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giovedì 15 dicembre 2022

Rappresentata al Teatro delle Arti di Salerno la commedia musicale “Voce e notte” di Guido Cataldo

 



Fonte: www.lapilli.eu
 di Maria Serritiello


Venerdì 9 dicembre al Teatro delle Arti di Salerno è stato rappresentato un lavoro inedito del Maestro Guido Cataldo, dal titolo “Voce e notte” che, sebbene non ci sorprende più per la sua bravura, riesce sempre a suscitare forti emozioni, in qualsiasi campo si cimenti e venerdì scorso è stata la scrittura ad essere privilegiata.

Attingere, ogni volta, al patrimonio creativo del Maestro Cataldo è uno stato di grazia che ad ognuno di noi fa bene, una bella pausa di emotività e un pieno di poesia, per la dolce storia d’amore raccontata.

Naturalmente tutto parte dalla musica e precisamente dalla canzone “Voce e notte”, la più bella serenata mai scritta da un innamorato per la sua bella perduta. Quasi tutti conoscono la melodia ma molti ignorano la vera storia da cui è tratta la canzone e cioè l’infelice vicenda del poeta Eduardo Nicolardi. 

A supplire questa mancanza ci ha pensato il maestro Guido Cataldo, scrivendo una delicata vicenda, scegliendone anche le musiche, poi, con l’ausilio di Gaetano Stella, per la regia e la compagnia teatrale di Serena Stella, sua figlia, ha confezionato una perfetta commedia musicale. Il maestro nella composizione del copione si è lasciato guidare dai versi composti da Nicolardi e che musicati hanno dato luce a canzoni famose, ma anche alle tappe della sua vita

La storia

Nell’ospedale di Loreto Mare a Napoli, nel reparto natalità, succede un fatto inspiegabile, nasce un bambino di colore. L’evento fa scalpore ed è un passaparola per tutta la città. All’anagrafe il neonato verrà registrato col nome di Ciro ed il cognome della madre: Avitabile. Siamo nell’immediato dopoguerra, la povertà è tanta, la fame anche e di questi episodi, purtroppo ce ne saranno tanti. Le “signorine” per sbarcare la condizione miserevole, si danno alla vita con i soldati americani di stanza a Napoli. Nell’ospedale, si dà il caso che il direttore amministrativo sia Eduardo Nicolardi, poeta, scrittore e giornalista ed ecco nascere dai suoi versi e dalla musica di E. A. Mario “Tammuriata nera”, una triste istantanea della Napoli tesa alla sopravvivenza ed è il successo.

Così il maestro Cataldo, canzone dopo canzone, srotola l’esistenza del poeta Nicolardi, intrecciandovi il brano più riuscito: “Voce e notte”, per consegnarci una perfetta commedia musicale. I segni ci sono tutti, la storia, l’amore, il bene contrastato, l’infelicità, la separazione, il matrimonio di lei la serenata di lui, la morte del marito e la felicità finale. Anche il palcoscenico è addobbato per uno spettacolo leggero, il sipario luminescente irradia il pubblico, il corpo di ballo volteggia con grazia, il pianoforte sottolinea gli stacchetti, le canzoni melodiche e le canzoni di giacca, cantate dal vivo

Eduardo ed Anna s’incontrano per caso, lui si ritrova nel palazzo dove lei abita, per recarsi nella sede del giornale “Don Marzio”.  E amore fu !!

Belli, giovani ed innamorati ci sono tutte le componenti per essere felici, ma il padre della figliola, ricco allevatore di cavalli, ha altri progetti per sua figlia, Pompeo Corbera, un uomo danaroso di 75 anni di Casamicciola. Anna si oppone come può, poi l’infelice matrimonio. Eduardo non si rassegna a perderla, da lontano la segue e poi quale poeta le dedica versi i più struggenti e che hanno fatto la storia dell’amore contrastato: Voce e notte

Si 'sta voce te scéta 'int' 'a nuttata

Mentre t'astrigne 'o sposo tujo vicino

Statte scetata, si vuó' stá scetata

Ma fa' vedé ca duorme a suonno chino…

La musica è di Ernesto De Curtis.

 

La vita di Eduardo continua in solitudine, scrive altre canzoni che hanno un buon successo come “O scuitato, Sciultezza bella, versi , posie, lettere:

Fugliette arricamate, ca i’ veco int’’a vetrina

d’’o cartaro â Turretta, quanno passo â matina;

fugliette arricamate, cu na rosa o na fronna,

n’auciello o n’angiulillo, na croce o na madonna;

fugliette arricamate, rosa, janche, celeste,

ca ogne guaglione accatta primma ca piglia ‘e ffeste,

e ‘ o porta ncopp’â scola, si ancora chisto è ll’uso,

o puramente â casa p’’o scrivere annascuso,

che putenza tenite ca me nce so’ fermato

pe ve guardà nu poco, tiennero e appassiunato !

 

Pecché, guardanno a vvuje,me so’ visto criaturo

( quatto, cinco, sei anne,no cchiù ‘e chesto, v’’o giuro….

 

Il destino, però, fu benevolo con Nicolardi, Pompeo Corbera morì poco tempo dopo il matrimonio e lui ed Anna poterono coronare il loro sogno d’amore dal quale nacquero ben otto figli.

