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mercoledì 23 marzo 2022

Al Teatro Ghirelli di Salerno “Occhi Gettati” Testo, Ideazione e Regia Di Enzo Moscato

 


FONTE:WWW.LAPILLI.EU

DI MARIA SERRITIELLO


Con Benedetto Casillo, Giuseppe Affinito, Salvatore Chiantone, Tonia Filomena, Amelia Longobardi, Emilio Massa, Anita Mosca, Enzo Moscato, Antonio Polito.

 

“Occhi Gettati”, dove “gettati” sta per dare uno sguardo selettivo su qualcosa che molti, trascurano “una sorta di picassiana Guernica, sul teatro, su Napoli e su me”, come lui stesso definisce il lavoro, scritto nel 1986 e potato in scena dopo trent’anni. Del resto, gli 8 straordinari interpreti, che in cerchio affollano la scena sono corpi smembrati dalla vita, come quelli spiaccicati nell’opera pittorica. Ed eccoli, fin dall’inizio, prendere posto, uno ad uno, con vesti che già raccontano chi sono stati e sono. Nello spazio recitativo accovacciati per terra, attendono la vestizione: il velo. Il fondale è rigorosamente nero, al centro troneggia una maxi scena di San Sebastiano, sparsi a terra petali di fiori per leggiadria di contrasto e sotto Enzo Moscato, seduto dietro ad un leggio, segue, partecipa, interviene, interpreta. Non mancano le lucine da festa di paese, scendere dall’alto come timidi raggi illuminanti e lui, officiante di una liturgia laica, a dare il via ad un racconto convulso, incalzante, a volte delirante, ma di una logica stringata, per chi segue il suo teatro e le sue tematiche. Otto gironi danteschi in cui si muovono: il femminiello, luparella, a strega, desnudo, palummiello ed altre equivoche figure. Le narrazioni appartengono ad un’esistenza di mezzo, a cui Enzo rende giustizia e conoscenza e quello che aggiunge di kitsch o di troppo osato, è per mandare a mente un mondo, che sebbene esistito e forse esistente, nessuno se n’è mai occupato con l’anima.

Il suo vuole essere un ennesimo tributo al mondo altro che abita in ognuno di noi (vale anche per i non napoletani), un mondo da alcuni accettato, da altri rimosso, da altri ancora, solo oggetto di denigrazione e diffamazione e lo fa scegliendo un narrato corale, polifonico con un occhio ai gironi danteschi e un altro all’accettazione che Napule  e’. Quasi un quadro di insieme, una sorta di lascito testamentario artistico, letterario del proprio mondo.

 Nella sua pièce tanta memoria collettiva a rispolverare melanconicamente il passato, come la musica, una parte importante che, ogni volta, invade la scena, ora allegramente con “Angelina”, cantata da Luis Prima, con un americano approssimativo, come la lingua “ broukulina  parlata dai nostri emigrati in America, o come la leggiadria della lingua francese di Yves Montand. Un puzzle di ricordi, di emozioni, stratificati nell’animo del grande artista. Al di sopra di tutto, ciò che affascina di più e sempre di Enzo Moscato, nei suoi originali spettacoli, è la parola, di cui è maestro. Una complessa struttura di intrecci e citazioni, un’articolata architettura linguistica desunta dalle varie invasioni subite dalla città e che affollano il linguaggio del testo.  E poi le parole mormorate fiatate e ripetute come in un eco immaginario e lo spettacolo s’imbuca in un coro da tragedia greca.  Ad unire tutto l’impianto culturale, tutto questo mondo crudo e poetico, reso bellamente scenico da Enzo Moscato, ripetuto più volte, come le parole recitate, per essere ben comprese, il dolcissimo canto rievocativo di Franco Battiato, Prospettiva Nevski. Improvvisamente, ognuno dei presenti, commossi e partecipi, sono entrati di diritto nella creazione di Enzo Moscato.

