Pagine

martedì 23 aprile 2024

Sabato 27 e domenica 28 Aprile in scena Omaggio a William Shakespeare 60 anni dopo

 


di Maria Serritiello

60 anni fa, era il 1964, Sandro Nisivoccia e Regina Senatore misero in scena il primo spettacolo del Teatro Popolare Salernitano, omaggiando William Shakespeare.

Per tale occasione si terrà un GALA  di TEATRO presso la Sala Parrocchiale della Chiesa "Santa Maria Madre della Chiesa. La Sala sarà inaugurata e prenderà il nome 

              

                              IL SIPARIO DI SANDRO E REGINA  



  



mercoledì 17 aprile 2024

“Penelope l’eredità delle donne” di Marco Balma con la Compagnia degli Evasi di Castelnuovo Magra (SP) penultimo spettacolo al 15esimo festival Nazionale Teatro XS città di Salerno

 


Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Con “Penelope” di Marco Balma si torna a parlare della donna, argomento mai esaurito, perché la questione femminile è sempre di prepotente attualità. Il viso di Vanessa Leonini, adattamento del testo e regia, simile ad una maschera greca, di quelle che si ritrovano ogni tanto negli scavi archeologici, è sulla scena a fissare il pubblico, in modo quasi accusatorio, a raccogliere pensieri per dare vita al drammatico atto unico, nella penultima serata del 15esimo Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno.

Il viso statico di Penelope, per un buon lasso di tempo, resta immobile, l’attesa deve essere introiettata, il pubblico deve sentirsi coinvolto da questa sospensione, che è poi la caratteristica della donna più paziente della storia epica di Omero. Dietro di lei, seduta su di una panchina, c’è buio, note musicali dolorose, silenzio, quasi ad attendere rassegnazione, adattamento, accettazione, tolleranza. La Penelope della Compagnia degli Evasi di Castelnuovo Magra (Sp), vivaddio non è come Omero ce la tramanda, potenza dei tempi, ma una donna che vuole per sé amore, rispetto, diritto di essere felice, autonomia di decidere per il proprio destino e il proprio corpo, non solo, ma anche la capacità di lottare per sconfiggere stereotipi che la vogliono fragile e limitata perché, si sa le donne non vanno in guerra e non sono abbastanza forti.

La mente va da sola (N.D.R.) al primo romanzo di Oriana Fallaci del 1962 “Penelope alla guerra”, appunto, che è un’esortazione a ribellarsi alle convenzioni imposte dalla società e a vivere fino in fondo le proprie passioni, anche quando la scelta ci porterà ad amare “chi non lo merita, quasi che questo fosse l’unico modo per ristabilire l’equilibrio perduto del mondo”.

Si, una distrazione di genere ed una considerazione che ancora oggi, noi donne si ha bisogno di rappresentazioni forti, per accendere interesse ed opposizione. Intanto Vanessa Leonini con un gruppo di prefiche, tutte in nero, danzano con passione e recitano in coro lemmi a favore di tutte le donne. Un insieme perfetto di movimenti sincronici che portano al parossismo i sentimenti raccolti ed espressi.

“Come batte il cuore di una donna, cosa vuole il cuore di una donna, cosa chiede il cuore di una donna, come soffre il cuore di una donna. Il cuore di   una donna sa combattere, sa essere leggero. Se quel cuore è il cuore di Penelope, da quel cuore possiamo molto imparare.”

Sono le frasi che compongono le lamentazioni del coro e danno la spinta alle riflessioni su quanto ancora c’è da combattere per acquisire diritti naturali

E così la domanda: quanto tempo dovrà ancora passare prima che l’attesa finisca? E quanto ancora prima che Penelope/donna possa essere una persona libera da schemi autoritari? E quando uno spettacolo così bello ed articolato farà storia dietro le spalle dell’altra metà del cielo?


Maria Serritiello

www.lapilli.eu



venerdì 12 aprile 2024

“Oltre la striscia” de La Corte dei Folli di Fossano (CN), ultimo spettacolo in gara per il Festival Nazionale XS città di Salerno

 

Fonte: www.lapilli.eu 

di Maria Serritiello


La striscia di Gaza entra prepotentemente nel nostro quieto pomeriggio teatrale, del 7 Aprile e ci sobbalza la vita. Il “nooooooo” urlato da Akram, con quanto fiato ha in gola, attraverso il riquadro, che funge da finestra, nello scantinato pieno di oggetti alla rinfusa, avvia la storia che si ascolterà con sentimenti diversi ma anche avversi.

La storia di per sé è ridotta all’essenziale e dopo l’urlo feroce, Akram rientra nello scantinato, trascinandosi dietro un soldato che ha preso come ostaggio e comincia la lotta, se ucciderlo o meno.  Nulla si sa dei due uomini che si avvinghiano come serpenti, a volte sovrasta l’uno, altre volte l’altro, ma sempre come due acerrimi nemici, di fazioni opposte. La guerra che sta proprio sotto i nostri piedi, la ritroviamo al nostro fianco, con tutte le implicazioni possibili, per cui Akram medico è rimasto in Palestina per poter curare la propria gente, mentre Rinan abbandona la sua terra d’origine per andare oltre la striscia

E Gaza con le sue stragi giornaliere, con gli orrori inimmaginabili, con uomini che più non ricordano l’umanità, ci avviluppa in un’aria opprimente, claustrofobica, priva di atmosfera pura e limpidi cieli, ma solo fumo provocato dagli scoppi, con l’odore acre delle bombe. Scorre il tempo e nello scantinato buio, senza spiraglio di salvezza, avvolto da una colonna sonora che simula l’atroce dolore di un popolo infelice, si consuma una tragedia familiare oltre il dramma collettivo della striscia. Akram e Rinan sono fratelli, quest’ultimo ha ucciso i suoi genitori perché considerati nemici. Un tuffo al cuore, alla rivelazione e non si aspetta che l’esito finale che arriverà,  com’è giusto che sia.

Tempismo drammaturgico o solo intuizione che “Oltre la striscia” può funzionare teatralmente, essendo la guerra appartenerci più di quanto possa sembrare?  Il pezzo è stato scritto nel 2014 da un giovane e promettente napoletano, Fabio Pisano, classe 1986 ed ha tutti gli elementi in sé per essere un piccolo capolavoro di antica tragedia.  Così all’interno della drammaturgia si assiste ad una guerra nella guerra che poco ha a che fare con l’ostilità reale. Entrano in gioco altri punti di vista, secondo me (N.D.R.) con la lotta che stanno vivendo. E riflettiamo: è vero che Akram non ha scelto, non ha lasciato la striscia, continuando ad esercitare la professione di medico per la sua gente, mentre Rinan ha preferito andare via per realizzarsi come soldato ed ancor più come libero innamorato. La sua donna colpita nella striscia non viene salvata da Akram, che, a sua difesa, non la riconosce e Rinan per vendetta, uccide i suoi, i loro, genitori, riconoscendoli, a sua discolpa, come nemici. Un po' riduttivo, sicché il valore sacro della guerra, che pure c’è, si copre di un bieco delitto, ma tant’è oltre la striscia, la via è senza ritorno, scampo non c’è e così sarà.

Una regia attenta, puntuale, carnale e vitale, come ampiamente si conviene all’età dei due giovani e prestanti attori, Stefano Sandroni e Lorenzo Ravera, spasmodici ed inquietanti nella loro performance artistica, sapientemente sorretta da una colonna sonora, ora tragica, ora elegiaca, ora mesta, ora intrisa di lamenti, tre d’union tra la scena ed il pubblico, è stato l’elemento in più

Ad un ottimo Pinuccio Bellone, regista di spiccata bravura, attento ad ogni passaggio della narrazione, fino al tocco finale della caduta degli aquiloni e quindi della caduta dell’infantile innocenza dei due fratelli, che il Festival XS ha imparato a conoscere nel tempo, va tutta la mia stima teatrale ed umana

La Corte dei Folli di Fossano (CN) ha partecipato, precedentemente a tre edizioni del Festival vincendole tutte e più precisamente:

Edizione 2015 con "Piccoli crimini coniugali" di Eric-Emmanuel Schmitt;

Edizione 2018 (decennale) con "Tango" di Francesca Zanni;

Edizione 2019 con "Nel nome del padre" di Luigi Lunari.

