Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Prima d’iniziare la
comicità, nel piccolo Teatro Ridotto, dove l’imperativo è ridere, un passaggio
d’obbligo con l’attrice Cinzia Ugatti che, con la sua bravura
interpretativa, ci fa ben riflettere su di un pezzo che ha come soggetto la
Violenza Sulla Donna. Il Ridotto, come altri teatri della città, ha aderito
alla campagna di sensibilizzazione indetta dalla Prefettura di Salerno per l’emergenza
violenza - donna, un triste fenomeno sempre più in ascesa.
Avverto il bisogno
(N.D.R.) di riportare il monologo per intero, scritto da Beppe
Stoppa, in occasione del lancio del progetto Libellula, primo
network di aziende unite contro la violenza sulle donne, partendo dalla
diffusione della cultura della bellezza nei luoghi di lavoro.
Beppe Stoppa,
professionista nell'ambito della comunicazione e dei sistemi per lo sviluppo
delle risorse umane
“Io sono una donna
fortunata, ho imparato ad usare il trucco da piccola, prima con le bambole, poi
su di me. Piano piano, sono diventata una vera esperta. Non ne uso mai tanto,
non voglio apparire, non voglio che mi guardino, non mi piace avere gli occhi
addosso. Mi fanno paura. Ma se capita voglio che il trucco mi nasconda,
nasconda prima me e poi, insieme, i segni che mi porto addosso. Non voglio che
la gente pensi, immagini, si faccia delle domande. Ma la gente non pensa, non
sa, non immagina.
Io sono chiusa nel mio
tailleur su questa metro. Ho gli occhi fissi sul pavimento. Mi sento protetta
in mezzo alla gente, non mi disturba nemmeno essere spinta, toccata, qui è
lecito, qui lo accetto, so che è la ressa e non la volontà. Però non alzo gli occhi,
non voglio incrociare altri sguardi.
Non voglio incrociare gli
occhi di un’altra donna e chiedermi se anche lei si è truccata come me questa
mattina o se è davvero felice. Non voglio scoprire la sua felicità, quella
aggiungerebbe del male alla mia vita. Non voglio che lei mi guardi e riconosca
nel mio trucco il suo e pensi, siamo uguali. No non siamo uguali. Magari lei se
l’è cercata, se l’è meritata. Io no. Non siamo uguali.
Non alzo gli occhi per
non incrociare lo sguardo di un uomo. Anche lui mi guardava sempre, prima. Poi
mi parlava, poi mi baciava. Quegli occhi che ti guardano, adesso mi fanno paura
perché adesso conosco la storia, so come va, come funziona questo rito.
Ieri sera non mi
guardava, era di spalle, poi non so, non ricordo, ha detto qualcosa, ricordo
solo che ha ripetuto più volte la stessa cosa, ma cosa non so, e ad ogni
passaggio il tono era più alto. Poi si è girato e l’ho visto in faccia. Non era
la sua faccia, non poteva essere la sua, lui non ha quella smorfia cattiva, non
ha gli occhi così stretti, lui assomiglia a nostro figlio, è bello. Ricordo che
il piccolo piangeva forte, faceva rumore. Ricordo solo il rumore. Poi un
dolore, uno schiaffo forte che mi butta a terra. Mi fanno male i capelli. Li
sta tirando e mi butta indietro il collo. Poi mi spinge la testa in avanti,
sento un calcio sulla gamba, poi uno nel costato e ancora due pugni in testa,
non rapidi. Prima uno, poi, con calma, arriva un secondo colpo. Ma non urlo.
Poi nulla. Il piccolo continua a piangere, sempre più forte, ma lui se ne è
andato. Mi alzo e vado a calmare il piccolo. Lui è uscito.
Quando è rientrato non
aveva più gli occhi stretti. Il piccolo dormiva. In casa c’era silenzio. Non mi
ha detto nulla, si è versato un bicchiere d’acqua poi, mi ha guardato. Non
aveva gli occhi cattivi. Mi ha guardato a lungo, poi mi ha parlato, poi mi ha
baciato, poi mi ha accarezzato il livido sotto gli occhi, mi ha baciato il
livido, poi mi ha slacciato la camicetta e il reggiseno, mi ha slacciato i
jeans, poi mi ha portato in camera. Il piccolo no, continua a dormire
tranquillo.
Arrivo finalmente in
ufficio. Saluto la collega e abbasso la testa verso la tastiera del pc facendo
cadere i capelli sulla faccia. No, non vado a bere il caffè. Non voglio stare
con la gente, non voglio che mi facciano domande, che mi chiedano cosa hai fatto
di bello ieri sera, sempre ammesso che qualche collega uomo non mi chieda dove
sono andata a sbattere la faccia e mi dica stai attenta quando fai i mestieri,
l’ho sempre detto che non sei una donna di casa, che lui saprebbe come
occuparmi il tempo…
Accendo subito il
computer e mi metto al lavoro. Apro la mail. La solita fila infinita di
messaggi a cui dare una risposta. C’è la mail di buongiorno piena di cuoricini
del ragazzo dell’ufficio acquisti. Ma non sorrido, come al solito non rispondo,
la cancello, poi svuoto subito la casella di posta eliminata. Guardo l’iPhone.
Un messaggio su WhatsApp. È lui. Mi dice scusa per ieri sera, perdonami, però
poi è stato bellissimo, torna presto stasera, ti aspetto, ho voglia di vederti,
mi manchi… Non rispondo, mi alzo, vado in bagno. Devo vomitare”.
Con la sua magistrale
interpretazione, Cinzia Ugatti ha calato un velo di tristezza su ogni
donna presente e di palese ribellione alle parole che raccontano la vita
infelice di tante, troppe, ormai, dell’altra metà del cielo. Quasi si fa fatica
a riprendere la spensieratezza, la ragione per cui ci si trova al Ridotto, ma è
solo all’inizio, perché The show must go on e dietro le quinte c’è
Gennaro De Rosa, che scalpita, pronto a farci ripigliare e a godere dello
spettacolo che Gianluca Tortora ha voluto regalare ai suoi abbonati. GRAZIE!
Gennaro De Rosa,
vincitore del Premio Charlot 2015, è una cara conoscenza, per chi l’ha
lanciato nel mondo del cabaret: il Patron Claudio Tortora e nel segno
della continuità del figlio Gianluca. È affezionato, si vede, si sente,
al pubblico Salernitano e non si risparmia sul palco. Con una spontaneità che
ammalia, inizia con il cantare un pezzo di Carosone che lancia a mille
l’adrenalina di chi lo ascolta e l’accompagna con lo schiocchio delle mani. Il
suo spettacolo è un turbinio di battute, spontanee, semplici, ma tanto
divertenti, porte con garbo, con il sorriso, con educazione e rispetto. Il
pubblico lo applaude, ride, apprezza il suo spettacolo che alterna non solo
canzoni di pregio “Tu si na cosa grande” “A tazze e caffè”, ma anche quelle
conosciute, quale repertorio, della canzone macchiettistica napoletana. Gi
autori rispondono al nome di Raffele Viviani “O guappe nammurate”, di
Armando Gill “Allora “e di Pisano e Cioffi “Fatte Pittà”.
Uno spettacolo, dosato,
calibrato in maniera piacevole, dove la battuta inizia e completa la voce
limpida di Gennaro, un napoletano appassionato, che non può non concludere il
suo spettacolo con il Principe della risata “Malafemmene: Totò.
Maria Serritiello





