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mercoledì 26 marzo 2025

Due serate al Ridotto di Salerno con Santino Caravella, per “Che Comico 2024/2025”. Rassegna curata da Gianluca Tortora.

 






Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello


Due spettacoli in compagnia di Santino Caravella, “Ridiamoci su” il 22 ed il 23 Marzo, al Teatro Ridotto di Salerno, alla ripresa delle esibizioni, che hanno subito una battuta d’arresto, nel mese scorso, per giustificati motivi di alcuni dei comici partecipanti. Da adesso e fino a fine aprile, ogni fine settimana ci saranno in scena, cambiando teatro, com’è consuetudine: Sergio Rubini, Barbara Foria, Anna Mazzamauro e Peppe Iodice, al Delle Arti.

Ho conosciuto Santino Caravella al Teatro Ridotto, per la prima volta (N.D.R.) nell’anno 2012, lo stesso della sua partecipazione al Premio Charlot e della sua vittoria all’ambito premio. Averlo ritrovato dopo tutti questi anni è stata un felice rincontrarsi soddisfatti entrambi che nessuno dei due aveva dimenticato l’altro.

Ed eccolo in scena, poca la differenza dei 13 anni trascorsi, con il suo completo nero, nera anche la t-shirt che gli dà aria seriosa, un po' emozionato ma anche desideroso di entrare velocemente in sintonia con il pubblico e per quasi due ore prova a divertire, con semplicità e l’onestà del mestiere. La sua, e si capisce subito, è una comicità familiare, sia perché diverte usando la sua di famiglia con difetti e virtù, sia per l’aria confidenziale con la quale approccia il pubblico. Così entrano nel suo monologo le differenze abissali tra uomini e donne, dove il maschio è sempre indietro, nella comprensione di ogni cosa, alla donna e questa diversità naturale viene esaltata, non per piaggeria, ma perché è un dato di fatto accertato. Un esempio per tutti: Se va a fare la spesa l’uomo, diciamo pure Santino, si confonde, non ricorda ciò che deve comprare, chiama disperato la moglie, anche perché ha sbagliato negozio e ha bisogno di una dritta per tornare a casa. Non c’è niente da fare l’uomo è fatto così, evapora le azioni da compiere, ma non lo fa per cattiveria, è la sua natura. Quando ha deciso, veramente l’iniziativa è della fidanzata, di sposarsi è stato uno dei momenti più faticosi della sua vita. Scegliere il luogo della cerimonia, il menù, il vestito da sposa, l’abito dello sposo, i fiori, gli inviti, le bomboniere, il viaggio, non è stato uno scherzo se a seguito c’era la suocera, l’amica, la madre e la sposa, un turbinio di parole senza che lui, escluso da ogni discorso, potesse dire una benché minima parola. E una volta sposati, le cose non vanno meglio, il ménage familiare, con l’aggiunta dei figli è sempre più impegnativo e costoso e rimpiangere “mammà” diventa automatico.

Così la vita quotidiana di Santino è raccontata con un umorismo vivace e capacità di coinvolgere il pubblico, la sua comicità è caratterizzata da un mix d’ironia e sarcasmo. Il monologo semplice è spesso caratterizzato da battute dirette, situazioni quotidiane e riflessioni considerevoli che possono far ridere senza complicazioni e senza riferimenti culturali complicati. Il suo mantra del passato diceva “Sto messo male, ma proprio male, male” e lo ripeteva con paurosa insistenza, preoccupato del futuro; dopo 13 anni al Ridotto può sollevarsi da questa visione negativa, ha casa propria, una bella moglie, due figli intelligenti e sani, il pubblico che non l’ha dimenticato e l’apprezza e un ristorante che se ci si ritrova in quel di San Giovanni Rotondo, dopo una sentita e riverente preghiera per San Padre Pio, è possibile anche incontrarsi.