 

Maria Serritiello

www.lapilli.eu




domenica 24 marzo 2024

Jace Serritiello 15 ottobre 2013- 23 Marzo 2024


 

di Maria Serritiello


Ieri il mio piccolo Jace mi ha lasciata, un dolore insopportabile 


Fioriva la mimosa

                                         Maria Serritiello

Fioriva la mimosa

e la mammola nascosta con il suo profumo...

Il poggiolo aspetta l'abbaio ed il passero compagno.

Le imposte sono chiuse,

la mamma cosi ricorda Lulù.

La casa è vuota e lacrime nei giorni.

 

Per Jace

22/2 /2024


I giorni della veglia

 

I giorni della veglia

il sepolcro è già infiorato,

le fresie rendono

l’odore della Pasqua,

di un tempo familiare

Ora una sola vestale

ad accudire

il trapasso lento del Cristo

sulla croce.

 

Sono il dolore

di un’intera vita,

mio piccolo Jace

23 – 3- 2024    per Jace    Maria Serritiello

  








giovedì 14 marzo 2024

"La giornata perfetta" è il tema del IV concorso fotografico dedicato ad Antonio Serritiello

 


di Maria Serritiello

Si bandisce il IV° concorso fotografico dedicato ad Antonio Serritiello.

Il concorso fotografico giunto alla sua quarta edizione, voluto da Maria Serritiello per ricordare il caro fratello Antonio, ha lo scopo di mantenere viva la sua memoria nel territorio che l’ha visto operante e partecipe, rivolgendola a quanti hanno conosciuto e amato la sua onestà, laboriosità, attaccamento alla famiglia ed al valore sacro dell’amicizia.

Tema

LA GIORNATA PERFETTA

Ispirandoci alla filosofia dello scrittore napoletano Raffaele la Capria racchiusa nel libro "La bella giornata", che dice:

“Ciascuno di noi aspetta la bella giornata

legittimamente, tutta la vita.

Anzi, è la volontà stessa di vivere.

... È la causa della vita, quell'attesa:

una speranza che noi nutriamo,

altrimenti l'esistenza sarebbe inutile viverla.”

Il tema scelto per questo quarto concorso lascia ampio spazio ad interpretazioni libere e creative.

Inviaci le foto che rappresentino la tua ideale "Giornata perfetta"



 


Al Teatro Ridotto di Salerno Ettore Massa e Massimo Carrino in “Giornalisti quasi disoccupati


Fonte.:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Nei giorni scorsi, al Teatro Ridotto di Salerno, all’interno della rassegna Che Comico 2023/2024, direttore artistico Gianluca Tortora, è stata presentata una cab commedia gradevolissima. In scena Ettore Massa e Massimo Carrino in “Giornalisti quasi disoccupati”. Il pezzo è tutto incentrato a cercare, per non essere licenziati dal giornale, dove lavorano i due articolisti, di far passare fake news per fatti reali, il tutto condito da una vena ironica, che ha divertito molto il pubblico.

Idee semplici, grande affiatamento, buona professionalità e garbata capacità di porgere situazioni già espresse con delicata e mai aggressiva comicità, magari facendo il verso a personaggi più famosi, televisivamente parlando, ma con una ironia mai saccente, che fa divertire prima loro stessi e poi il pubblico. La loro schiettezza è naïve tanto da divertirsi loro stessi con mal celate ridarole. Niente di speciale è’ vero, ma sono sinceri e fanno di una loro normalità comica il momento vincente dello spettacolo. Serenità ironica, la loro che li trasforma in comici tranquilli della porta a fianco senza mai scadere nel clamore del linguaggio scurrile, se non becero che i tempi attuali hanno sdoganato con disinvoltura. Comici semplici, ma grande affiatamento ed indiscussa capacità professionale, per una ironia semplice, di una serata sicuramente riuscita piacevole.

Gli altri due incontri, previsti per l’annata comica 2023/2024, si terranno nel Teatro delle Arti, per concludere degnamente la selezione comica di quest’anno.

Maria Serritiello

www.lapilli.eu




 



giovedì 7 marzo 2024

Il 3 marzo scorso è stata la volta, al Festival Nazionale XS, città di Salerno del “Baciamano” di Manlio Santanelli, con il GAD città di Pistoia


Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

 

Si sa, la vanità è donna e non vi rinuncia neanche Ianara, una lazzara di razza pura, che si appresta a cucinare un povero giacobino prigioniero, trattenuto nella sua misera casa. Ricoperta di stracci che fungono da vestiti, scigliata e furiosa, si esprime, infatti, con rabbia e con toni che polverizzerebbero qualsiasi corda vocale, la sua no (brava l'attrice), per tutto il tempo dell’ora di rappresentazione.

La lingua, un dialetto stretto, con parole perse nel tempo, ma che hanno una musicalità incontrovertibile. La pièce gira tutt'attorno, non al dover trovare un pentolone di proporzione esagerata, dove far affogare il prigioniero e dare, così, al libero sfogo al cannibalismo, praticato da tutti i componenti della famiglia, come fatto usuale, ma all'insoddisfazione della donna per il suo stato di soggezione a quel marito che di umano ha solo la fisicità. Abbrutita da una vita scadente, oltre misura, da gravidanze, cinque, sopportate suo malgrado, ingabbiata da una da fatica giornaliera dell’ordine la casa, della cucina, del lavaggio dei panni e dell’accudimento dei suoi chiassosi ed ineducati figli, ha qualche sogno inespresso, eh sì, quando passa dinanzi al piccolo specchio, appeso al muro, inspiegabilmente, del suo tugurio. Intanto il povero giacobino, legato, imbavagliato attende la sorte malevole che gli tocca, incassando calci e pugni dalla donna che non riesce a trovare un recipiente adatto per la sua cottura, anzi lamenta che è troppo massiccio e che tirargli il collo le fa specie.

Intanto, la cultura e le buone maniere, lavorano, in prima battuta tutto a vantaggio del giacobino, che su di esse pensa di fondere la salvezza. Forse è anche questo il messaggio tra le righe dell’autore, che   la conoscenza batte la forza bruta dell’ignoranza, malgrado come va a finire la rappresentazione. Saldamente resto attaccata a quest’ idea (N.D.R.) che rende accettabile questa pièce, abbastanza inconsistente, che si rafforza solo quando Ianara racconta la favola di “Ficuciello”, attingendo con disinvoltura alla tradizione orale, in lingua dialettale, a lui   che si finge bambino tutt’orecchie per ingannarla. Il baciamano, poi, che porge alla donna, ormai convinta di aver abbattute le distanze sociali in sol colpo, è l’inganno che meglio gli sia riuscito, ma non gli rende salva la vita.

“Il Baciamano” portato in scena dal GA D di Pistoia, per la prima volta all’XS di Salerno, con i due interpreti: Lucia Del Gatto e Gennaro Criscuolo, il secondo anche regista dello spettacolo, hanno reso efficace l’esibizione, coadiuvato dai suoni scelti da Marina Criscuolo e dalla scena e costumi curati dallo stesso GAD. Eccezionale Lucia Del Gatto ad aver prestato quanto fiato avesse in corpo e tutte le sfaccettature della sua gola, per dare vita ad una Ianara che più lazzara di così non si poteva impersonare. Discreto quanto disinvolto il giacobino, una figura posto proprio per dare lustro al baciamano della sguaiata popolana. Quanto al dialetto, così perfetto, usato senza alcuna inflessione toscana, se ne capisce la ragione, la Ianara in questione è nativa di Torre del Greco.

Maria Serritiello

www.lapilli.eu




martedì 5 marzo 2024

A 5 giorni dalla sua scomparsa

 


di Maria Serritiello

Solo oggi, a 5 giorni dalla tua scomparsa, trovo il coraggio di scrivere  e neanche mi viene tanto bene...infatti già mi sono fermata e guardo la pagina bianca senza alcun interesse. Tu mi sei dinanzi e dalla tua altezza mi guardi, come quando ti ho visto per l'ultima volta a settembre, camicia e pantalone bianco, dinanzi alla chiesa di San Benedetto. C'era la tua musica, suonata nel concerto dei 4 offerti gratis a chi ama ascoltare buona musica ed io come sempre ero là presente per seguire le tue creazioni. Una premonizione, il pallore del viso, confermato di lì a poco, proprio da te: "Marì ti devo dare una notizia, non sto bene..."

