosa, rivista,
dirette di spettacoli) per Radio Uno ed altre reti.
È apparso ancora nel 2007 nella serie televisiva Il giudice Mastrangelo, di
Salvatore Basile.
Filmografia ragionata
Il giudice Mastrangelo - (2007) - 1 episodio;
Le ragazze di Miss Italia - (2002);
C'era un cinese in coma - (2000);
Don Matteo - (2001) - 1 episodio;
I magi randagi - (1996);
Giovani e belli - (1996) - il vecchietto;
Viaggi di nozze - (1995) - il padre di Giovannino;
Nel continente nero - (1993) - il professore;
Dall'altra parte del mondo - (1992);
In viaggio con Alberto - (1990) - il nonno
Se non puoi tenere il tuo bambino, hai un’alternativa: il progetto Ninna ho e la culla termica della Federico II
“Non si deve arrivare a tanto. Da noi, come in altre città d’Italia, c’è una culla termica, una moderna ruota”, queste le parole di Roberto Paludetto, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Neonatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, a seguito del ritrovamento del neonato abbandonato in una carrozza di un treno della Circumvesuviana a Baiano. Molte donne ignorano di poter lasciare il bambino, anche a distanza del parto, nella culla termica inaugurata nel 2008 presso l’A.O.U. Federico II, nell’ambito del progetto Ninna Ho, realizzato dalla Kpmg e dalla Fondazione Rava in collaborazione con l’Associazione Soccorso Rosa-Azzurro. “Finora la culla è rimasta vuota, eppure avrebbe potuto salvare molte vite” continua il professore Paludetto. La culla termica è posta all’ingresso dell’Azienda in Via Tommaso De Amiciis, 115. Premendo il bottone accanto alla saracinesca, la serranda si alza e all’interno c’è un lettino riscaldato dove deporre il bambino. Dopo pochi secondi la serranda si abbassa e squillano i telefoni di cinque addetti dell’Azienda. Se entro cinque minuti nessuno interviene si avviano le sirene. Il bambino viene portato nel reparto di neonatologia dove riceve cura e assistenza. La ruota termica permette anche di avere ripensamenti; la mamma può premere un altro pulsante per chiedere aiuto nel prendere una decisione consapevole. Inoltre, occorre ricordare che la legge permette a chiunque di partorire in tutti gli ospedali italiani in assoluto anonimato “Le mamme che decidono di non tenere il bambino possono partorire in ospedale in anonimato e senza subire pressioni, lasciando il neonato nel nido” sottolinea, infine, il professore Paludetto.
E’
con “S. U. D.” che La Compagnia teatrale “La Cantina delle Arti” di
Sala Consilina (SA) ha partecipato al Festival Nazionale Teatro XS Città di
Salerno. Il terzo spettacolo in gara di domenica 9 marzo, anch’esso a sfondo
sociale, è tratto dal libro del giornalista Salvatore Medici “Fermento, al Sud c’è fermento” per la riduzione
drammaturgica di Enzo D’Arco, che ne è anche l’interprete. Un quasi monologo,
il suo, interrotto, di tanto intanto, da
leggiadri volteggi e caute parole di Antonella Giordano, sì da spezzare la
grezza energia e l’intensa vigoria da lui espressa.
Settanta
minuti non bastano per vociare ciò che affligge il Sud, né il testo, sia pure di
forte denuncia, sgombra il campo dalle speranze che caparbiamente si alimentano.
