Una new entry al Teatro Ridotto di Salerno, per due sere consecutive, il 25 e il 26 Febbraio, con l’augurio di far parte, in modo stabile della schiera dei comici di successo, che sono passati nel piccolo tempio del cabaret ma, tanto importante nello scoprire il vero talento. E’ Stefano De Clemente, premiodella Critica, non a caso, al Premio Charlot 2013, ad esibirsi, non prima di essere introdotto da Marco Cristi, il miglior monologhista e vecchia conoscenza del Ridotto. Per lo spettacolo dal titolo, “Siamo un grande popolo”, Stefano si è avvalso delle battute create da Francesco Burzo, autore, tra l’altro di Peppe Iodice, in Peppe Night e di Antonio ColuRsi per le luci, l’audio e la Regia.
Ed eccolo, alto, bruno, camicia bianca, stirata senza una grinza, che più tardi lamenterà la sbavatura di rossetto per l’impeto di un abbraccio, tra il pubblico dei primi posti, aggredire la scena per quasi due ore, senza un attimo di tregua, con una raffica mitragliante di sketch e battute che hanno deliziato il pubblico. La sua comicità si basa su temi semplici del quotidiano, comprensibili al largo pubblico. Le sue battute sono divise in due tempi, la descrizione della situazione o del personaggio preparatorie e il colpo finale, ovvero la conclusione, quella che fa ridere di gusto. Il pubblico lo ascolta con attento interesse, perché sa che solo alla fine ci sarà l’esplosione. Una scarica di adrenalina pura, che investe anche i presenti e che lo apprezzano per quel suo darsi senza riserva. E’ accattivante in scena, le persone mature, tra il pubblico lo adottano subito, i giovani, invece, si identificano per quel suo modo energico di affrontare la scena, magari meno la vita. Si è accorto a trent’anni di riuscire simpatico presso le persone, di catturarle con le battute spontanee per cui ha scelto di fare il comico e lo fa anche bene. I suoi monologhi sono pregni di temi comuni: la mamma e le fisime del risparmio, la disgrazia del primo figlio, il covid quale nemico invisibile, l’uso della dad, il ballo, i viaggi, la ragazza social e la ragazza che guida. Temi che ci appartengono, in alcuni casi ci affliggono quotidianamente e se c’è Stefano che li ridicolizza, che soddisfazione!
Stefano di suo è un ragazzo tormentato e certi suoi piccoli gesti involontari, la dicono lunga sulla matassa delle spinte emozionali che lo assillano e che, lungi dall’essere un peso, costituiscono per lui una sorta di ossatura psicologica che lo tengono sulla scena con energia, vitalità, elettricità, dinamicità infinita. Sfrondare certe esuberanze e fare chiarezza nella propria mente, al fine di presentare un prodotto lustro e sgorgante da una filosofia di vita a 360 gradi, gli darebbe la convinzione che lottare potrebbe essere più attraente che non. Il problema è interno più che legato ai capelli frontali che continuamente minacciano di rubare la scena e che ostinatamente lui si preoccupa di riallineare
Siamo giunti alla fine e Stefano ci consegna il suo mondo interiore con dei versi di infinita tenerezza: Se sarai la mia donna. Il pubblico del Ridotto, da stasera te lo augura.
Una larga fetta di vita l'abbiamo vissuta in tua compagnia. Le ore piccole, una consuetudine serale con il tuo Maurizio Costanzo Show, per ammorbidire l'insonnia. Con "Se telefonando", l'attesa di una chiamata affettiva, diventò morbida ed avvolgente, se si ascoltava abbracciati su di una pista da ballo, . Tante persone ti devono il successo, a tanti hai cambiato la vita. Ora che da domani, concluso l'omaggio, non ci sarai saremo più soli a non sentirci dire " boni", da buon padre.
Ti ricorderemo, puoi esserne certo
Maurizio Costanzo è stato un giornalista, conduttore televisivo, conduttore radiofonico, sceneggiatore e paroliere italiano.
In scena il 19 febbraio, per la seconda serata del
Festival Nazionale XS città di Salerno, a cura della Compagnia dell’Eclissidella città,i Co.C.I.S. - Teatro 99
Posti di Mercogliano, con una commedia buffa di Paolo Capozzo dal titolo
“Allo stesso punto. Però a nata parte”.
Con
Paolo Capozzo, anche attore, Maurizio Picariello e Vito Scalia.
Ai 200 spettatori
presenti, la scena si mostra priva del sipario, dipinta da fogliame in bianco e
nero, sono alberi, ma anche quinte. Due personaggi, Compà Prisco e Compà Mostino
appesi a due corde penzolano addormentati. Due burattini che attendono il
risveglio, chiusi come sono nel teatro e dimenticati da tutti. Sono attori,
senza una parte, né del pubblico che li ascolta, eppure loro solo quello sanno
fare, recitare, ma cosa? Quale ruolo? Davanti a quale pubblico? I due si
svegliano in un teatro abbandonato, probabilmente chiuso per la pandemia e si
accorgono di essere rimasti là come fantasmi. Per più di vent’anni sono stati i
personaggi principali dello spettacolo “Storie
di Terra di suoni e di rumore”, ma ora Prisco e Mostino conoscono vecchie
battute, che non fanno più presa, ma poi su chi? Si ritrovano, così, a dubitare
perfino della loro esistenza, tanto da farli dire “Quanne si chiure lo sipario, nui simmo vivi o simmo muorti?”