Il concerto mi arrivò alle orecchie, ovattato, le tue parole da sole a martellarmi le tempie.

No, non ci riesco a considerare che tu non sia più tra noi e scrivere mi è davvero impossibile, scusami Guido. Vederti uscire dalla chiesa, al tuo funerale, è come se un pezzo di vita se ne fosse andata. La gioventù te la sei portata con te a noi hai lasciato brandelli di vecchiaia sicché là improvvisamente tutti abbiamo avuto un'età avanzata e stanca. 

Provo a ricordarti con stralci di miei scritti per te e scusami se non riesco a dirti nulla di nuovo, non saprei dirti di meglio, quelli li ho scritti per te, ma presente.


Che bel lavoro, Maestro Guido Cataldo, pensato amorevolmente per i tuoi cuccioli, così come li indichi, nella dedica iniziale, ma anche per i bambini degli altri, è come se avessi voluto dare, in eredità il tuo mondo poetico, fantastico, musicale. La tua anima! Hai voluto lasciare traccia, ed ecco la ricerca accurata nell’organizzare il lavoro, per dire pedagogicamente ai fanciulli di quest’era di guardare a fondo, non accontentarsi di hic et nunc, tanto di moda, perché la tradizione ci dice da dove siamo partiti, importante per dove si vuole arrivare.

 

E ce l’hai fatta, Guido, noi adulti che ti leggiamo ci siamo emozionati, siamo tornati indietro nel tempo, e non con melensa nostalgia, ma con la consapevolezza che, barra diritta, abbiamo dato e diamo con l’entusiasmo giovanile, ogni giorno.

 

PS. In un giorno di fine anno, nel cortile della scuola media di Oliveto Citra, io e te e tutta la scolaresca, di cui eravamo insegnanti, abbiamo rappresentato Cicerenella. Uno dei ricordi più limpidi…

 

Mi sia consentito l’amarcord personale per i fratelli Cataldo. Il primo: “Bartolino”, impeccabile nel suonare il piano, mio compagno di banco nell’ultimo anno di scuola superiore, ora affermato giornalista oltre oceano, rivisto una sola volta e per caso, in tutti questi anni trascorsi. Il secondo “Guido” l’ottimo collega di classe e di viaggio nel raggiungere quotidianamente la sede scolastica di Oliveto Citra. Io e Guido, insieme, su di un testo “O cunte e Cicerenella” scritto dal padre e da lui musicato, a fine anno, riuscimmo a far recitare e cantare tutti gli alunni della scuola. Peccato non ci sia traccia visiva di questa performance, siamo negli anni ’80 e ancora non era scoppiata la mania del telefonino fotografo, ma nella mente, nel mentre scrivo, sono là, nel cortile assolato della scuola, con accanto il Maestro Cataldo che mi accompagna con la sua chitarra, e canto felice, si perché la musica mi rende felice, con tutti i nostri alunni.

Venerdì 9 dicembre al Teatro delle Arti di Salerno è stato rappresentato un lavoro inedito del Maestro Guido Cataldo, dal titolo “Voce e notte” che, sebbene non ci sorprende più per la sua bravura, riesce sempre a suscitare forti emozioni, in qualsiasi campo si cimenti e venerdì scorso è stata la scrittura ad essere privilegiata.

 

Attingere, ogni volta, al patrimonio creativo del Maestro Cataldo è uno stato di grazia che ad ognuno di noi fa bene, una bella pausa di emotività e un pieno di poesia, per la dolce storia d’amore raccontata.

 

Naturalmente tutto parte dalla musica e precisamente dalla canzone “Voce e notte”, la più bella serenata mai scritta da un innamorato per la sua bella perduta. Quasi tutti conoscono la melodia ma molti ignorano la vera storia da cui è tratta la canzone e cioè l’infelice vicenda del poeta Eduardo Nicolardi.

 

A supplire questa mancanza ci ha pensato il maestro Guido Cataldo, scrivendo una delicata vicenda, scegliendone anche le musiche, poi, con l’ausilio di Gaetano Stella, per la regia e la compagnia teatrale di Serena Stella, sua figlia, ha confezionato una perfetta commedia musicale. Il maestro nella composizione del copione si è lasciato guidare dai versi composti da Nicolardi e che musicati hanno dato luce a canzoni famose, ma anche alle tappe della sua vita

ORCHESTRA POP SALERNITANA

LA RECENSIONE

Bella serata, quella del 6 febbraio, presso il Teatro Augusteo di Salerno, grazie al Maestro Guido Cataldo e alla neonata Orchestra Pop Salernitana, da lui diretta e voluta. Dopo la filarmonica del Teatro Giuseppe Verdi, diretta da Daniel Oren e dopo l’orchestra jazz dei Deidda e di Vigorito, l’orchestra pop di Cataldo chiude il cerchio musicale in città. Dinanzi ad un pubblico affollatissimo, i 30 elementi, che compongono l’orchestra, hanno dato vita ad un concerto di musica moderna di grande qualità. E’ “Azzurro”, la celebre canzone di Adriano Celentano, a fare da sigla iniziale alla presentazione ufficiale dell’orchestra, con un Guido Cataldo, maestro di consumata esperienza, emozionato e commosso. Si presenta in scena con l’inseparabile sassofono, tenuto stretto tra le braccia, come per farsi coraggio, il creatore della Polymusic e prima ancora il musicista di spicco degli Astrali, il complesso degli anni ’60, più amato dai salernitani. “Questa nuova iniziativa arricchisce il panorama artistico e culturale della nostra comunità che si conferma sempre più attenta ai fermenti espressivi più variegati” dice il primo cittadino Vincenzo De Luca, nella brochure di presentazione e continua “ il Comune di Salerno ha deciso di puntare sempre di più sulla cultura, tanto come elemento dell’identità civile, tanto come strumento di attrazione”. E l’attrazione ci sta tutta, trenta elementi, fra musicisti e cantanti che nei loro tour nazionali hanno accompagnato star, dal calibro, di Claudio Villa, Nicola Di Bari, Peppino Di Capri, Barbara Cola, Rita Pavone, James Senese, Wilma Goich, Ivan Cattaneo, Tony Esposito, per citarne alcuni. Un patrimonio d’esperienza accumulata, da non disperdere, da trasferire nelle giovani generazioni, perché rimanga viva la continuità. Anni addietro ad iniziare il cammino del successo fu il salernitano Jimmi Caravano, che nel lontano 1959 vinse la selezione cantanti “Voci Nuove”, insieme a Milva, con il notissimo Maestro della Rai Cinico Angelini e da allora un successo dopo l’altro in tutto il mondo. A lui, presente in sala, è andato l’affettuoso tributo di tutto il Teatro Augusteo, in piedi per la consegna del “Microfono d’Argento”un riconoscimento alla sua luminosa carriera. La continuità del cantante salernitano, sul palco, ora l’hanno raccolto i cantori a cappella “I Neri Per Caso”, rispettivamente figlio, Mimì, e nipoti del grande Jimmy, che, il Maestro Claudio Mattone, lanciò nel festival della canzone di Sanremo qualche anno fa. Nel cerimoniale dei saluti non sono mancati quelli delle due orchestre del territorio salernitano, nelle figure del Maestro Giancarlo Cucciniello e il Maestro Guglielmo Guglielmi, presente anche il Maestro Antonio Marzullo, segretario artistico del Teatro Verdi. L’assessore Ermanno Guerra, poi, ha ricordato come l’amministrazione comunale, che ha sostenuto il progetto della nuova orchestra, si stia impegnando per arricchire l’offerta culturale e artistica della nostra città. L’Orchestra Pop Salernitana ha eseguito, per la gioia dei presenti, pezzi musicali di grande valore, arrangiati in modo personalissimo e con stile moderno a partire da: “Dieci Ragazze per me”; “Un amore così grande” ; “Se mi lasci non vale”; “La nostra Favola” di Jimmy Fontana, cantata in modo impeccabile dal grande Gaspare Di Lauri; “Se telefonando” di Mina; “Gloria” di Umberto Tozzi; “Meraviglioso” di Modugno e tanti altri brani, entrati a far parte della colonna sonora della nostra vita. Poi, il Maestro Cataldo, ha voluto regalarci un’emozione intensa suggestiva, unica, la versione per sax tenore e orchestra del brano”Nessun Dorma”. Il sublime si trasferisce nel teatro e l’applauso irrompe fragoroso e si mantiene a lungo tra gli spettatori, un bis ci sarebbe stato tutto! Infine per i musicisti e i cantanti, tutti bravi e seri professionisti, ecco i loro nomi, in un doveroso elenco: Antonio Panico, Massimo D’Apice e Rosapia Genovese, ai sassofoni, alle trombe: Franco Mannara e Antonio D’Alessandro, al trombone: Fortunato Santoro, alle tastiere: Gianni Ferrigno, Siro Scena e Casimiro Erario; al pianoforte, Renato Costarella; alla chitarra elettrica Angelo Napoli, a quella acustica Fabio Raiola; al basso Francesco Maiorino; alle percussioni: Oreste Vitolo; alla batteria Enzo Fiorillo; ai violini Danilo Gloriante, Tommaso Immediata, Carmine Meluccio, Lidia Nicolla, Giulio Piccolo, Roberto Casaburi, Annalisa Moriello; alle viole: Pasquale Colabene, Carmine Matino; al violoncello: Antonello Gibboni. Il coro era formato da: Gaspare Di Lauri, Angela Clemente, Alfonso Tortora, Giorgio Veneri, Valentina Ruggiero, Samantha Sessa e da Diana Cortellessa che, per una brutta faringite, non ha potuto far ascoltare la sua stupenda voce. La serata è stata presentata con la solita bravura e simpatia dal notissimo attore salernitano Gaetano Stella e si è conclusa con un medley di canzoni degli anni sessanta e settanta. 