Enzo D’Arco, con la sua energia e la sua fisicità tutta meridionale, non
altissimo, barba folta, per nulla
curata, capelli ricci, non si arrende, combatte e vuole che il Sud
utopicamente raddrizzi la schiena. “Sdradicarmi’? dice “la terra mi tiene e la tempesta se viene mi
trova pronto” Un grido d’amore per l’amata terra, come se fosse una donna con
la quale ha un onirico rapporto amoroso, si rotola nell’erba, se la tiene
stretta e l’ama. Ma la storia che racconta il giovane del sud non ha in sé
tanta dolcezza, anzi comincia col dire “…ho 36 anni e per lavorare ho lasciato il mio paese che si
trova nella terra bella del Vallo di Diana e sono qua in Svizzera, dove tutto è
precisione, diritti e doveri e mi pagano per quanto rendo”. La realtà di queste
terre è esattamente così, Enzo D’Arco la conosce bene, per essere la storia di
tanti, troppi suoi compaesani, emigrati in terre straniere, per tornare al
paese lasciato, solo nell’estati torride, per fastosi matrimoni o peggio per
tristi lutti familiari, senza aver mai più goduto la sicurezza protettiva del
paese. E’questo il Sud, il carrozzone su
cui, di volta in volta, tutti sono saliti
per i propri interessi, per gli sporchi affari. Maneggioni e stupratori dell’ humus illibato, non ne sono
mai mancati, anzi si sono triplicati via, via nel tempo. E’ questo il Sud che
ha chinato sempre la testa, ripiegandosi su se stesso per la squallida miseria,
quella che toglie la dignità, la forza di reagire e nega ogni libertà di scelta. Senza scomodare gli approfondimenti
sulla questione meridionale, una querelle dibattuta dall’unità d’Italia in poi,
ben si comprende che il disagio socio politico del Sud è frutto di una grossa
ingiustizia, un enorme abuso perpetrato ai suoi danni dai poteri forti.
Il monologo prosegue vigoroso, Enzo D’Arco non
si risparmia, se ne comprende la passione, parla a voce alta, si sposta veloce da ogni angolo del palcoscenico,
interloquisce approcciando il pubblico con domande retoriche, a cui lui stesso
risponde. Senza giacca, con la quale si è presentato, resta in canottiera blu,
fa più operaio, più uomo del popolo, suda, senza curarsene, suona la
grossa tammorra, lo strumento vivo fatto
di pelle animale, canta senza modulare la voce sui pezzi di Petra Montecorvino
ed Eugenio Bennato, mette e rimette apposto tozzetti di legno, che
metaforicamente dovrebbero rappresentare la sistemazione del Sud, ma inevitabilmente
questi vengono scompigliati dalla compagna di scena, ed anche qui la metafora è
chiara.
“…Nella
mia terra c’è fermento, molto fermento, però c’è anche leggerezza, battute,
saper vivere con ironia, allo stesso tempo c’è malessere, ci sono sfoghi,
opinioni rabbia, insomma c’è fermento, al Sud c’è fermento…”
Bisognerà
pur mettere un punto, finirla con i soprusi, con le umiliazioni, sarà
necessario essere capaci di prendere nelle mani
il proprio destino e viverlo da protagonista, non da assoggettato. La
denuncia non basta più troppe le analisi intellettualistiche che nulla hanno
portato al Sud. Dopo la riflessione, la consapevolezza e la denuncia
occorre reagire e con forza guardando la propria terra con occhi imparziali, il
pensiero libero, perché il Sud è amato e deve vivere. La conoscenza serve per
poter interpretare la realtà, con la giusta lucidità e sentito orgoglio in
quanto vivere al Sud è possibile. E’
tempo di ritornare alla terra, alla madre terra, all’impagabile dono ricevuto,
“perché lei ci prende alla testa e all’anima né è possibile resistere … e allora andare ma
poi tornare, tornare…”
sono
le parole che con una certa commozione, sottolineate da tristissime note di
fisarmonica, concludono l’atto d’amore, espresso dai lemmi, dal suono, dalla
poesia (Rocco Scotellaro), dalla gestualità, dalla danza e dalla passione che ha mosso tutto lo spettacolo.
Impeto,
forza, ardore, orgoglio, energia, tutto questo è S:U:D, lo spettacolo rivolto a
riappropriarsi della dignità delle proprie radici, perché i giovani, quelli passati d’età sono già fieri di
appartenere, sappiano che è possibile considerare il riscatto, che non è vana la speranza, che non è utopico il desiderio di
ripresa, per l’errata convinzione a considerare il giro dei proventi economici
altrove, non certo a loro accanto, meno
che mai al sud. Ma la terra c’è, la
forza giovane anche, perché non provare?
Indiscussa l’energia e il vigore fisico di Enzo D’arco.
Si è mosso con impetuosità e naturale
passione, il testo più che recitato è venuto fuori dal suo profondo, l’ha
sentito come suo, così pure la rabbia e
l’orgoglio è di un uomo del sud, un risorgimentale d’altri tempi. Brava
Antonella Giordano la cui levità, impressa nella danza, sparge intorno la
bellezza che attraversa le nostre terre. Buona la scelta musicale di
accompagnamento: Bennato, Montecorvino, Durante, Jovine, Raiz e Brusco,
eccesiva invece nel finale la stesa delle icone che rappresentano il meglio del
sud. Nella fierezza di appartenenza, non
è il caso di esagerare, non dobbiamo convincere nessuno, Noi siamo!