Maria Serritiello




 





“Romanzo Breve” Sesto Spettacolo in concorso al XVI esimo Festival Nazionale Teatro XS Città di Salerno con Ophelia and the Corò nuts di Padova

 



Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Ciò che non è dispiaciuto, in questa tornata di spettacoli, concentrati per la maggior parte nel mese di marzo, è che si è fatta la conoscenza di nuove compagnie, nuovi volti, nuove forme di spettacolo (musical e pantomima) per esempio. Le scelte, presentate all’attento pubblico, sono state molto apprezzate, dando colore e calore all’XS, una manifestazione la più nota in Italia per quel che riguarda il teatro amatoriale.

Romanzo Breve di R. Ranzato, C. Corò e C. Maffia è l’incontro tra Felice, scrittore taciturno e sistematico e Dalila una donna l’opposto contrario. Sfrattata dalla sua casa, perché troppo rumorosa, Dalila si catapulta, letteralmente, nell’appartamento del povero Felice, senza che lui riesca a difendersi dall’invasione della donna.  Tra i due è poco più di una guerra nel dividersi gli spazi, nell’imporre il silenzio, nel disegnare a terra i confini del movimento, nel dare l’orario della sveglia mattutina. Tutte azioni impensabili per l’esuberanza mal contenuta di Dalila, ma Felice oppone una strenua resistenza, che col passar dei giorni, però, si fa sempre più debole, fino a diventare assurdamente piacevole la condivisione della vita a due. E così lui scrive, lei rassetta, lui aggiusta, lei lava, lui asciuga e lei esce per la spesa, una coppia affiatata, due persone che hanno voglia di stare insieme. Sparite le schermaglie iniziali, ora sono amorevoli, affettuosi e teneri, fissano le stelle, nelle notti schiarate, si guardano negli occhi e fanno l’amore. E’ la semplicità della vita quotidiana, quella che per essere felici trasforma l’usuale in straordinario.

Le relazioni amorose, però, nella routine giornaliera possono trasformarsi, assumendo un mesto andare avanti ed è quello che succede alla nostra coppia, fino a quando lei, non potendone più della scialba vita, se ne va. Felice cerca di riprendere in mano la sua vita, di ripristinare l’ordine sistematico di prima, quando le giornate giravano tutte intorno a se stesso, perfino il silenzio, tanto auspicato, gli sembra inutile e superfluo il bagno tutto per sé, unitamente alla cucina vuota, come del resto tutta la casa. Le giornate scorrono lente e la scrittura è ferma al giorno in cui Dalila se n’è andata. Il finale ci darà soddisfazione torneranno insieme, la crisi viene superata nel costatare che ogni bene col tempo si trasforma, diventando altro, perché altro si diventa nell’affettività e non è un male, se si ha cura di conservare ciò che si è costruito insieme.

La storia di per sé semplice è resa eccezionale dal modo di rappresentarla. In scena troviamo due giganti, la loro bravura è tanta che lascia ammirati. Si muovono in maniera concitata con una successione di gesti e di atteggiamenti caricaturali, dove la parola viene messa all’angolo per privilegiare i movimenti del corpo e dall’espressione del volto. La scena è scarna ed è fatta di squadre sottili, di scatole, di due sedie, tutto materiale di legno che prende forma man mano che la storia va avanti in 80 minuti circa. Sicché i vari pezzi congiunti, a volta sono porte divisorie, nel momento della prima conoscenza, poi sono unite, quando è l’amore a vincere. Una scena spoglia sì, ma affollata dai loro gesti, dai loro larghi movimenti, da espressività convinta. Felice più di Dalila, un vero acrobata, nel muoversi molleggiando sulle gambe e nel districarsi tra le cassette di legno sparse, inciampa scenicamente molte volte, senza mai cadere rovinosamente. Rimane impresso il rumore del suo tastare sulla macchina da scrivere, anch’essa un pezzo di legno, che è dato dal suo schioccare la lingua tra le labbra, un ticchettio perfetto, unico, ricordevole.