Maria Serritiello

www.lapilli.eu 25 FEBBRAIO 2011

Mi fermo qui, poi raccoglierò altri scritti

Ciao mio nobile amico




 





domenica 25 febbraio 2024

Terzo appuntamento del XV Festival Nazionale XS città di Salerno, secondo in concorso, con “La Signorina Papillon” di Stefano Benni, con Ellemmeti Libera Manifattura Teatrale Napoli

 


Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

E’ inutile girarci intorno, la scrittura di Stefano Benni è colta, ironica, intellettualistica, satirica; un coacervo di stili, di giochi di parole, di citazioni, tra le tante, “Parigi brucia”, di situazioni reali o irreali, un confine non mai specifico, che usata per una commedia “La Signorina Papillon”, destabilizza un po'. Si ha l’impressione che l’ironia, usata nel raccontare e rappresentare, colpisca direttamente lo spettatore, tanto da confondergli il senso di ciò che sta seguendo. Intanto quello che avviene in scena è sogno o vita reale? E la realtà è pilotata o libera ed il periodo a cui si riferisce è dimensione del XIX secolo o fuori dal tempo? Si rientra così al teatro dell’assurdo, dove tempi e modi non sono definiti. Lo spessore intellettualistico di Benni si fa sentire per intero ed il giardino, ambientazione dell’opera, si comprende metaforico e che in esso si vogliono raccogliere le tante storture sociali.

La signorina Papillon è l’eterea fanciulla vestita di voile bianco, capelli lunghi e biondi che trascorre parte delle sue giornate nello splendido, giardino, ornato da 316 varietà di rose, tutte da lei coltivate amorevolmente. Non è l’unico suo hobby, infatti raccoglie variopinte farfalle e le conserva in vasi di vetro trasparente. Scrive un lungo diario giornaliero, nel quale appunta tutti i suoi pensieri. La vita le scorre tranquilla, felice di questo ritmo abbandonato, lontano dal clamore della città. Il giardino che si coglie metaforico non palesa a che epoca si riferisce, è un non luogo che risente del teatro dell’assurdo. Irrompono, nella quiete bucolica dell’ingenua Rose, in modo maldestro, tre tristi figuri: Maria Luise, l’amica lussuriosa della Parigi che conta, il poeta Millet, uno scribacchino che crede che ricchezza e fame contino più di ogni alta cosa ed Armand, un essere spregevole votato alla violenza e al comando. Tutti e tre hanno un solo scopo convincere Rose a vivere una vita più sciolta, moderna, a trasferirla nella caotica Parigi, per potersi impossessare della sua tenuta, uccidendola.

Inizia così una lunga affabulazione nei riguardi di Rose, con parole, sproloqui di raffinata impostazione, a volte si ha l’impressione che tutto il testo sia un esercizio di stile, per poi gustare la satira grottesca e gli allegri siparietti di ricercata costruzione. Non c’è che dire un Benni in stato di grazia, il tutto a vantaggio di un pezzo raffinato, ma difficile da seguire in ogni sua forma.

Sarà stato vero il complotto o sarà stato tutto un sogno? Meglio credere ad un abbaglio e rifugiarsi in rose colorate e in svolazzanti farfalle che la cruda realtà criminale.

Un plauso convinto va alla Compagnia Ellemmeti Libera Manifattura Teatrale Napoli. per la scelta del testo non facile e la capacità interpretativa di tutti e quattro gli attori. La Compagnia è alla sua prima volta al Festival XS

Stefano Benni, Bologna 12 agosto 1947. E’ uno scrittore, umorista, giornalista, sceneggiatore, poeta e drammaturgo italiano.


Maria Serritiello

www.lapilli.eu




 




 

 

martedì 13 febbraio 2024

Mariano Grillo al Teatro Ridotto di Salerno per il sesto spettacolo di “Che Comico 2023/2024, direttore artistico Gianluca Tortora.


 Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Mariano Grillo, ovvero la comicità curata, quella di una volta, quella ricca di contenuti e scevra di parolacce, un testo, il suo, che abbraccia con disinvoltura, le problematiche vissute da ognuno di noi e se le sue riflessioni fanno anche ridere, come succede, tanto meglio. Si presenta al pubblico del Ridotto con la semplicità di un giovanotto di 35 anni, ma con l’esperienza di uomo, marito e padre. Le problematiche che affronta nel suo monologo, sue sono, infatti, il pubblico le sente proprie, fino a creare con Mariano una simpatica empatia. Longilineo, capelli corti, look sciolto e occhi grandi e tondi che sgrana ogni volta, per sottolineare le battute a conclusione delle sue battute, Mariano ci tiene a sottolineare che il suo cognome non ha nulla a che fare con il grillo politico, se non una pura casualità che si tira involontariamente dietro.

Tutto sotto controllo”, questo il titolo dello spettacolo per due sere al Ridotto di Salerno, che malgrado il tempo inclemente e la serata finale dell’onnipresente Festival di Sanremo, ha visto il teatro pieno di persone, fiduciose di essersi create una valida alternativa alla tv ed al divano.

E di battute ne ha sciorinate tante, in quasi due ore di spettacolo, come quelle sul matrimonio per cui dopo due anni, la moglie non chiama, convoca e si deve scattare, o sulla città di Milano, che è conosciuta, sì, per la sua bellezza, ma soprattutto per la ricerca di lavoro dei tanti meridionali e che alla fine l’hanno pure trovato.  Ed ancora altri temi, affrontati con leggerezza, proprio per tenere tutto sotto controllo sono: la pandemia, la guerra, il caro vita, la società sempre più indifferente, i rapporti violenti, il clima, insomma il quotidiano di noialtri, che visti con l’ottica umoristica sembrano più sopportabili. Un finale sorprendente, poi, Mariano lo stigmatizza con una lettera aperta ed indirizzata ai suoi due figli, nella quale trabocca tutto l’amore per i suoi piccoli, un maschietto ed una femminuccia. Conclusione degna del suo spettacolo, con l’amore paterno da non tenere sotto controllo e questo ci è piaciuto assai!

Maria Serritiello

 

Mariano Grillo, attore e comico, è nato a Napoli trentasette anni fa.

Debutta a teatro all’età di 10 anni recitando nella compagnia del padre, per continuare, divertendo i suoi compagni con sketch e barzellette

Nel 2013 la RAI lo sceglie come comico emergente e lo ospita in vari programmi Tv. A Napoli partecipa al laboratorio comico di Made in Sud

Nel 2014 è vincitore del premio nazionale “Campania Felix” come miglior Attore protagonista.

Nel 2019 porta in scena al fianco di Fabio Brescia in “Due comici in Paradiso” di Biagio Izzo e Bruno Tabacchini

Vincitore del Premio Charlot e del Premio Massimo Troisi ad ottobre 2022 debutta a Zelig a Milano con il suo spettacolo “Tutto sotto controllo” In teatro porta in scena i suoi testi e di questi ne è autore e protagonista.