Dal
22 febbraio al 9 marzo, Bianca, Caterina, Desdemona, Giulietta, Mercuzio e
Shylock, tra i più noti personaggi della scrittura shakespeariana,
indimenticabili icone nell’immaginario di ognuno, hanno ripreso tutte insieme
la loro fisicità per rappresentarsi al Teatro del Giullare di Salerno. “Shakespeare Family”, questo il titolo del pezzo scritto da
Giuseppe Manfridi, drammaturgo romano, per la regia di Carla Avarista, è stato
uno spettacolo accattivante, sia pure nella sua semplicità rappresentativa. Fondale
nero, nessuna scena, per arredo solo una
scrivania dietro alla quale il personaggio della regista, si ritrova ogni tanto ed una pedana dalla quale ad uno ad
uno si presentano al pubblico i personaggi shakespeariani. A tenere le fila
dello spettacolo è proprio lei la scenica regista che pazientemente ascolta
ognuno, dialoga con loro, unisce i vari pezzi, interviene, informa e si
frappone alle loro conoscenze, sì che i fatti, appaiano diversi da come i
personaggi ne abbiano convinzione. E così per circa un’ora, tale è la durata,
Giuseppe Manfridi, l’autore, ridà loro
la vita, dopo che Shakespeare ne ha tragicamente suggellato la morte. La prima ad
apparire è Desdemona infelice tutt’ora, perché Otello non ha creduto al suo
amore e alla sua fedeltà, lei che ha superato l’ostacolo più scandaloso del suo
tempo, la diversità di colore della pelle, ma quando saprà del tradimento di
Iago, considerato amico e di cui non avrebbe mai sospettato, si rasserenerà,
riconciliandosi con il sentimento amoroso. Anche Mercuzio apprende fatti che a
saperli prima non gli avrebbero falciata la vita, né quella dei suoi
giovani amici, Giulietta e Romeo. Tanti
dolori e tante morti evitate, ma tant’è sono le tragedie così volute dal sommo
cantore inglese. Anche gli altri personaggi apprenderanno fatti nuovi, vivranno
situazioni diverse, si spiegheranno certe reazioni e comprenderanno la vita
precedente. E’indiscusso che guardandosi
a posteriori ognuno sarebbe stato in grado di gestirsi diversamente da come non
l’ha fatto all’interno del personaggio, per cui nella fantasia postuma anche
Caterina, la bisbetica per eccellenza e Bianca si guarderanno con più
tolleranza e complicità e Shylock riuscirà finalmente a capire che la vera
perdita non è il denaro ma è la figlia che ha abiurato la religione.
Ingegnoso
il testo“Shakespeare Family” di Giuseppe Manfridi nel dare continuità ai
personaggi, spiegando, argomentando, anche in maniera corposa, a tratti filosofica e dottrinale ed
estraendo dalle loro anime e dai loro pensieri ciò che avrebbero voluto sapere
prima. Senza essere una “diminutio”, anzi il contrario, l’immaginazione
fantasiosa dei personaggi di Giuseppe Manfridi ricorda, per una certa
somiglianza, alle “Interviste impossibili”, andate in onda su Radio Rai dal 1974 al 1976. Nell’edizione
radiofonica alcuni tra i maggiori personaggi della cultura, Calvino, Eco,
Camilleri, Manganelli e tanti altri, sono 86 le interviste, incontravano altri
celebri, vissuti cento, mille anni prima. La variazione del
testo“Shakespeare Family”, affrontato dal
Piccolo Teatro del Giullare, sta nei dialoghi sceneggiati, al posto delle
domande rivolte all’intervistato, nello spettacolo radiofonico.