Maria Serritiello





 

 

 

 

lunedì 21 marzo 2022

Terzo appuntamento al Teatro Genovesi di Salerno per il 13° Festival XS Città di Salerno con “La Soglia” da “Le Sas” di Miche Azama


 Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

E’ da subito che la galera ti entra dentro, con il suo essere buia, scarna, vuota. L’infelicità si tocca con mano. Là dentro, la liberante ha trascorso 16 anni, ora sta per essere liberata, ha pagato il suo prezzo, ma ciò che ha passato si è attaccato al suo essere, fisicamente, per cui gesti, reazioni, riso, pianto, accennata storia della sua vita, sono sotto gli occhi dello spettatore. Si sa che ha due figli piccoli, al momento della carcerazione, una madre che non vedrà più, morirà il giorno stesso della sua liberazione e nel mezzo la sua detenzione rappresentata con accenti forti, che mozzano il fiato. Due i personaggi, la liberante e l’alter ego, a volte secondina, altre volte compagna di cella ed altre volte ancora il sostegno dei suoi ricordi. La soglia è davanti a lei, ma ne ha paura, e se non fosse all’altezza di riprendere la vita dove l’ha interrotta? Si assiste ad un lento feedback, al processo, al patteggiamento, alla condanna, uno sconto minimo sui 20 anni iniziali, alla disperazione di dover abbandonare i suoi figli, già la maternità è sempre così forte su ogni cosa! Come una bambola di pezza la donna viene trasportata nell’istituto di detenzione, una via crucis l’entrata, sottolineata da rumori di ferraglia, di cancelli che si aprono e si chiudono, trilli di telefoni di martellamenti, di sghignazzi e poi, la cella, un buco senz’aria, due casse per branda, una sedia di nichelio, solo sagoma, per dire che la seduta non è un momento di relax come lo è di solito.

“Togliti l’impermeabile” le intima la carceriere, poi con fredda successione tutti gli altri indumenti, fino a restare nuda, un chiaro simbolismo per dire che in cella non sei più nessuno. Brava, Loretta Giovanetti, la regista che con delicatezza tutta femminile è riuscita a rendere nuda la carcerata senza che le parti in mostra avessero un che ben minimo di volgarità espositiva. Lasciati gli abiti della libertà, ora è apparecchiata per la detenzione.

Le visite dei familiari sono importanti, da tre anni non vede suo figlio, ma oggi è il giorno. Si prepara, si veste, si ravvia i capelli, si pizzicotta le guance per coprire l’ovvio pallore e palpitante si avvia. Torna quasi subito, a testa bassa, lo sguardo fisso ed il lutto nel cuore, suo figlio la rifiuta. La vita non le risparmia mai nulla e così da sempre, fino a spingerla in una cella fetida, dove stranamente trova riparo, tanto peggio di là, dove. Così la compagna di cella diventa la sua famiglia, la depositaria delle sue angosce, dei suoi tormenti, delle sue paure, ma anche dei suoi desideri saffici, insomma nel posto che meno te lo aspetti, tra donnacce, prostitute, ladre ed assassine si sta bene, almeno parli; tra infanticide e bordelli, almeno vivi ed ancora, tra crisi delle tossiche o la radio ad alto volume delle più giovani, i pidocchi, panni stesi e la sporcizia delle barbone, almeno esisti.

Il cambio di destinazione, dopo anni di permanenza nella prima prigione è per lei destabilizzante, un adattamento inaccettabile perché si trovava bene nel primo penitenziario, la strappano via, la sistemano sul cellulare e poi in treno. Di effetto scenico il trasferimento, sottolineato da una musica originale che rende l’andar del treno sulle rotaie.

Nuova ambientazione e nuove angosce fino al momento di abbandonare per sempre la prigione. Sta sulla soglia, si guarda indietro e s’imbuca in una di quelle notti senza regole, dove le detenute trasgrediscono le regole, infischiandosi della cella d’isolamento, ironicamente soprannominata Chamonix, per il freddo e d’estate Saint Tropez. “La notte è nostra direttrice” affermano con voluttà senza freni, l’intreccio dei corpi ne è la dimostrazione.