 



giovedì 8 febbraio 2024

Art Teatro e Teatro 99 posti di Mercogliano in Uscita di Emergenza di Manlio Santanelli hanno dato inizio al 15 esimo Festival Nazionale XS città di Salerno, promosso dalla Compagnia dell’Eclissi


 Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Con “Uscita di Emergenza” di Manlio Santanelli e la compagnia Art Teatro e Teatro 99 posti, di Mercogliano è iniziato il 15 esimo Festival Nazionale XS città di Salerno. In scena Paolo Capozzo ed Alfonso Grassi nei panni di Cirillo e Pacebbene, l’uno, suggeritore di teatro e l’altro, sacrestano fuoriuscito dalla chiesa, due personaggi sotto lo stesso tetto uniti dalla loro stranezza e da una situazione precaria. Per 70 minuti, tanta è la durata del pezzo, hanno tenuto discussioni in apparenza di poca sostanza, ma che invece toccano temi importanti come: la solitudine, l'affettività, la propria realizzazione, l'amicizia, la paura, l’immobilità. Lo scambio di vedute, tra loro, è sempre acceso e va ad intrecciarsi in discussioni che risentono di un certo teatro dell’assurdo, che alla fine si va ricomponendo, con l'esistenza di una possibile uscita di emergenza per la salvezza.

Siamo in pieno bradisismo, in un caseggiato enorme e senza che nessuno lo abiti, con falle, scrostazioni, soffitti cadenti e muri sfondati, hanno trovato riparo Pacebbene e Cirillo, senza che tra loro ci sia affinità elettiva, se non per risolvere il problema abitativo. Nell'unica stanza utile ci sono due letti, un tavolo, una sedia e due valige contenenti gli effetti personali dei due strani amici. La conversazione tra i due è sempre frammentaria e si accende fino al parossismo, fino a dirsi delle stoltezze, per poi spegnersi perché è chiaro che l'uno ha bisogno dell'altro e se sono là, da soli, senza che nessuno li cerca, li chiami al telefono, gli offra lavoro, una ragione ci dovrà pur essere. Sono insieme per non naufragare, tentano di sopravvivere narrandosi assurdità, rasentando la follia, un rapporto sadomasochista, il loro, che li unisce e li respinge per tutta la durata del giorno e a volte della notte, quando si spiano a vicenda per sapere i segreti dell’altro. I travestimenti di Pacebbene e i suoi desideri assurdi colorano, unitamente ad un linguaggio impastato di italiano e di dialetto, situazioni che oscillano tra il comico ed il tragico. La smania di uscire da quel volontario isolamento, poi, è disattesa ogni volta, basti pensare, però, che può sempre esserci l’uscita di emergenza, alla fine.

“Beati i senza tetto perché vedranno il cielo” è Pacebbene a dirlo e mai citazione è più opportuna, per i crolli improvvisi che ripetutamente si squarciano sulle loro teste.

 

Paolo Capozzo ed Alfonso Grassi, ovvero Cirillo e Pacebbene hanno ben personalizzato i due personaggi che, grazie alla loro interpretazione, sono andati al di là di un umorismo macchiettistico, che pur si poteva paventare Una “non cosa” che ha tuttavia evidenziato una coppia di attori generosi, volenterosi e bravi nel districarsi con un testo accattivante, ma non semplice. La scena, scarna di orpelli, ha ridisegnato con naturalezza le porte e le finestre sventrate dell’impossibile abitato, per cui i miagolii dei felini ed il brontolio del fenomeno sismico sono entrati di prepotenza nella probabile casa, creando un clima di attesa o di disattesa, come si vuole interpretare.

Maria Serritiello

 

 

Uscita di Emergenza di Manlio Santanelli

Art Teatro e Teatro 99 posti di Mercogliano Con Paolo Capozzo ed Alfonso Grassi

Regia Gianni Di Nardo

Luci Luca Aquino

 

Manlio Santanelli è nato a Napoli l’11 febbraio 1938 ed è un drammaturgo italiano.  Laureato in Giurisprudenza con tesi di filosofia del diritto, nel 1962 entra in Rai, dove resta fino al 1980, anno in cui mette in scena il suo primo testo teatrale “Uscita d'emergenza”, Premio IDI (Istituto Dramma Italiano)1979 e dell'Associazione Nazionale Critici Italiani. Nel 1984 va in scena “Le sofferenze d'amore”, testo dal quale viene tratto un radiodramma che vince nel 1985 il Premio Speciale della Critica del Prix Italia. Seguono numerosi altri testi, tra i quali: Regina Madre, Bellavita Carolina, Disturbi di memoria, Un eccesso di zelo.

 



sabato 27 gennaio 2024

Lo Stato contro Nolan di Stefano Massini al Teatro Genovesi di Salerno, rappresentato dalla Compagnia dell’Eclissi. Regia Marcello Andria.

 

Fonte:www.lapilli.eu

Il 15esimo Festival XS città di Salerno, organizzato dalla Compagnia dell’Eclissi, si è aperto il 21Gennaio 2024, con un pezzo di teatro, fuori concorso di Stefano Massini: Lo Stato contro Nolan

La storia

Ad inizio, il sipario è spalancato su di un’aula di tribunale che risulta essere quella della contea di Leister. Il processo, che si consumerà a breve, è quello dello stato contro Nolan, dove Nolan sta per il direttore del locale quotidiano, Leister Telegraph. Che cosa è successo in questo angolo di mondo, nel cuore degli Stati Uniti, detto “posto tranquillo” come si legge dal messaggio di benvenuto, affisso ovunque? Un imprevedibile fatto di sangue, giusto per sconvolgere la vita dei tranquilli cittadini. Ed ecco che, in un giorno qualunque, un bonario vagabondo sconfina, per caso, nella proprietà di una famiglia anabattista, ma viene selvaggiamente ucciso a colpi di fucile dal vecchio proprietario, convinto com’è che il girovago volesse attendere alle virtù della sua giovane nipote Else. I due erano soli in casa e la circostanza non fa altro che amplificare la paura, tanto da far commettere il brutale assassinio. La contea ne resta sconvolta ed ognuno reagisce a proprio modo, aiutato dall’amplificazione del fatto, per meri interessi privati, come si apprenderà dal processo intentato.

Da questo fatto di per sé comune, l’autore, Stefano Massini, costruisce un legal sociale, per affrontare temi civili ed etici e non per assegnare colpevolezze o considerare innocenze, ma per analizzare il valore pubblico della parola, particolarmente di quella stampata, il ruolo essenziale della paura, il rapporto fra interessi finanziari e comunicazione, i confini morali per le leggi di mercato, l’uso indiscriminato delle armi, l’eccesso di autodifesa, la discriminazione e il rifiuto del diverso. Temi di scottante attualità, in un mondo, il nostro che affronta sistematicamente distorsione e manipolazione della realtà per fini politici, aiutati dall’abilità manipolatoria dei mass media.

 

Così, Massini ci presenta un vero e proprio processo e cioè l’accusa di Herbert Nolan, la sua difesa, i testimoni chiamati uno ad uno a depositare: Else, la nipote, il giornalista, il curato e la maestra. Tutti hanno una loro verità e nulla aggiungono di più a quanto già si sa, se non che Nolan ha costruito un battage pubblicitario per settimane, per dare lustro al suo giornale e, lavorando sulla paura dei paesani, le armi vendute hanno fatto accrescere i suoi interessi economici, come azionista della fabbrica. La difesa, intanto è sicura di sé, Nolan non potrà essere accusato, lui ha esercitato il diritto della stampa per attrarre più lettori, anche servendosi di notizie false, le attuali fake news, che tanto confondono l’informazione. “Usare le parole è rischiare: chiunque parla, chiunque scriva, chiunque si rivolga – in qualsiasi modo – a un altro essere umano, accetta di buon grado il pericolo di essere frainteso, usato, distorto.” Lo grida a gran voce il giornalista chiamato in causa. La parola stampata, dunque, fa uno strano effetto sulle persone, tanto da essere considerata, pari d’importanza, alla Bibbia e non fa altro che confermare le paralizzanti paure che albergano, malgrado la reale realtà, nelle persone.