E poi c’è Dalila paffutella in volto, un concentrato di mossette graziose, di bronci, una raccolta di felicità e di dispiacere, di movimenti appropriati e di passi ballati su musica allegra come il Charleston. I suoi gesti sono espressività armonica, mai un fuori posto, mai un’eccedenza, tutto rientra nel voler rappresentare il quotidiano di una coppia, una delle tante, senza la straordinarietà e la rarità, ma solo in modo diverso e dunque, l’uno corollario dell’altro, bravi artisti entrambi.

Infine il loro teatro in movimento, per questo più difficile, affidato quasi esclusivamente alla mimica, senza che il fascino delle parole faccia il resto, ci ha riportato alle comiche in bianco e nero, a miti come Charlot, Stanlio e Ollio, con tutta la loro trascinante allegria.

“Romanzo Breve” ci regala una storia poetica e delicata nella pur semplice quotidianità, lasciando spazio all’imprevisto e alla capacità di rompere la monotonia. Nessuno vuole starsene da solo meno che mai Felice e Dalila

Maria Serritiello


“Romanzo Breve”

Commedia romantica in pantomima musicale

di Romina Ranzato, Cristian Corò e Cristina Maffia

Con: Cristian Corò e Cristina Maffia

Ophelia and the Corò nuts di Padova

Regia di: Romina Ranzato



giovedì 20 marzo 2025

Si bandisce il V° concorso fotografico Memorial Antonio Serritiello "Professione Reporter "

 


Fonte: www.concorsoprofessionereporter.it

di Maria Serritiello


Memorial Antonio Serritiello

V° Concorso Professione Reporter

a cura di Maria Serritiello

Organizzazione Spazio Up Arte

Supporto Tecnico

Cerzosimo

Il tema di questa nuova edizione è: 

                                  Scene del Vicinato

La partecipazione è gratuita

Inviare le foto entro il 30 Aprile


Info e Regolamento

                         www.concorsoprofessionereporter.it






sabato 15 marzo 2025

Pietro Genuardi per tutti Armando ( Il Paradiso delle signore) dal 2019-2024

 

Fonte: il web

Ricerca Maria Serritiello 

Ci saluta e per sempre Pietro Genuardi, per tutti dal 2019 "Armando" del "Il Paradiso delle Signore", personaggio il più stabile, il più equilibrato, il più sensibile, il più disponibile verso tutti, insomma niente a che fare con gli intrighi, le gelosie, e le cattiverie di alcuni protagonisti della soap, che pur la fanno andare avanti, ogni giorno dal lunedì al venerdì con un milione e 347.000 mila spettatori e con il 17,3% di share di preferenze. Un successo inimmaginabile, nella fascia pomeridiana, dove su tutti mille canal, (sig!!!) si trovano vendite di poltrone con rotelle, di piatti, di pentole e di corredi per le giovani in odore di matrimonio, il tutto spinto nelle nostre orecchie da una voce sgraziata di un vecchio imbonitore, come si usava nei mercati dei paesi. Un successo, dunque, per la rete ammiraglia che non si è saputa regolare  alla scomparsa di un attore, che ha ben tirata la carretta per il successo di Rai 1. Bastava che sospendesse la puntata di venerdì in segno di lutto e la bella figura la faceva a buon prezzo...ma poi la pubblicità!!!!

E manco mi sta bene la commozione di Caterina Balivo nel ricordarlo nel suo programma "La volta Buona" che già nel titolo ha un che di blasfemo, o no?

Insomma come si dice da noi "i morti con i morti e i vivi con i vivi" CHE TRISTEZZA