“Addio allora, addio a tutte voi che restate, con il bagaglio pieno di vite iniziate e spezzate a metà, io vado, ma non so chi trovo ad aspettare… Nessuno! Io vivo da sola con il mio crimine, due colpi di fucile in mezzo al petto di mio marito! Ho 49 anni e sono sulla soglia, voglio uscire, noo non voglio, arriverà la prima guardia, mi aspettano, guarderò il passaporto, la foto è di vent’anni addietro, non mi volterò, porta sfortuna, odo il grido di Nicole, lei sconterà l’ergastolo e l’assenza di un’amica particolare. Non piangerò. Guarderò fisso davanti a me, ho paura …la porta sta per chiudersi. Ecco è fuori … “ci sono lacrime del cuore che non arrivano agli occhi”

 

“La soglia”, in francese “le Sas” di Michel Azama, scritta nel 1986 è il terzo  spettacolo del Festival  Nazionale XS di Salerno presentato dalla produzione Grandi Manovre di Forlì per la regia di Loretta Giovannetti, anima e corpo dello spettacolo al quale prestano il loro talento indiscutibile: Beatrice Buffadini, la liberante e una volenterosa Francesca Fantini. Le ridotte misure del teatro hanno reso il pezzo più drammatico di quanto il testo stesso vorrebbe, per via di una indagine psicologica pressoché superficiale nello scandire passaggi, già drammatici, legati alla localizzazione del tutto: carcere femminile di personalità borderline, responsabili di crimini esecrandi, dove naturalmente tutto è più! Ad equilibrare ed a pareggiare la situazione, ecco l’intervento della regia nella scelta delle musiche originali (Renato Billi) e quelle adattate (Matteo Camorani), che sono funzionali al dipanarsi della storia ed a dettare i tempi delle battute, un terzo personaggio in scena, così come la gestualità corporea.

Maria Serritiello

 

La Soglia, riadattamento testo: Loretta Giovanetti

Ideazione progetto luci: Adler Ravaioli

Colonna Sonora Originale: Renato Billi

 Effetti Sonori Tribunale: Matteo Comorani

Arredi di Scena: Sergio Cangini

Costumi e Oggetti: A cura del Cast

Grafica:Beatrice Buffadini

Una produzione: Grandi Manovre in collaborazione con Orto del  Brogliaccio

                         Regia Loretta Giovanetti



Maria Serritiello

www.lapilli.eu




 

 

 

 

giovedì 17 marzo 2022

Festival Teatro XS città di Salerno 2022, secondo appuntamento

 

Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello


Il 13 marzo “Quelli che il Teatro…” di Mugnano di Napoli hanno presentato al Teatro Genovesi, nell’ambito del Festival   Nazionale Teatro XS Città di Salerno, “La stranissima coppia” di Diego Ruiz.

 

Ad apertura di sipario, dinanzi al portone del civico 62, c’è un lui con un mazzo di fiori finti in mano, ad attendere una lei, è il loro primo incontro! Un sottofondo musicale romantico, la voce è di Frank Sinatra, chi se no, stempera l’attesa di Diego, questo è il suo nome, che tenta, invano, di calmare la sua ansia. Il portone non si apre, ma Milena, così si chiama la donna attesa, le appare lo stesso, ha, infatti, scavalcato, la finestra per raggiungerlo e raggirare così il suo cane Filippo, che nel prosieguo sarà determinate per lo svolgimento della storia. Inizia, così, una convulsa conoscenza, le loro esperienze pregresse hanno fatto danni quasi irreparabili, di mezzo, c’è, poi, il cane Filippo, che se non s’addormenta, la padrona non è libera di uscire con lui. Nell’attesa di una romantica cenetta, prenotata da Diego, in un ristorante alla page, ma versata da lei che preferirebbe una pizzeria, sul portone, come due adolescenti approfondiscono la conoscenza. Si viene a sapere della convivenza indimenticata di lui, della sua solitudine, perché incapace di attaccar bottoni, se non per una relazione seria, di lei, invece che è stata tradita da Filippo, suo marito, che ha avuto vari uomini da cui ha avuto benefici e che per essere loro, riconoscente, finite le storie, chiama i suoi animali domestici con il loro nome.