Tutta la rappresentazione ha l’aria di una pièce cinematografica, i tempi sono quelli giusti, tanto da incastrarsi in maniera perfetta, senza poter dare spazio allo spettatore, che resta attaccato, per un’ora e mezza, al processo con un’attenzione maniacale. Il ruolo degli attori è strepitoso, la loro recitazione è curata all’inverosimile e va dagli strilloni, all’accusa, dal giudice alla difesa, dai testimoni a Nolan. Un’eccezionale prova attoriale, che conferma, se ce ne fosse bisogno, la bravura della Compagnia dell’Eclissi e la sapienza delle scelte, operate ogni volta, sicché andare a teatro è soprattutto crescita. Un testo non facile, quello di Stefano Massini, dall’ impianto solido e dove ogni parola ha un peso importante, come quello assoluto delle pietre che va ad incidere, senza sbagliare, coscienze.  Già nella scelta, di un testo così rigoroso, per i temi etici e sociali affrontati, sta la straordinaria capacità di regia di Marcello Andria, che ogni volta si conferma e sempre senza tema di smentita. Un bell’impegno, anche perché gi attori sono tanti e la sua è una riuscitissima prova d’orchestra. Complimenti!

Poi gli attori. Ognuno ha rivestito i panni giusti, dando vita ad un insieme di sequenze senza respiro. Il pubblico, è stato consapevolmente rapito della loro capacità interpretativa e della personalizzazione così opportuna dei personaggi, oltre alla non trascurabile prova di straordinaria memoria, infatti il testo non lascia spazio a nessuna vaghezza mentale. Tutti consumati attori e perfettamente a loro agio nei ruoli assegnati, come l’avvocato Nathan, della difesa, nel sobrio abito scuro e nel quale riconosciamo un sicuro e navigato Vincenzo Tota, o la maestra, tronfia della sua superiorità, Lea Di Napoli o ancora il (procuratore Eleanor E. Miles), l’accusa, Marica De Vita perfetta senza nessuna sbavatura, anzi a suo agio, per severità e sicurezza. Troneggia in tutti i sensi, il giudice Rutherford, ovvero Felice Avella, che ogni volta lascia la sua impronta nei personaggi interpretati e poi tutti gli altri, sistemati nel ruolo giusto ed opportuno per far sì che lo spettacolo risultasse un pezzo importante, direi il più importante di questa stagione teatrale della Compagnia dell’Eclissi, per cui lode a Maurizio Barbuto (il pastore), ad Ernesto Fava, Herbert Nolan, al talentuoso Marco De Simone (Norman Weiss), autore tra l’altro delle musiche originali, ad Alfredo Marino, il caloroso, giornalista, Paul Kapinski, autore insieme ad Emanuela Barone, delle scene ed infine, ma non per questo ultima Gerarda Mariconda (l’impacciata Else). I costumi sono di Angela Guerra, insostituibile nell’apporre la sua firma

Maria Serritiello

www.lapilli.eu

 

Stefano Massini è lo scrittore italiano vivente più rappresentato sui palcoscenici di tutto il mondo. Tradotto in ventiquattro lingue, celebrato da Broadway al West End di Londra, è portato in scena dal premio Oscar Sam Mendes. Nel 2015, dopo il grande successo del suo trittico diretto da Luca Ronconi, viene nominato consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano. Il suo romanzo Qualcosa sui Lehman (Mondadori, 2016), tradotto in vari paesi, è stato uno dei libri più acclamati degli ultimi anni (premio Selezione Campiello, premio SuperMondello, premio De Sica e ora il Prix Médicis e il Prix Meilleur Livre Étranger in Francia). Il suo secondo romanzo è L'interpretatore dei sogni (Mondadori, 2017). Firma del quotidiano "la Repubblica", è volto noto televisivo per i suoi racconti del giovedì nella trasmissione "Piazzapulita" su La7.

P.S Lo spettacolo avrà due repliche, con date da stabilire, in febbraio ed in marzo.

 


 

lunedì 22 gennaio 2024

Addio mio amato Gigi Riva


 di Maria Serritiello

Così ti vorrò sempre ricordare, con questa foto manifesto che ha troneggiato, negli anni '70 nella mia cameretta di giovane appassionata di te. Un Dio greco, bello, forte e vincitore. Il Cagliari era diventa una squadra di casa, sono venuta fino a Napoli, per vederti giocare e tu bellissimo, nello stadio San Paolo eri l'immagine più bella che io ricorda. Con mio fratello Antonio, ora che lo incontri, fatti dire quanto ci hai fatto sognare in Messico '70. In quei giorni di mondiali, dovevo dare l'esame di spagnolo all'università, ma le partite erano un'attrattiva troppo forte, risultò che mi restarono solo 15 giorni per preparare l'esame, ma tant'è vederti giocare era centomila volte più importante per me, cq l'esame lo superai e ti dedicai la vittoria come tu facevi per i goal. Ricordo con apprensione il campionato europeo, nella città di Vienna e dove il giocatore Hoff ti spezzò la gamba sinistra. Vederti uscire dal campo, disteso su di una barella, dolorante, ancora mi addolora. Mi hai tenuto compagnia per molti anni, quel tuo grandissimo post, largo mezza parete, non è molto che l'ho arrotolato e conservato di nascosto in garage. Me lo aveva regalato il mio amatissimo fratello, che ti ha dolorosamente preceduto, conoscendo la mia passione per te ed io avevo regalato in cambio un post bellissimo e traslucido di Jimmy Hendrix. Che ricordi, che emozioni pure, ogni volta che segnavi. Un mare di sentimenti, ora mi agitano, la mia gioventù intrecciata alla tua vita, che manco sapevi della mia, ma la bellezza stava proprio in questa  pura gioia

Non potrò mai  dimenticare la partita del secolo, Italia Germania  4 a 3 dove anche tu segnasti e la gioia notturna si trasformò in apoteosi. Mio fratello, mi chiese il permesso di poter andare a comprare le sigarette, aveva 17 anni e dinanzi a me non aveva ancora fumato. Fui indulgente, quella volta e gli diedi il consenso di andarle a comprare nell'intervallo. Potrei continuare con tanti passaggi della mia vita dove tu sei stato presente, ma io stasera devo stare concentrata per trattenerti nei miei ricordi, da domani sarai di tutti ed è giusto che sia così, sei stato e resterai il grande del calcio italiano ed io così voglio tenerti per sempre







“Pasquale Palma”, ovvero My nome is sbelut è per due sere lo spettacolo che ha rappresentato al Ridotto di Salerno, in ripresa dopo la pausa natalizia.

 

Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Sbelut è certamente uno stato che Pasquale rappresenta in maniera degna, anche in maniera fisica ed allora, dinoccolato, capelli arruffati, camicia sblusata, affronta i vari problemi che lo rendono "sbelut". Inizia con esaltare il mare, quel mare che è un elemento indispensabile per vivere in modo equilibrato. Affronta vari temi con, a volte, monologhi non sense che gli fanno dire di non farcela più. Anche la televisione lo svilisce, con personaggi, come Filumena e Gerardo, che fanno il verso alle fiction popolari. Poi, affronta il problema body scening e lo conclude a modo suo, con una battuta che fa sorridere, ma non divertire. Ecco, i temi trattati sono quelli che ci ronzano intorno ma da Pasquale sono esposti più con malinconia che con divertimento, come se avesse preso coscienza che c’è poco da ridere e per questo è Sbelut.

Il pezzo migliore, dove Pasquale, con la parola “Cavere”, il caldo, fa l'imitazione di Peppe Barra infiammando lo spettacolo, ci ha fatto rimpiangere la sua imitazione di Nino D’Angelo, che per l’occasione è Vivo D’Angelo, caschetto biondo ed il mantra ripetuto “ Anna Marì”.

Insomma uno spettacolo di svolta, una comicità pensata, che affronta problemi attuali con la leggerezza della risata e non con il vuoto delle parole, solo accattivanti.

Uno spettacolo stuzzicante, il suo, pieno di buone intenzioni, a tratti divertente, ma da Pasquale Palma ci aspettiamo di più, perché in passato ha dimostrato di saperlo fare. E" in crescita e con questo spettacolo è visibile.

Maria Serritiello

www.lapilli.eu

 

Pasquale Palma,

Nasce a Napoli nel 1986 e cresce a Giugliano in Campania (nell’area nord di Napoli). Fin da piccolo, mentre tutti i suoi amici sognano di diventare i nuovi Maradona, Pasquale resta affascinato da Totò, Sordi, Troisi, Verdone




martedì 16 gennaio 2024

il 13 gennaio 2024 è morto Enzo Moscato

 


di Maria Serritiello

Voglio ricordare il grande drammaturgo napoletano con le mie recensioni dei suoi spettacoli. Ogni volta mi sono arricchita e quel suo modo di rappresentarsi toccava le corde più intime del mio sentire.