Due poveri Zuorri, così
detti, per essere dei nullatenenti, che usano un linguaggio improbabile, una
sorta di meta-dialetto irpino, fatto di termini cilentani, lucani e pugliesi. I
due per sopravvivere devono inventarsi nuovi personaggi, ci provano più volte,
ma nulla può sembrare adatto, stanno quasi per gettare la spugna, quando da un
vecchio cascione, abbandonato e polveroso, trovano un faldone lasciato nel
fondo, nel quale sono custoditi alcuni testi teatrali. Superate le prime
incertezze, cominciano a prendere confidenza con gli scritti, sicché, nelle
loro battute, si riconoscono piacevolmente i capolavori teatrali di Shakespeare, Beckett, De Filippo, tra i
più noti. Inizia, così la prova recitativa dei due Zuorri, che riaccende le
loro esistenze, tramutando il vecchio spettacolo in qualcosa di nuovo, pur
partendo dallo stesso punto. Una sorta di commedia dell’arte dove Mustino e
Prisco, alla ricerca della loro identità, si rivelano attori di elevata
professionalità, due maschere, ben impostate che fanno di loro, personaggi
bizzarri, stravaganti, burleschi, appassionati, eppure accattivanti. Il
canovaccio approssimativo nel quale si sviluppa l'improvvisazione degli attori
è ben calibrato e quando ai due si aggiunge un terzo personaggio, il pezzo si completa,
la rappresentazione risulta godibilissima e la morale balza chiaramente, cioè
il viaggio di conoscenza. L’oscurità magica del teatro e la capacità di
guardarsi dentro, sia pure con personaggi inventati, ha smosso la ricerca di sé,
invitando a guardare il reale da varie angolazioni, a cambiare, partendo dal
noto, ovvero sia dallo stesso punto però da un’altra parte.
Bravo l’autore, Paolo Capozzo, a stimolare lo
spettatore con un pezzo diverso per rappresentazione, maschere, scenografia,
linguaggio, costumi ed interpretazione: Maurizio
Picariello, Vito Scalia.
Carnevale
locuz. carne-levare "togliere la carne",
riferito in origine al giorno precedente la quaresima, in cui cessava l'uso
della carne.
In
passato il mascheramento rappresentava un temporaneo
rovesciamento dell'ordine precostituito, da cui derivava anche la pratica dello
scherzo e della dissolutezza. Si trattava, inoltre di una forma di scherno nei
confronti dei potenti ma anche dei vizi e dei tipi umani.
Per
i cristiani il periodo del Carnevale viene indicato come
“Tempo di Settuagesima” nei paesi di tradizione cattolica e viene inteso come
periodo preparatorio immediatamente precedente la riflessione e riconciliazione
con Dio propria della Quaresima.
Origine. La
ricorrenza trae le proprie origini dai Saturnali della Roma antica o dalle
feste dionisiache del periodo classico greco. Durante queste festività era
lecito lasciarsi andare, liberarsi da obblighi e impegni, per dedicarsi allo
scherzo e al gioco
Per
saperne di più
*I Saturnali: Una delle più diffuse e popolari feste religiose di
Roma antica, che si celebrava ogni anno, dal 17 al 23 dicembre, in onore di
Saturno, antico dio romano della seminagione. I Saturnali, per il loro
carattere, ricordano assai da vicino il nostro carnevale; mentre, per l'epoca
dell'anno alla quale ricorrevano - il solstizio d'inverno - possono essere a
proposito ravvicinate al nostro ciclo festivo di Natale e Capodanno.
*Feste
dionisiache:Le Dionisie erano,
nell'antica Grecia, celebrazioni dedicate al dio Dioniso, nel corso delle quali
venivano messe in scena rappresentazioni teatrali tragiche e comiche. Tali
rappresentazioni erano di tipo competitivo: una apposita giuria stabiliva la
classifica una volta conclusi gli spettacoli.
Quando
è stato inventato il carnevale? I primi festeggiamenti del
Carnevale risalgono al VIII secolo, quando veniva organizzato un banchetto con
tanti cibi e bevande prima del digiuno. Durante questo periodo veniva
sovvertito l'ordine sociale e si nascondeva l'identità dietro una maschera.
La
tradizione italiana di indossare maschere risale al Carnevale di Venezia
nel XV secolo e per secoli è stata un'ispirazione per il teatro greco e la
commedia.