Si avvicinano e si allontanano, litigano su tutto, difficile trovare un punto in comune. Intanto Filippo, il cane, non s’addormenta mugola a perdifiato, impedendoli di allontanarsi dal portone, la cena nel ristorante va a monte, ma nessuno dei due decide di non dare seguito all’incontro, la solitudine pesa. A sbloccare la situazione, ci pensa Milena, appena saputo che il buon Diego, sì lui, così anonimo, che regala fiori finti e veste classico, è un impiegato delle agenzie dell’entrate

“Non giudicare, tu non puoi capire” è la frase mantra che Milena cita ogni volta che deve giustificare le sue avventure.

Così finiscono per passare una serata seducente a casa di lei e Diego sarà il nome del prossimo animale domestico

 

Due tempi accettabili, che si avvicinano alle commedie brillanti e leggere che tanto piacciono, soprattutto adatte per questi tempi così impegnativi per lo spirito. Il testo è semplice, prevedibile ed anche l’intreccio scorre su binari sicuri. Poche le battute divertenti, sta di fatto, però, che “La stranissima coppia” scritta da Diego Ruiz nel 2013, dopo un primo debutto del 2014, nel 2015 ha collezionato 150 repliche nei teatri di tutta Italia.  L’autore, anche attore, nasce a Roma nel 1971 e spazia tra commedie e teatro sperimentale prima di approdare definitivamente al teatro brillante. Gianluca Cinque, interprete e regista del pezzo, ha tratteggiato, con una recitazione positivamente disadorna, l’uomo qualunque, mentre Angela Panico ha dato vita, con una certa forza, ad una Milena nevrotica, stridula e prepotente. Entrambi efficaci nei loro ruoli, è stato un piacere averli in gara e presenti per la prima volta al Festival XS. Commovente la loro emozione per la trasferta salernitana


Direttore di Scena: Gaetano Fierro

Tecnico audio e luci: Danilo Barone

Scenografia: Gianluca Cinque

Fotografo di scena: Luca Ippolito

 

                           Regia

                  Gianluca Cinque

 

Maria Serritiello

www.lapilli.eu




sabato 5 marzo 2022

Extra Festival XS “ L’ odore della luna” al Teatro Genovesi Salerno Per i due fine settimana scorsi in cartellone al Teatro Genovesi “L’odore della luna” di Marco De Simone.

 

Fonte :www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Io sono Maria e ho deciso”. Così dichiara con forza la protagonista quando è messa dinanzi a scelte essenziali della sua vita. Una donna volitiva, Maria, anche se può sembrare il contrario. Vive in un paese del sud, il dialetto lo rivela musicale ed incisivo subito, le parole, poi, usate, necessarie a descrivere la storia e l’interiorità di lei. Vive con la nonna che le impartisce un’educazione severa e rigorosa, tanto da vietarle la compagnia di Tanuzzo un bambino, della sua stessa età, ma di una famiglia chiacchierata. E sarà questa frequentazione, nonostante l’anziana donna, a segnare la sua vita futura. Maria ha grande sensibilità, che certamente non è pari a quella della nonna, una donna concreta, dedita al lavoro ed alla sussistenza di loro due, per cui, crescendo, affida i suoi sogni e i sospiri d’amore alla luna. La vecchia sapeva ripeterle a mo’ di consigli, tutta una serie di sentenze, che tendevano, sia a rimarcare la condizione di ineluttabile marginalità, sia a proteggerla all’interno di una ristretta cerchia paesana ed al suo stesso destino.