Un vero dispiacere, ciao Enzo



Presentato al Ghirelli di Salerno il monologo di Enzo Moscato “Compleanno”

“Ma lo sai di chi è il compleanno oggi, lo sai? Lo sai di chi è il compleanno oggi?” A ripetere tristemente più volte la domanda, senza ottenere risposta, è Enzo Moscato, che, strascicando il passo, schiacciato dal peso di quegli anni, trenta per l’esattezza e non più attribuibili ad Annibale Ruccello, sono caduti tutti sulle sue spalle. Lo scenario, ridotto all’essenziale, è efficacemente scuro, mai il nero del Ghirelli è apparso così opportuno, mentre nel buio, come panni stesi, spicca un filare di palloncini colorati, segno che il compleanno davvero ci sarà, almeno come rito che si compie. Al centro della scena una sedia, ricoperta di voile e di rose, attira l’attenzione, mostrandosi come un vero “tosello”, di quelli che venivano creati a Pagani dal compianto Franco Tiano, il principe della tradizione popolare, durante la ricorrenza della Madonna delle Galline. La sedia, trono vuoto e punto della rappresentazione, evoca struggente la mancanza di chi, in questo giorno, avrebbe dovuto compiere gli anni. Enzo Moscato, nel suo intenso pezzo teatrale “Compleanno” unisce allo stesso filo, la vita e la morte di Annibale Ruccello. Quando il 12 settembre del 1986, per un mortale incidente, si spense una delle voci più interessanti ed originali del teatro italiano della seconda metà del XX secolo, Enzo Moscato, suo fraterno amico e collaboratore artistico, in sua memoria compose “Compleanno” dove l’assenza di Ruccello diventa presenza e viceversa. Un monologo che raccoglie, come in un discorso a due, ma è solo Enzo a raccontare, storie ricordi, episodi, avvenimenti, citazioni, tutto condensato in un linguaggio colto, tuttavia popolare, pieno di francesismi, di parole arcaiche e cantilene dimenticate come alcune fra tutte: “nzarvamiente”, “nu mumente, ment accorde stu strumente” “Sant’ Antuone, Sant’Antuone pigliete o viecchie e lasseme o nuove”. In scena mestamente Enzo Moscato, torta e candeline accese, è pronto a festeggiare il compleanno di Annibale Ruccello, perché nel suo cuore l’amico non se n’è mai andato. In alcuni momenti del monologo Moscato tace, sì da rafforzare l’assenza e poter cedere la scena alla musica, quella decisa, mediterranea, dagli arpeggi forti e dalle voci nasali incalzanti dei Gipsy Kings, una in particolare “ Tu quieres volver” (si desidera tornare) a scandire il tempo, le emozioni, i desideri, i ricordi. Ed eccoli i personaggi e i simboli di Ruccello tornare, in una parata surreale: le rose di Jennifer, i travagli di Anna e poi Ferdinando, Ines, Bolero, Spinoza, i sorci, le matte, le gatte, Rusinella, i mutanti, i maniaci, gli innesti, le ibride, i pirati, i priori, gli scrittori, gli inquisitori. Stupenda l’interpretazione di Enzo Moscato che da trent’anni rappresenta con lo stesso identico calore la vita e la morte del suo amico ed anche il piccolo incidente in scena (ha preso fuoco la sua vestaglia mentre si è avvicinato troppo alle candele accese) è segno che di quell’antico sodalizio non si è mai spenta la fiamma “ Chi muore giovane, muore una volta sola, gli altri, quelli che restano, muoiono tante volte”, dice introducendo il lavoro, il giovane attore, personale smilzo, elegante e biondi i capelli, un Ferdinando ruccelliano per bellezza e giovinezza. “Tu quieres volver” (si desidera tornare), ossessiva e forte si diffonde in sala a volume alto, silenziando ogni altra parola. Magari si potesse!

Maria Serritiello

Tratto da www.lapilli.eu

Del 23 febbraio del 2014


Toledo Suite di Enzo Moscato al Teatro Diana di Salerno

Il mondo emozionale di parole e canzoni di Enzo Moscato, è dentro lo spettacolo “Toledo Suite”, presentato in due serate, 19 e 21 febbraio, al Teatro Diana, sala che si apre sulla parte nuova e più bella del Lungomare di Salerno. L’attore-chansonnier, 67 anni il prossimo 20 aprile, attraverso brani di Brecht, Duras, Viviani, Weill, Lou Reed e Taranto, compie un raffinato percorso musicale, aiutato dalla musica di Pasquale Scialò e da Mimmo Palladino per i disegni realizzati.

La scena è volutamente scarna, cupa, senza nessun arredo, se non una sedia al centro, ricoperta da un drappo rosso, con a lato un leggio, interamente addobbato da tondi e scenografici pomodorini. Il fondale è nero, intorno un velario su cui s’imprimono, di volta in volta, scritte ossute di un bianco iridescente. Circonda il tutto, una serie di lucine colorate, intermittenti, a mo’ di luminarie, per trasferirci repentinamente nei vicoli della Via Toledo, addobbata per i suoi santi, indistintamente, laici e religiosi. Quando entra in scena Enzo Moscato, con l’aria dimessa, in punta di piedi, sistemandosi in un angolo, si comprende che vuole mantenere l’attenzione, non su di lui, ma su ciò che si vede, si sente e si evoca. Così tra canzoni, scritti, brani musicali ed immagini visive si snoda l’intero spettacolo di quasi due ore. Accompagnato da un violino, Paolo Sasso, a volte struggente, da una chitarra, Claudio Romano, a segnare il ritmo e dalle percussioni, Paolo Cimino, sapientemente calibrate, tanto da essere l’alter ego di Enzo, si ascoltano canzoni, che hanno fatto il volto pittoresco di una città, tanto bella e tanto maltrattata. Accanto a “Palomma”, la notissima di Armando Gill, a “Romanzetta”, a “Cerasella”, a “Che m’hè ‘mparate a fa?”a “Na voce e na chitarra e’ o poco ‘e  luna”, ad “Anema e core” a “Lusingame” ed a “Scalinatella”, il fior fiore di una produzione che ha accompagnato intere generazioni, troviamo brani composti dallo stesso Moscato, musica di Pasquale Scialò, come: “Toledo suite”, “Diva”, “Il porto di Toledo” che modernamente ci spingono all’indietro. Enzo Moscato dal raffinato intellettuale qual è, ha inserito nella scelta dei brani, perfino un pezzo in lingua giapponese, che senza sforzo linguistico viene cantato amabilmente e con dolcezza, come geisha suggerirebbe. I brani letti fanno affiorare i vicoli, il popolo e tutta quella gente che si affida alla musica per librarsi, per evadere dalla complicata realtà in cui sono costretti a vivere il quotidiano. E non è bello il concreto che si para, prostitute, spacciatori, protettori, micro criminalità, accanto e senza alcuna differenza sociale, a persone oneste, lavoratori e timorati. Questo il volto di Via Toledo, il quartiere della sua infanzia, nello spettacolo affettivamente omaggiato.  E poi c’è il linguaggio che Enzo Moscato usa, una sorta di cantilena che si rifà all’infanzia, quando le parole hanno magia per i suoni arcaici che si tirano dietro, quei suoni che mescola sapientemente a francesismi, a latino, a greco per farne un solo impasto. Per “Scalinatella longa, longa, strettulella, strettulella…” è bastato il movimento del drappo rosso, ondulato dalle sue mani, per entrare nella tormentata passione di un innamorato deluso, il resto lo fa la sua voce, morbida, confidenziale, dai toni che si ascoltano nel passaggio da un vicolo all’altro. Un recital solo come formula scenica, ma per le suggestioni e le emozioni che trasmette è un vero pezzo di magistrale teatro. “Toledo fa paura, ma no è anima pura, non è l’oscurità, o munne cheste sa…” canta Enzo Moscato ed è quello che pensano tutti mentre si allontanano, canticchiandone il motivo

 Maria Serritiello

 26 02 2016


La “Grand’ estate” di Enzo Moscato al Teatro Diana di Salerno

“Grand’estate” è piacevolmente il solito Enzo Moscato, quello che c’è di certo del suo teatro, con le lucine accese e spente a contornare la scena, i pochi ma significativi oggetti, di gusto particolare, sparsi nello spazio recitativo, i veli a rendere fluorescente tutto il racconto ed il fondale nero, su cui si disegnano siluette di corpi femminili, quasi non visibili, gola profonda del racconto convulso ed incalzante, a volte delirante, ma di una logica stringata, per chi segue il suo teatro e le sue tematiche, che, in questo caso, sono di un casino  dei Quartieri Spagnoli di Napoli.