Il
Carnevale comincia ufficialmente il 17 gennaio,
con la festività del “Santo del porcellino”, così denominata per l'usanza di
consumare prodotti suini durante la festa di Sant'Antonio Abate.
Il
Carnevale italiano più famoso è quello di Venezia,
il cui nome appare già in documenti del 1094 a proposito di “pubblici
divertimenti”. Nasce come “festa
pubblica ufficiale” nel 1296 quando il Senato dichiarò festivo il giorno
precedente la Quaresima. Naturalmente questo era solo il momento clou di
festeggiamenti che duravano molto più a lungo.
Carnevali
italiani
Carnevale Di Viareggio.
Carnevale Di Ivrea.
Carnevale Di Fano.
Carnevale Di Putignano.
Carnevale Di Ronciglione.
Carnevale Di Mamoiada.
Carnevale Di Cento
Carnevale Di Acireale
Carnevale Di
Montescaglioso
Carnevale Tempio Pausania
****Palma
Campania***
Poesie
(Il
vestito di Arlecchino - Gianni Rodari)
Per fare un vestito ad
Arlecchino
ci mise una toppa
Meneghino,
ne mise un’altra
Pulcinella,
una Gianduia, una
Brighella.
Pantalone, vecchio
pidocchio,
ci mise uno strappo sul
ginocchio,
e Stenterello, largo di
mano
qualche macchia di vino
toscano.
Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto
così.
Arlecchino lo mise lo
stesso
ma ci stava un tantino
perplesso.
Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
'Ti assicuro e te lo
giuro
che ti andrà bene li mese
venturo
se osserverai la mia
ricetta:
un giorno digiuno e
l’altro bolletta!'.
(Il
girotondo delle maschere - G. Rodari)
È Gianduia torinese
Meneghino milanese.
Vien da Bergamo
Arlecchino
Stenterello è fiorentino.
Veneziano è Panatalone,
con l’allegra Colombina.
Di Bologna Balanzone,
con il furbo Fagiolino.
Vien da Roma Rugantino:
Pur romano è Meo Patacca.
Siciliano Peppenappa,
di Verona Fracanappa
e Pulcinella napoletano.
Lieti e concordi si dan
la mano;
vengon da luoghi tanto
lontani,
ma son fratelli, sono
italiani".
(Carnevale
vecchio e pazzo - Gabriele D'Annunzio)
Carnevale vecchio e pazzo
s’è venduto il materasso
per comprare pane, vino,
tarallucci e cotechino.
E mangiando a crepapelle
la montagna di frittelle
gli è cresciuto un gran pancione
che somiglia ad un
pallone.
Beve, beve all’improvviso
gli diventa rosso il viso
poi gli scoppia anche la
pancia
mentre ancora mangia,
mangia.
Così muore il Carnevale
e gli fanno il funerale:
dalla polvere era nato
e di polvere è
tornato".
P.S Il funerale di Carnevale nella tradizione popolare: Carnuà pecché
si muorte t’è mangiate a carne e puorche
La
Zeza."Zeza", una
rappresentazione carnevalesca tipica delle culture contadine della Campania
La
Canzone di Zeza è una forma di lamento ritualizzato
attraverso il quale si celebra la morte di Carnevale.
È
una commedia popolare, messa in scena, fino alla metà degli
anni Cinquanta, da gruppi di attori improvvisati: si sviluppa sul contrasto,
interamente cantato, tra un uomo e una donna, tra il vecchio e il nuovo, in un
conflitto intergenerazionale in cui si celebra la sconfitta per castrazione di
Pulcinella, il quale, invano contro sua moglie Zeza, si oppone al matrimonio
della figlia Vicenzella con Don Nicola.
il
gruppo operaio E Zezi di Pomigliano d’Arco, ha lavorato sulla
Canzone di Zeza, rielaborandola e proponendola anche al di fuori del periodo di
carnevale. Con la Canzone di Zeza –
Il
Carnevale di Montemarano è una festa popolare che evoca
l’identità storica e culturale della comunità dei Montemaranesi, custodi
attenti dei propri riti e costumi”, sette giorni di musica, tarantella,
laboratori, approfondimenti, cibo e vino.I montemaranesi, girano il paese in una sorta di processione, guidata dal
‘caporabballo’, riconoscibile dal suo tipico vestito bianco con mantellino
rosso, richiamando antichi gesti legati a culti pagani”. Il Carnevale di
Montemarano, infatti, va oltre la festa, è un evento che coincide con la storia
di un popolo che nei movimenti rotatori, nei passi ritmati e nelle figure
mascherate, richiama i riti agricoli ripercorrendo il passaggio dall’inverno
alla primavera, tempo di risveglio e di fioritura, auspicio e speranza per un
raccolto abbondante e una stagione florida.
Proverbi
A
Carnevale ogni scherzo vale.
A
Carnevale ogni scherzo vale …e chi si offende è un gran maiale!
Le
maschere si vendono solo di Carnevale.
Il
Carnevale al sole, la Pasqua al fuoco.