“Piglie lu buone tiempe e infilatele dinte”  “Il sole va meritato” “I calli sulle mani e sul cuore”.

Più tardi, senza un perché, troviamo Maria su di una corriera che si allontana dal paese per andare, ospite da sua zia, a lavorare in città e quando la fatalità accompagna, sulla corriera incontra Tanuzzo.

La trama, se vogliamo, è anche semplice: lei, uno spirito puro, bisognosa sia d’amore, che di conoscere il mondo, lontana dal guscio protettivo che l’ha ingabbiata, finisce nella rete del giovane. Abbagliata dall’amore di lui, inizialmente platonico, infatti lo ama come si ama la luna, da lontano, per trovarsi a vivere con lui, senza accorgersi di che razza di uomo sia. Vari sono i gradi di conoscenza ed emancipazione della ragazza, passata dal paese alla città, dal confrontarsi con l’amore malato ed egoistico di Tanuzzo, mentre lo credeva puro ed ideale, al rafforzarsi amaramente, lasciando i sogni dietro di sé fino a prendere una decisione estrema, ma tant’è, lei è Maria ed ha deciso.

Un tema di estrema attualità, quello che Marco De Simone mette in scena con delicatezza e gradevole morbidezza, lui stesso nella parte dell’innamorato, poche volte imprime alla sua recitazione una voce alterata, un tono al di sopra delle righe. Maria, (Elena Starace,), invece) è sognante, è fiduciosa, è innamorata, è tranquilla, è speranzosa, è avvolgente, è decisa ed è determinata a pigliarsi lu buone tiempe e ad infilarselo dinte. 

 

Lo spettacolo, dalla durata di un’ora e mezza, incanta per la sinuosità delle parole, per i toni sommessi, per il biancore irrompente della scena, per i cambi dei colori dei vestiti indossati da Maria, stanti a sottolineare le fasi essenziali della trama: bianco, rosso e nero, i fili intrecciati come una tessitura di una ragnatela a lei intorno, il lutto dello scialle, le crude parole della rivelazione il fragore dello sparo, la gestualità del parto, il pianto del nato. Ecco tutto si conclude, la polvere della luna ha lo stesso odore della polvere da sparo, la luna è una bugia, le aveva detto sua zia, ma lei è riuscita a prendersi il buono e a metterselo dentro, sia pure attraverso l’infatuazione ed il dolore.

 Una figura vincente, un monito per le tante donne vittime di uomini senza scrupoli e che amano(?) male, anzi che non sanno amare

Bravo Marco De Simone, la tua sensibilità è nota, riesci ad essere delicato anche con temi crudi, senza appesantire lo spettatore ma soave nell’incantarlo. Il tuo sguardo a tutto tondo fa di te uno scrittore apprezzabile e godibile.

Elena Starace, eccezionale interprete, per freschezza, sensibilità e capacità di delineare il personaggio con estrema bravura. Perfetta l’impostazione della voce, dei gesti e la capacità d’incidere nello spettatore, la sua storia.

Roberta Greco, capace di delineare una quasi apparizione

Marcello Andria, regia, una conferma, nel tradurre, ogni volta, un pezzo  in un capolavoro.

Voci: Elio Amedeo, Chiara De Vita, Lina Vizzini, Lillo Zarbo

 

Movimenti coreografici: Antonella Iannone

 

Scenografia: Rosario Memoli.

Costumi: Ida Gliorio

Luci: Manuel Macolo

Suono: Michele Pastore

Registrazioni: Musicainscena

Musiche di :Albeniz, Barrios, Piazzolla,Tarrega

Regia: Marcello Andria

Produzione: Campania Danza


in collaborazione con la Compagnia dell’Eclissi

Foto di copertina Franco Barbieri.

 

Maria Serritiello

www.lapilli.eu