Nell’unico
tempo di rappresentazione lo spettacolo scorre fluido, nessun intoppo ai
ragionamenti delle varie vite che si manifestano. Di ottimo livello è la
recitazione, i personaggi sono stati stigmatizzati perfettamente e con la
giusta intensità drammatica. Ognuno, in
scena si è mosso con la naturale precisione, infondendo, laddove richiesto,
energia e tragicità come per la mansueta Desdemona, (Adriana
Fiorello), per la scatenata vivacità di Caterina e Bianca (Concita De Luca eElena Monaco), un duo di
vitale esuberanza, per la magistrale bravura di Mercuzio (Andrea Bloise),
vigorosa fisicità e resa scenica straordinaria, per la dolce Giulietta (Caterina
Micoloni) forza e tragicità insieme ed
infine per la confermata bravura di Gaetano Fasanaro (Shylock ) e per la
duttilità con la quale si cala in ogni personaggio, Amelia Imparato (Regista).
Ad impreziosire lo spettacolo, curato da Carla Avarista, sono stati i video in
bianco e nero, “La bisbetica domata” ed “Il Mercante di Venezia”, mandati sul fondale e
scelti opportunamente, da Concita De Luca che, messa da parte, per quattro settimane, il
sabato e la domenica, la professione di giornalista, si è trasformata
egregiamente nella Bisbetica domata.
Le
luci e la scelta delle musiche sono, come sempre, della brava Virna Prescenzo.
Si
presenta con aria dimessa, le spalle incurvate, il bavero della giacca, in cui sembra cresciuto
dentro, alzato, con in mano una busta di plastica e con l’altra si stringe il
davanti della giacchetta. Smilzo, capelli arruffati, baffetti sottili e occhi
vispi, in scena fa il verso all’emigrante che, dalla boscosa Basilicata, è giunto
fino alla Salerno marinara. Chi ci sta di fronte è Dino Paradiso, il vincitore
del Premio Charlot 2013, il prestigioso premio nazionale della comicità, fondato
nel 1989 da Claudio Tortora. Per 25 anni, attraverso questo premio, sono
passati tutti i futuri comici di maggior successo, un merito che va per intero
all’eccellente ed instancabile Patron che da due anni ha lasciato il testimone
della direzione artistica, al figlio Gianluca, nella continuazione della
famiglia Tortora.
Dino
Paradiso, per l’anagrafe Bernardino, ma nel paese d’origine è “Vardine” è nato
in un piccolo paese della Lucania, Bernalda, dove le tradizioni si mantengono
salde e fanno da padrone nell’esistenza di ognuno, tant’è vero che il suo nome,
senza scampo, è la “puntella” del nonno paterno. A Bernalda, si vive bene,
“…gli abitanti sono talmente pochi che il sindaco la mattina fa l’appello…” lo
dice lui tesso esagerando per strappare la risata d’inizio. Una vita semplice
quella di Bernalda dove tutti sanno i fatti di ognuno, non che sia
necessariamente un danno, se si pensa alla solitudine delle grandi città. E’ vero Vardino, il nipote del barbiere
conosce tutti e tutti conoscono lui, ed egli attento li osserva, annota le
parole, la gestualità, appunta le usanze, il modo di vivere, i soprannomi, la
cucina, le feste patronali, i discorsi, le passeggiate, tutto materiale che
riversa nelle sue esibizioni. Il suo monologo, infatti, che ha una durata
considerevole, è l’analisi intelligente della vita del suo piccolo centro, sempre
in bilico tra la demonizzata modernità e la rassicurante tradizione. Il
linguaggio è sciolto, corretto, vivace, tenuto unito dalla sua naturale
spigliatezza e dalle incursioni dialettali. Il lucano è un dialetto onorevole, quasi
sconosciuto, le cui inflessioni, però ed i suoni sono di grande piacevolezza e lui ne fa un uso cortese,
rafforzando ciò che dice. Nella sua tirata comica uno spazio particolare lo
dedica alla figura materna, non precisamente la sua (come mi dirà in seguito,
ndr) ma della madre meridionale in genere e lucana in particolare, nella quale
è inserita di diritto anche la sua per cui le rivolge tutte le battute
esilaranti, perché a Bernalda, si sa, gli uomini comandano ma a prendere le
decisioni sono le donne . Il suo risulta un collage di amorevoli difetti di cui
sua madre è dotata, uno in particolare,
l’ansia, che la mantiene vigile per
qualsiasi accadimento. Tutto ciò che esce dalla sua sfera di controllo è
pericoloso, la fa volgere gli occhi al cielo e dire “ Statte attiente a mamma ,
statte attiente”. Di che cosa “Vardine” si debba difendere appena valica il
confino di Bernalda, non gli è dato sapere, al massimo accontentarsi della
consueta risposta “Succedene tante cose brutte”. La madre impera nel monologo
sia per quanto deve mangiare, tanto, per come si deve vestire, la maglia di
lana da indossare anche nell’estate più afosa “Pota ascì sempe o ventariello” e
così si conferma che a comandare in casa è lei, il padre lavora e sta seduto
sul divano, al massimo picchia il figlio, quando fa ritorno a casa, istigato
dalla moglie. Ad ogni marachella, invariabilmente gli annunciava “mò che vene
tuo padre amma fa li cunti” per cui Vardino ha sempre creduto che la ciabatta
del padre, con la quale veniva picchiato, fosse la calcolatrice. Divertente ed
intelligente per il garbato graffio familiare, accattivante e simpatico per
la spontanea naturalezza, che altro dire, se non che si è ben meritato
il primo posto nel premio della comicità più prestigioso d’Italia.