HO SENTITO IL BISOGNO DI RICORDARLO NEL MIO BLOG

                            CIAO ARMANDO

Maria Serritiello


 Pietro Antonio Genuardi (Milano, 26 maggio 1962 – Roma, 14 marzo 2025) è stato un attore italiano, conseguì il diploma presso la scuola del Piccolo Teatro di Milano nel 1987. La sua carriera ebbe inizio accanto a registi italiani tra i quali Massimo Castri e Beppe Navello; nel 1995 interpretò il ruolo di Giulio Ricordi nella miniserie televisiva La famiglia Ricordi, diretta da Mauro Bolognini. Si dedicò anche al teatro, non solo come attore, ma anche come autore e regista di numerose opere. Numerosi furono i suoi ruoli cinematografici, tra cui quelli nei film Crack (1991), Dellamorte Dellamore (1994), Bastardi (2007) e il più recente Brave ragazze (2019). Anche sul piccolo schermo si distinse con numerose interpretazioni. Il pubblico italiano lo ricorda in particolare per il ruolo di Michele Nanni nella soap Vivere, ma soprattutto per quello di Ivan Bettini in CentoVetrine, personaggio che interpretò per tredici anni, dal 2001 al 2014. Nel 2019 entrò nel cast della soap di Rai1 Il paradiso delle signore, dove vestì i panni del capo-magazziniere Armando Ferraris. L'anno successivo iniziò le riprese del film Viaggio a sorpresa (Surprise Trip), per il quale, oltre a recitare, curò il soggetto e la sceneggiatura insieme a Ronn Moss. Partecipò inoltre alla serie italiana di NetflixBaby (serie televisiva).




“Novecento” di Alessandro Baricco è il quinto spettacolo in concorso al XVI esimo Festival Teatro XS Città di Salerno con la Filodrammatica Orenese di Vimercate (MB)


                      



 Fonte:www.lapilli.eu

di Maria Serritiello


Il mare sciaborda e salsedine e freschezza si attaccano al corpo, il garrito rauco del gabbiano volteggia e sfiora la testa, in lontananza una sirena lancia richiami e la nave Virginian s’avvicina al porto, Questo l’inizio, attraverso i sensi, di Novecento, il monologo teatrale scritto da Alessandro Baricco, nel 1994 per Eugenio Allegri. D’allora in poi il racconto è uno dei pezzi teatrali, il più sublime, un tempo narrativo veloce, comprensibile e particolare

La scena è scarna, solida, di legno al naturale, con una serie di piccoli scanni sparsi, che di volta in volta rappresentano sagome di personaggi raccontati, due sacchi di iuta ed una lanterna completano l’immagine fissa.

“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare... e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l'America”.

L’incipit preciso e tutta la trama del racconto sono affidati, a colpi di ricordi, ad un trombettista, tale Tim Tooney, che, per sfuggire alla miseria e ad una vita grama, accetta l’ingaggio sul transatlantico Virginian, per rallegrare le serate dei passeggeri. Su quella nave oltre a sbarcare il lunario conosce Novecento, la leggenda della musica e gli resta affezionato. Il nome per intero di questo fuoriclasse, però, è: Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, nel quale si abbina il nome del fochista nero che lo adotta, più l’anno nel quale è stato trovato, Novecento, per l’appunto. Danny Boodman, senza pensarci su, lo crescerà come padre amorevole, il suo vecchio cuore si scoglie quando lo trova abbandonato, scesi tutti i passeggeri, sul pianoforte nero e lucido della prima classe, sistemato in una misera scatola di limoni e avvolto in una copertina, senza uno scritto di accompagnamento. Tutto l’equipaggio lo accoglie con calore, pur temendo che quell’adozione non sia regolare, ma l’uomo, a chi glielo ricorda, risponde, con un’alzata di spalle “In culo alle regole”. Per 8 anni gli insegna tutto quello che può della vita, circoscritta al transatlantico e non lasciandolo mai scendere a terra, nel timore di perderlo. Poi un triste giorno la morte pone il dilemma di che farne del piccolo Novecento, sicuramente sbarcarlo e affidarlo a mani competenti, ma il piccolo, avvertito il pericolo, si nasconde senza farsi trovare se non dopo che lil transatlantico ha preso il largo.  Gli anni passano e la nave diviene la sua casa e la sua esistenza ed è lì che lo trova Tim Tooney nel 1927 restandogli amico per tutta la vita. Tutto quello che sappiamo di Novecento, infatti, lo dobbiamo a lui, per esempio della sua bravura al pianoforte senza che nessuno gliel’abbia mai insegnato, della sua mitezza di carattere, del suo credere nella bontà altrui e del suo realizzarsi in maniera totale con la musica. Pensieri e desideri semplici, di un uomo vissuto a stretto contatto con il proprio io e con temi musicali scelti, colonna sonora della propria vita.