Quando
il padre fa Carnevale, ai figlioli tocca far Quaresima.
La
gola, il ballo e il gioco in Carnevale, vidi ogni anno a qualcuno esser fatale.
L’amore
nato in Carnevale muore in Quaresima.
Non
è sempre Carnevale.
Chi
non gioca a Natale, chi non balla a Carnevale, chi non beve a san Martino [11
novembre], è un amico malandrino.
Domenica
12 Febbraio 2023, l’Associazione Culturale Prometeo di Torre del Greco, ha
organizzato un’escursione turistica nella città di Salerno, per due visite
importanti: La mostra interattiva su
Gustav Klimt, esposta nella chiesa dell’Addolorata
del Complesso Monumentale di Santa Sofia in Piazza Abate Conforti e il Duomo Normanno, fatto erigere da Roberto il Guiscardo, per ingraziarsi i
Salernitani, per averli invaso.
Così dall’8 dicembre, fino all’8 marzo, nella chiesa sconsacrata
dell’Addolorata vi è in mostra il pittore viennese Gustav Klimt, che gli amici
della Prometeo hanno voluto visitare.
Diario
della giornata
Klimt
Virtual Experience and Images, uno straordinario
viaggio nel mondo del pittore, considerato uno dei più significativi artisti
della secessione viennese, lo straordinario viaggio è stato realizzatocon
il patrocinio del Comune di Salerno,
promosso dalla ProCulTur e prodotto e organizzato dalla Alta Classe Lab con la
Next Event. Le immagini delle maggiori opere, rigorosamente riprodotte, i
disegni degli ambienti, dove ha vissuto l’artista e le riproduzioni dei
vestiti, sono stati esposti con grande maestrie e il sito oscuro fa risaltare,
ancor più, gli squarci di luce-oro, dei quadri, entrati nella cultura popolare,
quali: Giuditta,il Bacio,L’Albero della vita, Maternità.
Per tutti i partecipanti,
grazie alla tecnologia VR, l'eccezionale opportunità di immergersi a 360° nei
colori e nelle atmosfere dell’artista viennese, vivendo all’interno dei quadri
stessi. Con il supporto degli oculus, strumento di ultimissima generazione per
il mondo virtuale, si è potuto rivivere tutto l'incanto degli scenari che hanno
ispirato l’arte di Klimt.
La visita ci ha
pienamente soddisfatti
Una breve pausa per il
pranzo e via alle 15,30 all’appuntamento con il parroco del Duomo: Don Michele
Pecoraro, che ci farà da guida per la conoscenza diquesta
splendida realtà architettonica e religiosamente significativa. Don Michele ci
accoglie affabilmente, anzi ci dice di portare i suoi saluti al Cardinale
Domenico Battaglia, le sue qualitàdi affabulatore nato e
appassionato, con il suo linguaggio popolare e colto che tanto successo
riscuote con chiunque ha la possibilità di relazionarsi con lui, sono subito
evidenti. Ed allora il passato diventa una bella occasione per un tuffo nella
religiosità archetipa e per riappropriarsi di essa, sia pure per il tempo di
una visita di gruppo.Il racconto si
fascia dello splendore delle immagini e la storia della cripta si offre a
visioni dolcemente familiari, abbaglianti e sapientemente equilibrate. Non si
finirebbe più, sia per la passione commovente che anima don Michele Pecoraro,
sia per la raccolta bellezza del luogo, ma il treno non sa niente, se non degli
orari ed allora con rammarico ci allontaniamo, non prima di una preghiera e
benedizione comunitaria e con la promessa di ritornare.
Con uno spettacolo
intenso ed in alcuni tratti di estrema durezza, ha avuto inizio, con I Cattivi di Cuore di Imperia, il 14esimo Festival NazionaleXS città di Salerno organizzato dalla Compagnia dell’Eclissi, in collaborazione
con l’I.S.S. Genovesi-Da Vinci, presso il teatro Genovesi di Salerno.
“Il Raccolto”, di Giorgia
Brusco, è il titolo del pezzo di 75 minuti, presentato dai Cattivi di Cuore di Imperia, più volte
presenti e premiati al Festival XS, interpretato
dalla stessa autrice: Giorgia Brusco
e da Chiara Giribaldi, ed a farle
eco per le due sorelle adolescenti: Ilaria
Pettinelli, Federica Chichi.
Regia Gino Brusco
In una stanza poco illuminata,
dai colori smorti, come la tenda messa sotto lago della macchina da cucire, che
troneggia il luogo, mentre intorno regna il disordine acuito da scatole di
cartone e pezze sparse alla rinfusa, si ascolta una gelida telefonata,
depositata nella segreteria telefonica: “Anna sono Bea, volevo dirti che la
mamma è morta”. Agganciata la cornetta, la donna senza un minimo di emozione,
sia nella voce che nel volto, inizia la sua vestizione, come un prete
all’altare, in effetti cambia gli indumenti, ma non migliora il suo personale.