Bechestage
Sono
al Teatro Ridotto ad attenderlo e quando mi viene incontro con i suoi baffetti
sottili, i capelli arruffati e il giubbotto stretto sui jeans, lo trovo molto più giovane di come mi era sembrato la sera
del Premio, la scorsa estate. Gli dico
che l’ho votato, preferendolo agli altri quattro e che ero stata contenta della sua vittoria,
lui ne è sorprendentemente soddisfatto. Entriamo in sintonia e mi dice che ha 35
anni, che è sposato, con un figlio di 2 di nome Luca, la madre è un’ insegnante,
il padre un operaio e lui è il primo di tre figli maschi. Bernalda, mi
ricorda, il paese dove vive ed è nato, ha dato le origini anche al nonno del
grande regista americano Francis Ford Coppola. Ha frequentato l’università a
Bari, laureandosi in scienze politiche, ma è allo spettacolo che si è sempre
interessato. Nel 2006 dopo aver iniziato a girare per la piazze in spettacoli
di Paese, ha perfezionato lo studio del teatro comico, frequentando la scuola "Comic Lab", diretta dalla
grande Serena Dandini. E’ giunto al Premio Charlot, vincendone l’edizione 2013,
su suggerimento di Santino Caravella, il vincitore dell’edizione 2012. Accenniamo
anche ad un minimo di conversazione, a come si presenta bene Salerno, al suo
sindaco ormai un’icona conosciuta, di conseguenza improvvisando ne fa l’imitazione,
quando a denti stretti striglia i cafoni. Mi strappa subito una bella risata, è
già cominciato il suo show.
Educare i ragazzi a inserirsi in una collettività, a sapersi affermare e a gestire il conflitto, ad affrontare sconfitte e paure: è il compito di un insegnante. Più che un lavoro una missione, che richiede passione ed entusiasmo. Cosa si trova invece nelle scuole oggi? Docenti che barattano l’avventura della formazione con la sicurezza della routine. Presidi che scambiano la pedagogia con la burocrazia. Genitori che si lamentano dei “cattivi maestri” senza apprezzare quelli buoni. E solo gli eroi riescono a non perdersi d’animo in un sistema in cui manca la cultura della leadership, e raramente si riconosce il ruolo fondamentale di guida degli insegnanti.
In queste pagine Bernhard Bueb, da più di trent’anni in prima linea come preside, educatore, filosofo, lancia un appello: come reagire? Come riportare la vita in certe aule divenute stagni immobili, in cui si mortifica la personalità sia dei docenti sia degli alunni? Attraverso i nove “comandamenti” di ogni buon maestro: conoscere se stessi, accettare una guida, esigere e proteggere, essere d’esempio, darsi obiettivi chiari, saper fare autocritica, imparare a delegare, mantenere la calma. Ma soprattutto impostando la scuola secondo gli stessi principi. Attraverso aneddoti e riflessioni, teorie e dati, esperienze personali, Bueb delinea un’utopia molto concreta: una riforma radicale dell’insegnamento che infranga la tirannia del sistema rimettendo al centro l’anima e la creatività delle persone.
Bernhard Bueb
Bernhard Bueb (1938) è studioso di filosofia e teologia. Dal 1974 al 2005 è stato direttore di un esclusivo collegio privato tedesco. Con Rizzoli ha già pubblicato Elogio della disciplina (2007).