Quando Novecento sfiora i tasti, senza mai spostarsi dal Virginian, conosce luoghi e vive esperienze appaganti, riuscendo incredibilmente a vivere ogni viaggio, ogni luogo ed ogni sensazione, le stesse che sente raccontare dai passeggeri del piroscafo, testimoniando, poi, di conoscere luoghi senza averli mai visitati. Vive momenti esaltanti ed accetta e vince un duello musicale con il famoso pianista Jelly Roll Morton, presunto "inventore del jazz", conosciuto per i suoi modi poco rispettosi, nessuno crede, possa saper suonare meglio di lui. Novecento senza sforzo alcuno, riesce a battere Morton, eseguendo un'energica ma delicata sinfonia.

Tim Tooney si esalta nel ripensare alle prodezze del suo amico e raddoppia i ricordi, ad esempio l’episodio “della caduta dei quadri” che precede, poi, la volontà di scendere a terra. Solo un caso?

“A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per

anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono.

Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un

certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto,

con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran.

Non c’é una ragione. Perché proprio in quell’istante?

Non si sa. Fran. Cos’è che succede a un chiodo per

farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto?

Prende delle decisioni?...

Un passaggio stupendo lo spunto dei quadri, che indica come nella vita attimi insignificanti creano, invece, un’opera complessa e affascinante, momenti congelati nel tempo, ognuno con una storia e un'emozione unica.

Ed eccolo, Novecento con il suo cappottino di cammello, rimesso a nuovo proprio per fare la sua bella figura, appena messo il piede a terra. Sì, ha deciso di scendere dal Virginian per guardare il mare di faccia e la nave alle spalle. Vuole riprendersi la vita al di fuori della polla in cui è stato chiuso

Tutta quella città… non se ne vedeva la fine. La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? E il rumore. Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto. E io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema primo gradino, secondo gradino, terzo gradino. Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino. Primo gradino, secondo… Non è quel che vidi che mi fermò. E’ Quel che non vidi…”

Novecento non mette piede a terra e mai più lo farà, figlio di quella nave è là la sua grandezza e il suo limite. Nella città è uno sconosciuto, sul Virginian, una leggenda. La conoscenza delle cose gli è stata data dalla sicura tastiera del pianoforte, con i suoi 87 tasti finiti. Stranamente la nave, metafora della sua vita, racchiusa e galleggiante, dovrà essere trasferita sulla terra ferma per essere conosciuta, raccontata e non da lui. Il desiderio di realizzare i suoi sogni mal si concilia con la paura del mondo, per cui l’uomo insicuro e timoroso si consegna, senza rimpianto all’unica cosa certa della sua vita, a quel grembo materno di nome Virginian, che l’ha accolto in semplicità e protetto teneramente, consegnandogli pianoforte e musica. E quando la nave dovrà essere distrutta per raggiunti limiti di percorrenza, Novecento, per l’estremo legame con essa, sparirà nel liquido amniotico del mare per un’ultima carezza materna

Lo stile colloquiale e la narrazione sotto forma di ricordi fanno di Novecento un monologo di pregio unico, che l’attore Fulvio Perrone, della Filodrammatica Orenese, per la prima volta partecipante all’XS, ha interpretato in maniera egregia, oserei dire da innamorato pazzo. Non si è risparmiato, Fulvio, sicché ha volteggiato su di un enorme rocchetto, utile per corde e cavi, ha caratterizzato personaggi del racconto, affollando la scena, ha smosso scanni, ha montato scale, ponti, passerella, ha indossato vestiti, cappotto, cappello e quel che più conta, per 75 minuti, ha raccontato senza dimenticare nulla, un monologo che di semplice ha solo l’apparenza.