I fatti narrati risalgono all’epoca fascista e all’occupazione dell’Africa orientale, una sorta di “memento” di anni visti dalla parte delle prostitute, ovvero da vittime di uno sport nazionale, sempre seguito, ma che in questo periodo privilegiato. Gli anni vanno dal 1936 fino a fare capolino negli anni ’60, precisamente a quando per la legge Merlin, 20 febbraio 1958, furono abolite le case chiuse. Intanto in vari capitoli di narrazione, troviamo le parole affabulanti, per il loro magnifico suono cantilenante, deliranti ed ossessive, di alcuni personaggi, che in numero di due, interpretano di volta in volta, Sciuscetta, Poppina, Asor Viola, Lattarella, DDT, Fraulè, Doktor, contorniate da cinque figuranti vestiti da marinai, per il richiamo alla navigazione ed una narratrice. Compito di Poppina e Sciuscetta, che già nel suono dei loro nomi si scorge una vita a margine, è quello di mantenere alto il morale della soldataglia e dei gerarchi di stanza nel suolo d’Africa e per questo intraprendono un viaggio sgangherato, pieni d’insidie su di un barcone che le avrebbe condotte in quella terra lontana. Dal racconto pressante e farneticante si apprende la vita degradata e sviata delle prostitute, un’esistenza scandita dalla voglia di loschi personaggi, di ore di attese, di confidenze minime, di visite mediche, di abluzioni per mantenere lo standard al loro corpo, chiuse in un sacrario, vessate da maitresse e costrette a quella vita tutti i giorni, senza un minimo di affettività, per guadagnarsi la marchetta di sostentamento. Eppure quanta dignità umana possiedono “le signorine”, consegnatesi alla vita rassegnate, dall’ immorale povertà, ma non per questo senza codice d’onore, quello che manca alle escort attuali. Hanno pensato, in modo maldestro, che era quello e non altro il loro destino, diventando, così, più “paria” di quanto non lo fossero altre nelle loro stesse condizioni. Enzo Moscato dà loro voce, a mo’ di risarcimento, una pietas intellettiva, che rende giustizia e conoscenza e quello che aggiunge di kitsch o di troppo osato, lo fa per far mandare a mente un mondo, che sebbene esistito e forse esistente, nessuno se n’è mai occupato con l’anima. Nella sua pièce tanta memoria collettiva a rispolverare melanconicamente il passato, come la musica, una parte importante che, ogni volta, invade la scena, ora è L’Isola del tesoro, sceneggiato televisivo di Anton Giulio Maiano, con l’immancabile coro di “Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto…” oppure “Geppina ragazza di fumo” da Risate di gioia di Mario Monicelli, 1960, cantata dalla voce profonda e sensuale di Anna Magnani e da l’eccelso Totò. Ciò che affascina di più e sempre di Enzo Moscato, nei suoi originali spettacoli, è la parola, di cui lui è maestro. Partendo da Gian Battista Basile, segue intrecci ed architettura linguistica con una sua complessa struttura, sicché il linguaggio che ne deduce, e sì assecondato da Basile ma è rinnovato   a suo piacimento. Tra le parole e i detti sciorinati “Marvizzo”, per indicare il tordo e “Salute a fibbia dicette don Fabio” per dire incuranza, sono citazioni tra le altre, che affollano il linguaggio del testo, ripescando dal profondo, dove si sono depositate, per essere in disuso, dato il linguaggio globale di cui si fa uso.  E poi le parole mormorate fiatate a due e ripetute come in un eco immaginario e lo spettacolo s’imbuca in un coro da tragedia greca. E’ quello il suono e quello l’antico impianto culturale con i quali Enzo Moscato ci delizia ogni volta.

“Grand’estate” testo, regia e drammaturgia di Enzo Moscato.

Con Massimo Andrei ed Enzo Moscato

e con Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Gino Grossi, Francesco Moscato, Giancarlo Moscato.

Scena e costumi Tata Barbalato.

Musiche Donamos.

Maria Serritiello

21-04-2016

 Al Teatro Ghirelli di Salerno “Occhi Gettati”

Testo, Ideazione e Regia Di Enzo Moscato

Con Benedetto Casillo, Giuseppe Affinito, Salvatore Chiantone, Tonia Filomena, Amelia Longobardi, Emilio Massa, Anita Mosca, Enzo Moscato, Antonio Polito.

 

“Occhi Gettati”, dove “gettati” sta per dare uno sguardo selettivo su qualcosa che molti, trascurano “una sorta di picassiana Guernica, sul teatro, su Napoli e su me”, come lui stesso definisce il lavoro, scritto nel 1986 e potato in scena dopo trent’anni. Del resto, gli 8 straordinari interpreti, che in cerchio affollano la scena sono corpi smembrati dalla vita, come quelli spiaccicati nell’opera pittorica. Ed eccoli, fin dall’inizio, prendere posto, uno ad uno, con vesti che già raccontano chi sono stati e sono. Nello spazio recitativo accovacciati per terra, attendono la vestizione: il velo. Il fondale è rigorosamente nero, al centro troneggia una maxi scena di San Sebastiano, sparsi a terra petali di fiori per leggiadria di contrasto e sotto Enzo Moscato, seduto dietro ad un leggio, segue, partecipa, interviene, interpreta. Non mancano le lucine da festa di paese, scendere dall’alto come timidi raggi illuminanti e lui, officiante di una liturgia laica, a dare il via ad un racconto convulso, incalzante, a volte delirante, ma di una logica stringata, per chi segue il suo teatro e le sue tematiche. Otto gironi danteschi in cui si muovono: il femminiello, luparella, a strega, desnudo, palummiello ed altre equivoche figure. Le narrazioni appartengono ad un’esistenza di mezzo, a cui Enzo rende giustizia e conoscenza e quello che aggiunge di kitsch o di troppo osato, è per mandare a mente un mondo, che sebbene esistito e forse esistente, nessuno se n’è mai occupato con l’anima.

Il suo vuole essere un ennesimo tributo al mondo altro che abita in ognuno di noi (vale anche per i non napoletani), un mondo da alcuni accettato, da altri rimosso, da altri ancora, solo oggetto di denigrazione e diffamazione e lo fa scegliendo un narrato corale, polifonico con un occhio ai gironi danteschi e un altro all’accettazione che Napule  e’. Quasi un quadro di insieme, una sorta di lascito testamentario artistico, letterario del proprio mondo.

 Nella sua pièce tanta memoria collettiva a rispolverare melanconicamente il passato, come la musica, una parte importante che, ogni volta, invade la scena, ora allegramente con “Angelina”, cantata da Luis Prima, con un americano approssimativo, come la lingua “ broukulina  parlata dai nostri emigrati in America, o come la leggiadria della lingua francese di Yves Montand. Un puzzle di ricordi, di emozioni, stratificati nell’animo del grande artista. Al di sopra di tutto, ciò che affascina di più e sempre di Enzo Moscato, nei suoi originali spettacoli, è la parola, di cui è maestro. Una complessa struttura di intrecci e citazioni, un’articolata architettura linguistica desunta dalle varie invasioni subite dalla città e che affollano il linguaggio del testo.  E poi le parole mormorate fiatate e ripetute come in un eco immaginario e lo spettacolo s’imbuca in un coro da tragedia greca.  Ad unire tutto l’impianto culturale, tutto questo mondo crudo e poetico, reso bellamente scenico da Enzo Moscato, ripetuto più volte, come le parole recitate, per essere ben comprese, il dolcissimo canto rievocativo di Franco Battiato, Prospettiva Nevski. Improvvisamente, ognuno dei presenti, commossi e partecipi, sono entrati di diritto nella creazione di Enzo Moscato.

Maria Serritiello

 23-03-2022