E’ pronta, adesso, per interpretare la donna che si è sacrificata per assistere
la madre dispotica ed anziana a cui ha chinato il capo per tutta la vita.
Naturalmente è piena di livore, non ha una sua famiglia, ha perso il fidanzato,
non si è dedicata al lavoro al di fuori le mura domestiche, insomma non ha uno
straccio di vita propria e morta la madre deve fare i conti per quello che non
è stata e non è. I pensieri, rimuginati della donna, ridotta a larva, si
accalcano nella mente e diventano visibili allo spettatore, attraverso uno
stratagemma scenico, ingigantito da un falso piano, sul quale e dietro ad un
velo trasparente, si vedono le due sorelle fanciulle, già esprimere le loro
diversità.Ilaria
Pettinelli, Federica Chichi.
La stanza, espressione
della vecchia, cerbero di casa, che è ancora là con la sua presenza
ingombrante, anche adesso che non c’è più, resta vuota per frazioni di secondi
ed ecco che si palesa l’altra sorella, con vestiti, presenza e disinvoltura del
tutto diversi, il che fa presagire di lì a poco, lo scontro malevole e
frontale.
E dunque “Il raccolto”,
ovvero l’insondabile cognizione del dolore di gaddiana memoria, qui innescato
da un insano senso della maternità, inteso come diritto/dovere di indirizzare a
proprio insindacabile piacere il destino delle proprie figlie, che vivono in
modo diverso, il loro problematico attaccamento. Ne emergono due figure, che sul palco, quasi
dimentiche di essere sorelle, non riescono mai ad attingere ad un comprensibile
e giustificabile sentimento di fratellanza, finendo con l’acuire a dismisura il
loro astio, fino ad arrivare, nel giorno della possibile riconciliazione, ad
una rottura ancora più tombale della morte stessa. Segno dei tempi? Colpe della
società attuale? Morte del divino, ennesimo saggio sui disagi esistenziali o coraggiosa
gola profonda di dinamiche familiari di genere, spesso associate a maternità e
bontà? L’opera di Giorgia Brusco, che la
dice lunga sulle esperienze professionali e teatrali e sulla sua capacità
letteraria di esplicitare con tanta immediatezza certe problematiche, servendosi
di un linguaggio diretto, senza fronzoli, ma attento alla resa teatrale, crea i
presupposti per consegnare nelle mani del regista, materiale ricco e
dettagliato, per rendere uno spettacolo godibilissimo, di facile presa sul
pubblico.
Attrici
spettacolari,Giorgia
Brusco e Chiara Giribaldi per essere capaci di rendere al
massimo del credibile una differenza caratteriale, oltre che di età tra di esse.
E pensare che gli anni che le separano non dovrebbero essere poi tanti a
credere ai rimandi legati all’ adolescenza delle due sorelle. Tacchi a spillo
per Anne, babbucce per Bea, nasino all’insù per la prima, camuso per la
seconda, pantaloni attillati e gonna dimessa, coraggiosa, brava, talentosa e
spigliata l’una, precisa, atavica, dettagliata e minuziosa l’altra.
Ed eccole, ancora una
volta, una di fronte all’altra a scarnificare dalle loro anime, tutto il
malsano accumulato, malgrado l’affettività familiare. Per Bea una ferita morale
che finirà col diventare mortale Una ferita che si va strutturando, già durante
l’adolescenza, quando deve confrontarsi con lo strapotere della sorella minore
Anna, più dotata di talento, volontà e vitalità per la quale il futuro già
pronto le si spalanca davanti, certo non tutto rase e fiori, vedi il lascivo
zio che gli procura i soldi e vita meno miseranda, ma in cambio pretende
licenziosità e prestazioni ignobili.
Si sarà posta Bea domande
precise e urgenti su chi fosse lei e cosa volesse dalla vita ed ha cominciato a
piagarsi illudendosi di celebrare al meglio la sua vita dedicandosi alle cure
della madre anziana, ma di certo arpia del sentimento filiale, sicché anche di
questa sua esperienza, le piaghe e le ferite morali, anziché migliorare o
scomparire, sono diventate più profonde e incancrenite, completando il quadro
psicologico nel momento in cui la madre, è sempre più aggredita da demenza
senile, tanto da non riconoscerla più, accusandola, anzi, di voler attentare al
suo patrimonio, alla sua roba, per dirla alla Verga, invocando sua figlia Anna,
che non ha esitato a lasciare la sua casa e con essa sua madre. Alla fatica
immane di Bea si aggiunge, con tanto male, l’irriconoscente figura materna, sia
pure con l’attenuante della demenza. Per Bea questi sono dettagli, contano e
scolpiscono di più, in un rigurgito di lucidità, le domande che ancora deve
farsi, prima di incartapecorirsi nella pesante e greve cattiveria. Ebbene la
composizione del quadro psicologico delle ferite morali, che hanno costellato
la sua esistenza, getta una luce nuova e densa di prospettive, al fine di
contribuire ad una rielaborazione, da parte della povera Bea, della propria
condizione, aiutandosi a crearsi i presupposti di una vita più serena.