La storia è singolare, vuoi perché si occupa della vita di un solo uomo, che può essere quella di tutti e vuoi perché le sue paure ci toccano profondamente ed ognuno si sente incluso. L'identità, la libertà e il senso di appartenenza, volteggiano, come voli larghi di gabbiano nel racconto e si confrontano con il mondo esterno del protagonista, che rimane legato, però, al suo unico ambiente.

Questo suo modo di comportarsi, per paura di non essere in grado di gestire la vita al di fuori di un luogo protetto, mi fa pensare (N.D.R.) ai tanti ragazzi Hikikomori, che si moltiplicano sempre più nell’attuale società.

 

Infine “Novecento” di Alessandro Baricco, in assoluto il capolavoro italiano, sviluppa tematiche che toccano tutti, come il legame per la propria origine, vuoi che sia famiglia o luogo in cui cresci e ti realizzi, vuoi che sia il sogno di vivere una vita autonoma senza lasciare il porto sicuro della tua esistenza. Un binomio che se raggiunto è la felicità!

Maria Serritiello

 

*La leggenda del pianista sull'oceano” il film di Giuseppe Tornatore del 1998, 5 nastri d’argento, è tratto da Novecento di Alessandro Baricco

 

Compagnia Filodrammatica Orenese

Interprete: Fabrizio Perrone

Luci ed audio: Mattia Nodari, Sara Biollo

Grafiche: Alessio Bonizzoni

Regia: Fabrizio Perrone e Mattia Nodari

 

 

 


 

 

 

 

domenica 9 marzo 2025

2.24 di Pascual Carbonell e Jeronimo Cornelles è il quarto spettacolo in concorso, presentato dalla Corte dei Folli, regia Pinuccio Bellone, al Teatro Festival XS, Città di Salerno

 



Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

L’interno della metropolitana a vista, ha 9 sediolini rossi, di fuori un grosso timer scandisce secondi che addizionano 2.24 minuti, un tempo ineluttabile, un limite stabilito, entro il quale si muove l’azione di due sconosciuti: un uomo, Marcos ed una donna, priva di nome. Realtà e immaginazione s’impossessano della scena e neanche nel finale c’è nitida chiarezza.

 Un contesto banale, dove la metro fa da sfondo all’incontro occasionale di due sconosciuti, che vivono insieme solo per due fermate, un luogo quotidiano ed anonimo, ideale per incontri senza conseguenze, una chiara metafora della vita misteriosa ed intricata.

Sono distanti, 7 sediolini li dividono, abito nero, capelli corti e scialle rosso sulle spalle, intenta nella lettura di un libro, lei, completo grigio, camicia bianca, senza cravatta, capelli trasandati e borsa da lavoro in pelle, lui. Ed ecco avere inizio la narrazione di un tratto di vita disvelata per 2.24 minuti dei due passeggeri. Un foglietto di carta, per caso o voluto, è lasciato cadere a terra da parte dell’uomo, prima di scendere alla sua fermata. La donna lo raccoglie con sussiego e vi legge un’anonima lista di acquisti per la casa, ripromettendosi di consegnarglielo il prossimo fine settimana, quando si sarebbero nuovamente incontrati. Inizia, così una fitta rete di messaggi dall’uno all’altra, dove la posta si alza sempre più e dove il confine dell’innamoramento si fa sempre più sottile, fino alle richieste impossibili dei due. La donna, con arte, confeziona il gioco sottile della seduzione, concede e si ritira con estrema destrezza, implicando nei suoi gesti, forzato sentimento, sensualità ambigua e sessualità palese, mentre lui innamorato perso, ormai, è in balia dell’umore volubile della donna. La musica è un forte attrattore tra i due, il tango triste ballato senza avvitarsi nel vagone vuoto della metro è, però la negazione più assoluta della voluttuosa seduzione. Marcos ha un piano per vivere libero l’amore che l’ha preso e che celebra con i versi del poeta statunitense Wolt Witman, uccidere la moglie e sua figlia! Sì, è sposato, ma non è l’unico segreto della sua vita, sua madre è stata uccisa(?!) e lui soffocato dalle sue cure, tanto da esserne malato, è stato nient’altro che un uomo debole e mai decisionista.

