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sabato 5 giugno 2021

Il giornale on line sconfigge il quotidiano cartaceo e le edicole si chiudono di Maria Serritiello


 

Dal 1° maggio di quest’anno, l’edicola di via Panoramica, quella che, da quasi 50, faceva bella mostra di sé nei giardinetti, sotto la Clinica del Sole, ha chiuso definitivamente la saracinesca. L’ennesima in città, cadute ad una ad una sotto la mannaia dell’informazione on line, nel migliore dei casi, ma anche per il completo disinteresse della lettura dei giornali cartacei. Quasi nessun ragazzo, per ricambio generazionale, lo si vede con il quotidiano sotto il braccio come facevano i loro padri ed i loro nonni, un i- phone, racchiuso nel palmo della mano, non solo è più comodo, ma in meno di un secondo si collega con il mondo intero. La velocità della nostra era, non è da demonizzare, è un’altra cosa, a cui dobbiamo, noi di un’età matura, abituarci. Così, don Matteo, l’edicolante di Via Panoramica, questo il suo nome, il cognome non l’ho mai saputo, dopo 30 anni e passa, ha deciso di chiudere bottega, rendendo sguarniti i giardinetti del quartiere che con lui prendevano vita dalle 6,00 del mattino, per continuare l’intera giornata. L’edicola non conosceva chiusura, né pausa pranzo, un continuum che assicurava il servizio oltre al giornale mattutino, già esaurito alle 11,00 del mattino, ma che restava là per i piccoli desideri esposti in vetrina, oggetti per adulti e piccini che l’editoria sapientemente produceva. La mia generazione, o forse io, avevamo curiosità dell’oggettistica del passato che l’edicola presentava a buon prezzo, per cui ho collezionato di tutto: mensili per conoscere l’Italia e l’Europa, copie di gioielli delle dive, scatoline in ceramica su modelli regali, penne, pennini, inchiostri, timbri, calamai e raccolte ad uscite settimanali. E’ stata, l’edicola di Don Matteo, per anni la mia giocattoleria da adulta, infatti, mi conservava o mi proponeva ciò che sapeva poteva piacermi e mi piaceva tutto.

Don Matteo, è un signore che nel tempo ha conservato la stessa fisionomia, ma non la stazza, infatti è molto dimagrito da come l’ho conosciuto io, ha occhi e pelle scura, privo di capelli e fumatore incallito. Per un periodo ha cercato anche di smettere, sostituendo l’amata sigaretta con una chewing gum, ma è durato poco, del resto per 35 anni, la bionda prima ed il computer, in tempi più recenti sono stati gli unici svaghi di ore interminabili, passate nel piccolo chiosco. Prima di questa vita sedentaria, per 30 anni ha svolto la mansione di auto trasportatore, in giro per tutta l’Europa, sempre fuori casa ed alla guida di mezzi pesanti.  Maritato da 48 anni con la Signora Nicoletta, dolce e sorridente, ha due figlie, entrambe sposate, ma vivono lontane dai genitori. Per anni Don Matteo chiuso nel chiosco, d’estate e d’inverno, ha avuto la compagnia di due cagnolini Puffa (14 anni) e Ciro (18 anni), a cui si è dedicato con tutto l’amore di cui è capace. D’impatto può sembrare un uomo ruvido, scostante, niente di più sbagliato, lui è un tipo pratico, con metodi spicci, abituato, com’è stato, a risolvere ogni cosa che la vita gli ha presentato. Ed allora ha di che perdere il parchetto di Via Belvedere, ora che il “Il faro di Salerno” così mi viene di soprannominarlo, il guardiano discreto, il vigile occhio alle piante che non seccassero, alle luci che fossero sempre accese, alla pulizia del luogo, tanto che una saggina fa bella mostra di sé, ancor oggi, appoggiata alla porticina, varcata per tanti anni e spalancata sulle notizie del mondo, ha dato priorità alla vita libera e senza orari.

Questo luogo, oggi, così cambiato, con il passar del tempo, 70 anni circa, era tutt’altra cosa prima. Ricordo una campagna estesa e sconnessa che seguiva i due lati della strada che da Via Nizza si avviava verso il “mazzo della signora” una simpatica volgarizzazione del sostantivo “maso”, terra, possedimento, ma anche per l’associazione visiva della forma tonda della collina Bellaria, così simile al fondo schiena pronunciato delle donne.

Io sono nata, più giù, in Via Fratelli del Mastro, nel palazzo De Maio di fronte al palazzo Serritiello, di mio nonno Francesco ed i suoi fratelli, una specie di chiusa conchiglia che alloggiava tutti i parenti, fratelli e sorelle prima, figli dopo ed a mano a mano i nipoti. Facendosi il palazzo un po’ stretto per tutti, mio padre, primo sposo, si allontanò dalla chioccia madre, giusto quel tanto per raggiungere il portone successivo. Di Via Nizza conosco tutte le trasformazioni e gli interventi migliorativi del luogo, ma quanta nostalgia ho dello spazio dove Don Matteo ha trascorso un pezzo della sua vita. Al posto del chiosco, infatti e tutta la parte intorno c’era la terra di Alfonsina. Mia madre, nei pomeriggi della mia infanzia, mi chiedeva dove volessi andare a passeggiare ed a consumare la merendina, in montagna o a lungomare, invariabilmente dicevo che volevo andare da Alfonsina perché aveva le papere, i pulcini ed i fiori e mentre mia madre Bianca e sua madre, nonna Carmela parlavano di “cose da grandi” io, felice giocavo con gli animaletti di Alfonsina.

Forse è per questo mio passato, a pensarci bene, che ho provato dispiacere alla chiusura dell’edicola. Da adulta, ancora là, trovavo non gli animaletti ma strumenti di lettura e tanti oggetti da collezionare.

 Don Matteo è andato in pensione con tutta la sua gagliardia e il desiderio di fare ancora qualcosa, in fondo chiuso nel chiosco, non ha fatto altro che cambiare conduzione, lo spazio è lo stesso, la cabina dell’autotreno ha più o meno la stessa superficie, la fatica certamente è stata differente, per nulla impegnativa, come quando doveva stare attento alle strade, al tempo, al colpo di sonno, al traffico, sia dell’autostrada che delle grandi città, abituato per anni ad uno spazio minimo per lavorare, ora lo si vede uscire libero e sereno per sostare al sole, sulla panchina, accanto al suo chiosco dalle saracinesche abbassate, con l’immancabile sigaretta, al lato della bocca e con chissà quali pensieri.

Maria Serritiello