È’ fin troppo facile accusarla di miseria
morale e di scarsa spinta motivazionale, ma la mente, specie quella di una
adolescente, fa strani scherzi e questo l’autrice, penso, lo sappia. È’ proprio
in quel periodo dell’esistenza che vanno prendendo piede e forma le convinzioni
più strutturate o destrutturanti della nostra psiche. Riflettere è il minimo
che possiamo e dobbiamo fare per dare dignità al nostro essere umani.
L’Inizio
del Festival XS, al Teatro Genovesi, ha lasciato tutti pieni
di domande sospese, come la cognizione del talento con le sue spinte
motivazionali, la meschinità o miseria culturale e sociale, il distorto senso
di maternità, le ferite morali, l’alienazione che esita nella demenza e che fa
rima con l’irriconoscenza, la sindrome postraumatica con crollo finale,
l’inevitabile separazione o frattura susseguente. I tanti possibili, ma non
esaustivi aspetti della galassia psiche, che l’autrice tratteggia molto bene,
come gli aspetti negativi costitutivi delle personalità dei suoi personaggi,
facendo compiere un iter completo alla povera Bea che, partendo dalla
cognizione del dolore sviluppa un quadro preciso e dettagliato di ferite morali
che sfociano in una depressione aggressiva e marcataniente
di più che una morte annunciata. Sullo sfondo, ma non meno vivo il ritratto di
una madre che domina con la sua assenza e che crede di dover scandire il futuro
delle figlie, mai rendendosi conto delle sue poche qualità di donna e madre. Grazie
a Dio, un’icona dell’altro ieri, lontana mille miglia dalla sensibilità
femminile delle donne di oggi e se ancora persistono, tali esemplari, vanno,
per fortuna, velocemente scomparendo.
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Armando Cerzosimo e Rita Martinova, unitamente a
Cristina Tafuri, hanno presentato, ospiti della Vicesindaco Paky Memoli, la
settimana di eventi ad un anno dall’invasione russa della terra Ucraina, che si
svolgerà dal 9 al 15 febbraio negli spazi della Galleria Camera Chiara
Si è giunti ad un anno di
guerra. La guerra non si è fermata un istante. Avanza la strage di vite
innocenti, le città si trasformano in cimiteri mentre, sullo sfondo rimane
sempre la minaccia della guerra mondiale e la catastrofe atomica. In questa
situazione, massima è l’impotenza dei popoli che non vedono una via d’uscita da
questa follia. Tuttavia, la Storia insegna che quando tutto sembra perduto,
quando la speranza diventa impossibile, allora scatta un moto d’indignazione
che viene dal profondo, una chiamata collettiva che unisce persone di fedi e
culture diverse in un unico pensiero, in un’unica azione. E’ l’annuncio di un
popolo che si ribella al linguaggio bellico con cui governanti e mass media
veicolano lo sdoganamento della guerra, introducendo un linguaggio realistico,
scevro di retorica, che postula una riconversione della politica e l’abbandono
delle categorie che hanno costruito il conflitto e insediato l’inimicizia fra i
popoli. Il linguaggio universale è quello dell’Arte ed Armando Cerzosimo e Rita
Martinova hanno immaginato una settimana di eventi, a favore del popolo
ucraino, col patrocinio morale del Comune di Salerno, che si svolgerà da
Giovedì 9 a mercoledì 15 febbraio negli
spazi della Galleria Camera Chiara, sita nel centro storico di Salerno, in via
Giovanni da Procida 9.
Una settimana di riflessione, di
testimonianze, di arte e di bellezza, per alzare un muro alla circolazione
dell’odio e dell’inimicizia, per sostenere quanti si prendono cura delle vite
degli altri, sempre, comunque e dovunque, senza distinzioni di alcun genere,
per continuare ad essere solidali con gli Ucraini e con le vittime di tutte le
guerre dimenticate che continuano a insanguinare il mondo, con quanti si
oppongono alla guerra, con chi è costretto a farla e con le vittime della
persecuzione, con tutti i bambini e le bambine, le donne e gli uomini di ogni
età che pagheranno, comunque le dure conseguenze della guerra, in Italia e nel
resto del mondo, per vivere insieme la Costituzione Italiana, che recita:
“Ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ospite della
manifestazione la vicesindaco Paky Memoli, la quale nel marzo scorso ha toccato
con mano il dolore e la paura di quella popolazione che sentiamo ancora
lontana. “Sono partita da Salerno, in qualità di medico, per andare a prendere
oltre cento tra donne e bambini al confine con la Polonia, attraverso il
corridoio umanitario. Durante il viaggio, oltre a offrire l’assistenza di base,
ho dovuto cercare di tranquillizzare bambini segnati dalle bombe, dai rifugi,
dal timore di andare a scuola, i quali ad ogni minimo rumore sobbalzavano
immaginando echi di esplosioni. E’ questa una iniziativa benefica alla quale ho
immediatamente aderito, in particolare perché espressa attraverso il linguaggio
dell’arte, che va oltre la parola, comunicando l’ineffabile”.“Volutamente la luce è fredda – afferma
Armando Cerzosimo rivelando le ragioni estetiche delle sue immagini in mostra -
come il freddo che attanaglia nelle livide albe oppressi e oppressori. Poco
importa se una guerra sia giusta o ingiusta, ma conta il non dimenticare che ci
sono dolori e morti e pianti e paure da affrontare per chi sognava un futuro”.