Ecco che la Metro gli viene in soccorso, con quel breve lasso di tempo, abbinato alla particolare condizione di solitudine del vuoto vagone, invalicabile dall’esterno, per dare la stura liberante ai suoi pensieri impossibili, che un disturbo dell’attaccamento ha potuto provocare nella sua mente. La donna, distante a sette sediolini rossi, come sanguigno è lo scialle sulle sue spalle, già seduzione e manifesta carnalità, gli rende forza, vigore e capacità di realizzare un sogno, quello nato dalla forza del desiderio e non dalla debolezza accumulata.

 Ha in suo possesso tre colpi di rivoltella, tre colpi per aggiustare la sua vita, forse anche uno e i 2.24 minuti disposizione che stanno per scadere…

 

Rivelare la conclusione sarebbe “delitto” quel finale che ci ha tenuti incollati alle sedie per 90 minuti, senza accorgersene, va svelato sere per sere in teatro, a noi resta di riflettere sulla bontà del pezzo, della scelta, della bravura attoriale e della eccellente regia

Decisamente 2.24 è un dramma psicologico di grande intensità, gli autori hanno dato vita ad una scrittura a due mani impegnativa e con buoni risvolti creativi, scrivere al femminile, per l’altro genere, non è sempre facile ed i due scrittori Pascual Carbonell e Jeronimo Cornelles, amici per caso, ci riescono in maniera egregia. Scegliere, poi, un lavoro così impegnativo ed avere la volontà di portarlo in scena, al concorso dell’XS, va tutta la lodevole ammirazione, distribuita equamente tra il regista Pinuccio Bellone, Della Corte dei Folli, una nostra vecchia conoscenza e dei due attori: Annachiara Busso e Corrado Vallerotti, di straordinaria bravura.

Essere stati per 90 minuti rinchiusi nello scompartimento della Metro sotto terra in balia, ora dell’uno, ora dell’altra, ostaggi dei due personaggi e delle loro ubbie, i segni di effettiva claustrofobia ed angoscia smisurata ci sono stati tutti. I dialoghi incisivi e ricchi di sfumature, hanno permesso di esprimere una vasta gamma di emozioni, dalla gioia alla tristezza, dalla frustrazione alla speranza, da una conclusione annunciata, a quella non sperata. Non avrà un finale rosa 2.24, come l’amore filmico di “Innamorarsi”, nato nella Metropolitana di New York, tra Meryl Streep e Robert De Niro, Marcos, che alla donna darà il nome equivoco di Clodinette, è invaso da un amore folle, forse mai realmente esistito, se non nella frustrazione della sua mente e della sua psiche disturbata. Una linea sottile tra sanità e follia, proiezione tra ciò che vede o crede sia il riflesso del suo stato mentale.

 Uno sguardo lucido ed analitico degli autori su di una mente disturbata e che nell’anonimato della Metro ha la sua compiuta espressione.

“Non aspettarmi questa notte, al mio fianco c’è l’inverno…e sono la tristezza e l’inferno.” Marcos

Maria Serritiello

 

2.24 -Dueventiquattro

di Pascual Carbonell e Jeronimo Cornelles

con Annachiara Busso e Corrado Vallerotti

Allestimento scenografico Gianfranco Sarotto

Coaching Enzo Brasolin

Regia Pinuccio Bellone











domenica 2 marzo 2025

Caro Ninì









 di Maria Serritiello

Caro Ninì,

tutto per una banale caduta in casa, ci abbandoni.

Senza una parola, uno sguardo, una rassicurazione, una promessa per rasserenarci. In silenzio e privo di conoscenza, ti sei avviato senza voltarti indietro, come per raggiungere una meta. Eppure ti ho conosciuto, tanti anni fa, ma mai abbastanza, soccorrevole, amichevole, presente nella vita di chi, al di fuori della tua famiglia, volevi bene.

Io, tra questi e tu come un buon fratello, un caro amico, un allegro compagno di svaghi e più̀ di un disponibile parente. Una mano protesa, con slancio ogni volta, per cui, ora, mi è difficile trovare le parole giuste per esprimere quanto fossi speciale e che qualità pregiata di gentiluomo e signore d’altro stampo, tu fossi.

La nostra amicizia è durata quasi 50 anni, un viaggio lungo, ricco di esperienze, di giornate trascorse, di racconti e avvenimenti della vita condivisi. La tua gioventù dorata, quale signore di Mottola, ti era restata attaccata come una seconda pelle e la Puglia dei tuoi natali, viva ma non invasiva, nella parlata dialettale, tipica l’espressione quando ti salutavo “Adda’ sci” o quando volevi insegnarmi la pronuncia corretta di Acqua sale”. Uomo, un nobil uomo, di vasta cultura e di sensibilità acuita verso l’estetica ed il bello. Amavi la musica classica, quella ascoltata nell’atrio del duomo di Salerno, o dalla terrazza immensa di Ravello od anche dai tuoi sofisticati mezzi acustici di casa. Il tuo studio un sacrario, arredato con libri antichi e foto della tua famiglia di origine e lasciata a Taranto, a tenerti compagnia.  La lettura, un hobby, dei tuoi, che ci ha permesso di scambiarci analisi e considerazioni, a volte anche in opposizione, su quanto andavamo leggendo. Ogni conversazione con te era un'opportunità per imparare o esplorare qualcosa di nuovo, per condividere risate e spensieratezza. Un uomo completo come marito, Iole, la tua compagna di una intera vita, piange la tua assenza, senza nessun conforto ed è stretta dall’abbraccio dei tuoi diletti figli, Tommaso e Checco, due uomini buoni che si apprestano a vivere la loro esistenza, senza avere le spalle coperte dalla tua forza discreta. I giovani nipoti, Everton e Wellington, ora a guardare il futuro con l’esempio della tua professionalità e l’integrità esemplare.

Per tutti di famiglia eri considerato “Il Gattopardo”, dal bonario sfottò che ti eri guadagnato da me, nel pretendere da Iole, oltre a tanto altro, l’accuratezza del mettere la tavola. Col tempo abbiamo sommato tanti di quei lemmi, per richiamare alla mente episodi divertenti, ma anche no, di quelli trascorsi insieme. Eccoti una sintesi e nel citarli, tutta la nostra vita avvolge il nastro.  

“lo scrittoio leopardiano”, Il vino di Locorotondo, Le cene al castello (dove il castello era la mia casa fuori città), Le feste in costume a ferragosto, Gli anni estivi al Lido Olivieri, giovanili, divertenti e spensierati, I compleanni, Gli onomastici e le ricorrenze ricordevoli.  La visita a Foggia e la mia ricerca puntuta di trovare un luogo alto nel tavoliere delle Puglie.

 Lo so, stai ridendo tutt’ora.

E poi il tuo andare generoso, avanti e indietro dall’ospedale, per portarmi frutta fresca nella calura estiva, alleviando la mia malattia, le discussioni articolate, seduti al fresco nell’aia di Emma, ribattezzato l’Ozio Di San Casciano, consumato tra il frinire delle cicale e l’albero secolare che gettava ombra nell’ acqua tersa della piscina. Le mie poesie, che devono a te la luce, accompagnate da un tuo colorito apprezzamento “Ma lo sai che sono belle ste c...di poesie!!

Così Ninì, mi lasci, ci lasci, un patrimonio di affettiva eredità, raccolto nei tanti anni distesi dinanzi a noi e poco importa se te ne sei andato da un’altra parte, io continuerò a chiederti testarda: “Come stai, oggi? E tu a rispondermi: “Botti, Botti”, per rassicurarmi ancora.

Maria Serritiello