“Sono fotografie di donne e fanciulli ucraini, testimoni inquietanti
dell'orrore, della tragicità di questi tempi, vittime di una guerra che sta
distruggendo un popolo e il suo territorio. La concreta realtà della vita, dove
sembra incombere un sospetto di amor morti , si è portata al centro
dell'operazione fotografica di Armando Cerzosimo – dichiara il critico d’arte
Cristina Tafuri - perché, come in tutti i tempi, il tema del dolore e della
morte, spingono l'uomo a figurarsi varie forme di sopravvivenza. In queste
fotografie il fondo scuro dal quale le figure e l'ambiente si staccano con
evidente nettezza, conferisce al contrasto visivo un ' eco metafisica, quasi
cristallizzata. Ogni persona ha in mano un oggetto, un libro, un quadro, le
cose che pensano, sineddoche singolare, che ci rimanda alla loro terra, alle
loro cose, a tutto quello che hanno lasciato. Ancora una volta, come la
bellezza delle foto di Armando Cerzosimo ci suggerisce, è sempre l'arte che
viene in nostro soccorso”.
“Le Cose che pensano
Ucraina20222023 - Installazione,
testimonianze e fotografie”, avrà il suo taglio del nastro giovedì 9, alle ore
19, in una serata che vedrà la partecipazione del Critico d’Arte Cristina
Tafuri, della Dottoressa Rita Martinova e della Vice Sindaco di Salerno, nonché
Assessore alle Pari Opportunità Paky Memoli. Il giorno successivo, venerdì 10
febbraio, alle ore 19, dibattito su “La fotografia come messaggio”. Davanti ad
un’immagine non si deve mai essere spettatori passivi, ma è necessario porsi la
questione dell’intenzionalità: chiederci chi ci sta mostrando quell’immagine, e
a quali fini, a chi serve quell’immagine? (uno scoop mediatico, un fine
ideologico, politico, commerciale…). Allo stesso modo, l’interpretazione non
potrà dipendere rigidamente da metodi o griglie troppo schematiche. Dovrebbe
piuttosto essere un’attività dialettica, che sappia mettere in relazione tra
loro tutti i fattori, le forze in gioco, le contraddizioni. La disamina del
tema vedrà in dialogo Armando Cerzosimo, Marco Russo e Rita Martinova, per capire
le implicazioni più sottili delle immagini, che ci riveleranno aspetti nuovi.
Sabato 11 febbraio, alle ore 18, si svolgerà
un’asta di beneficenza, il cui ricavato sarà devoluto alla popolazione Ucraina
tramite la Croce Rossa Italiana Sezione di Salerno, presieduta dal Dottore Antonio Carucci. Battitore di
quest’asta il giornalista Gabriele Bojano, affiancato dal critico d’arte Cristina Tafuri e dalla
Dottoressa Rita Martinova. Due i lotti di opere del massimo artista ucraino
contemporaneo, Ol’Svol’d, il cui motto è "Chi vive, chi non vive per se
stesso, chi vive la vita per gli altri". Ol’svol’d, un maestro
dell’informale, nel 2009 ha scelto una guida spirituale e ha iniziato a creare
gli Tsvetnosties L'obiettivo e il significato della sua vita è salvare
l'umanità attraverso la costruzione di gallerie in tutto il mondo e la
collocazione di immagini spirituali energetiche. Solo dal 2019 gli Tsvetnosties
sono stati presentati in più di 60 eventi mondiali su larga scala, ricevendo
riconoscimenti internazionali tra cui il "Best Artist of the year
2020". Gli Tsvetnosties sono parte integrante parte del progetto
"Ol'svol'd Tsvenosti", il cui obiettivo è collocarli nelle gallerie
di tutto il mondo, in modo che attraverso la purificazione e la trasformazione
di ogni singola persona che interagirà con loro, potrà avvenire la
trasformazione dell'umanità, attraverso la loro contemplazione e il trovarsi e
ri-trovarsi nel loro campo energetico.
“Questa iniziativa – ha
affermato Rita Martinova - nasce come ringraziamento alla comunità salernitana
per aver accolto le donne ucraine rifugiate insieme ai loro figli dalla
ingiusta e ingiustificata guerra che così profondamente ha colpito l’Ucraina.
Un anno fa iniziava questa terribile guerra che ha sconvolto tutto il mondo. Ho
sentito forte il desiderio, io che vivo qui a Salerno da oltre venti anni, di
aiutare in qualche modo il mio popolo. Mi sono data da fare per aiutare le
mamme con i loro figli ad inserirsi nella nostra comunità anche attraverso
l’insegnamento della lingua italiana. Ho conosciuto il maestro Armando
Cerzosimo un anno fa, anche lui desideroso di aiutare la martoriata Ucraina. E’
nata, così, l’idea di organizzare una mostra fotografica dedicata alle donne
rifugiate e contemporaneamente anche una mostra di pittura sacrale di un grande
artista ucraino contemporaneo Ol’svol’d, il quale, generosamente ha messo a
disposizione diverse sue opere”.
Lunedì 13 febbraio, alle
ore 19, si discuterà sul tema dell’accoglienza, del sostegno al popolo in
guerra, con Antonia Autuori Presidente della Fondazione Comunità Salernitana e Tommaso D’Angelo direttore del quotidiano
Le Cronache, i quali hanno organizzato un viaggio umanitario, al quale ha
partecipato anche il Vice-sindaco Paky Memoli, in qualità di medico, lo scorso
marzo, attraverso il quale, con due pullman, hanno portato lontano dalle
atrocità della guerra oltre cento profughi ucraini, accogliendoli e
sistemandoli, poi, in città e nell’intera provincia salernitana, offrendo un
segno tangibile di vicinanza al popolo ferito e destabilizzato dall’invasione
russa. Ultimo incontro, prima del finissage fissato per il 15 febbraio, martedì
14, alle ore 19, con le testimonianze di donne ucraine, che hanno i loro
mariti, i loro cari in guerra, in trincea, sul tema “L’amore ai tempi della
guerra”.
E’ di venerdì scorso la
ripresa della piacevole consuetudine, sospesa per il lungo periodo pandemico,
dei concerti fatti in casa, dove per fatti in casa, stanno quei deliziosi
preserali in casa della Prof.ssa Pina
Gallozzi, Presidente Provinciale e
Salerno dell’Associazione Culturale Cyprae, che tanto si adopra per la
crescita dei giovani talenti.
L’Associazione
Culturale Cypraea, fondata nel 1983 nella Penisola Sorrentina da Cecilia Coppola, docente di lettere classiche, scrittrice e
pittrice, dà la possibilità a giovani di tantissime nazioni dalle Americhe
all’Europa, dall’Asia all’Africa di incontrarsi, di confrontarsi e divenire
portavoce di messaggi di pace nel rispetto dei popoli, di amore per la tutela
della natura e di conoscenza e di fusione della storia delle loro civiltà.
Ad esibirsi, dinanzi ad
una ristretta cerchia amicale ed accompagnato al pianoforte dalla mentore Pina
Gallozzi, è il giovane Giuseppe Vitolo
di Nocera Inferiore, classe 2001, dotato di grande capacità strumentale,
nel qual caso: il violino.
Ha eseguito il primo
movimento della Sonata per violino e pf, detta “La Primavera”, dialogando
sistematicamente con la parte pianistica con la consapevolezza della struttura
beethoveniana.
L’intento preromantico
dell’autore è stato evidenziato nell’incontro scontro tra impeto e
scorrevolezza, nello svolgimento del tema principale e dei suoi incisi, che nel
duo ha espresso con chiarezza. Sicuro nell’impostazione tecnica conferitagli
dalla costanza nello studio quotidiano e da basi didattiche che gli hanno
fornito i giusti mezzi per affrontare una sonata molto nota e ricca di insidie
tecniche ed interpretative.
A seguire, il talentuoso
violinista, si è prodotto in un giusto bis, richiesto con calorosi applausi, in
una sonata di Ysaye per solo violino. Nell’esecuzione, il violinista ha
dimostrato consapevolezza della decodificazione dei segni musicali, autonomia
esecutiva e sensibilità espressiva, catturando l’attenzione degli ascoltatori
senza cedere nella concentrazione interpretativa.
Un cammeo musicale è
stato offerto, a seguire, con grande commozione dalla padrona di casa,
inseguendo il filo della memoria della Shoà, con un pezzo tratto dal concerto di Terezin, un posto autonomo d’insediamento
ebraico, detto dai nazisti, ma in effetti un ghetto come tutti gli altri. Una
musica struggente, commovente che richiama il sacrificio degli artisti che
furono ingannati e finirono gasati come i tanti milioni di ebrei, infatti loro
lo erano.
Una piccola sorpresa è
stata l’esibizione, ad inizio concerto, di Giovanni
Bellosguardo, un fanciullo di appena 9
anni, di cui sei passati ad esercitarsi e ad apprendere i segni del suono.
Brani eseguiti: Bossi Valentini Topolini
e Canzone della mamma Una bella certezza per il futuro e la Prof Gallozzi lo sa.