Fin qui la storia di Nicolardi, conosciuta attraverso la sua canzone più famosa, come sia diventata commedia musicale lo dobbiamo al Maestro Guido Cataldo ed invero l’impresa gli è riuscita perfettamente. Guido è sì un uomo di spettacolo, per cui si muove facile tra musica, parole, teatro e tutto quanto fa rappresentazione, ma ha dalla sua parte una straordinaria sensibilità, con la quale confeziona, ogni volta, sorprendenti cammei.  La scelta delle canzoni da inserire nella storia, la delicatezza delle parole che si scambiano Anna Rossi ed Eduardo Nicolardi, dare spazio alla voce del cantante, scegliere le macchiette, esaltare lo spettacolo con valenti ballerini, sono tutte sue straordinarie competenze. Affidare la regia a Gaetano Stella, poi, amico più che trentennale e servirsi della compagnia di Serena, sua figlia, con un ventaglio di abilità è stato magistrale, come lo è stato assistere alla staffetta tra Gaetano Stella ed Elena Parmense, marito e moglie nella vita, interpretare Eduardo ed Anna sulla scena, mentre la coppia giovane di dei due innamorati è stata affidata a Serena Stella (una vera Réunion familiare)  e Lucio Bastolla. I dialoghi tra le due coppie si sono differenziati, pieni di vigoria per i due giovani, pronti ad affrontare la vita, colmi di tenerezza per Anna ed Eduardo invecchiati. “Ti ricordi, Nannì io ti venivo a cercare di nascosto, spiavo se eri incinta, sarei stato contento per te, almeno avevi una compagnia, invece niente.” E lei “poi con te ne ho avuto otto”.

Il cuore mai invecchiato di Guido ha dialogato per loro e con loro, nella sua solitudine creativa e noi, in sala, abbiamo seguito quel cuore, quella sensibilità tanto rara e ci siamo emozionati, ci siamo lasciati trasportare all’indietro, tanto da inseguire i ricordi insieme al Maestro,

(N.D.R.)) Le canzoni, ad esempio, mi hanno riportato la voce di mia madre, una donna dolcissima, che mi cantava canzoni e raccontava storie. Mi si è parata, dinanzi un’Italia in bianco e nero, dalle e semplici pretese, si cantava, infatti, “se potessi avere 1000 lire al mese”. I profumi che sfuggivano dalle case, con ancora i segni della guerra, erano quelli del ragù o del caffè che si offriva a tutte le ore. La mia infanzia con il grembiulino e le pantofole di casa, scorticate davanti, ballavo sulle punte, volevo fare la ballerina, che ascoltavo divertita la voce di mio padre, non certo modulata, cantare, “Miezzo o grane”, lui che non lo faceva mai e non so perché la privilegiasse. Seguo il filo dei ricordi, mentre in scena va avanti il musical, quelle canzoni seppellite da tanta altra musica, diversa da quella di Nicolardi, escono fuori e mi ritrovo a ripetere a memoria le parole dei cantanti

Un bel momento, Maestro Cataldo, vissuto nell’oscurità del teatro.

Riprendo a seguire lo spettacolo e colgo il finale. Sulla scena uno stanco Nicolardi, in solitudine, la sua Nannina è già morta, segue il festival della canzone napoletana, dalla radio, come si faceva all’epoca ed attende l’esito della vincitrice, una sua canzone è in gara. Il presentatore annuncia: “la canzone vincitrice del festival della canzone napoletana 1951” è “E zucculille”, un canto onomatopeico tanto da sentire il rumore allegro degli zoccoli sull’asfalto, un ultimo pensiero per Nannina, è il 1954 quando more.

P.S. Caro Guido, la storia di Eduardo Nicolardi non mi era sconosciuta, 5 anni fa, in vacanza con mio marito a Casamicciola, ho conosciuto il nipote del poeta: Umberto Italiano, proprietario dell’Hotel ELMA, un 4 stelle di Casamicciola, dove abbiamo alloggiato. Da lui seppi il legame che lo legava al poeta e cioè suo padre Mario aveva sposato Elena Nicolardi da qui le iniziali dell’Hotel. El sta per Elena e Ma per Mario. Elena, era una delle figlie di Eduardo e Anna Nicolardi. Com’è piccolo il mondo!

Maria Serritiello

www.lapilli.eu  










 




mercoledì 14 dicembre 2022

“Grazie” di Daniel Pennac è stato rappresentato per i primi due fine settimana di dicembre, al Teatro del Giullare di Salerno

 



Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello


Non sappiamo perché viene premiata la protagonista del concentrato monologo “Grazie” di Daniel Pennac, quando si apre il sipario, ma la troviamo con le spalle rivolte al pubblico, nell’atto d’inchinarsi per ringraziare. Al lato del palcoscenico, seduta su delle sedie, fa bella mostra di sé, la giuria, severa e quasi immobile fino alla fine

Inizia così l’assolo di Brunella Caputo che con l’originalità di scrittrice e regista stessa del lavoro, modifica lo scritto di Pennac, inserendo un alter ego, Davide Curzio che la guida, la sostiene, la puntella, le suggerisce e la rinforza nei momenti di più acuta timidezza e volontà di scappare via.  Si assiste, per un’ora, tale è il tempo, ad un rimando di battute, dall’uno all’altra, ad un incastro perfetto di toni misurati, di suggerimenti, di gestualità e di pause, che tendono a vivacizzare l’originale e solitario monologo. Su tutto, l’analisi della parola grazie ed il suo vero significato.

Di lei non sappiamo nulla, né chi è, né da dove viene, anzi no, lo sapremo in seguito, da un paesino della Francia ed è lì per il riconoscimento della sua opera omnia, sicché la troviamo a ringraziare con foga e voce alterata a ripetere: “Graziee” “grazieeeeeeeeeee”, sempre più forte in modo da farsi sentire, fino in fondo al teatro

La parola grazie, a pensarci bene, viene usata poco e male e non sempre se utilizzata, apprezzata per ciò che esprime. Daniel Pennac con questo suo scritto di pacata ironia e Brunella e Davide con una notevole prova di teatro ce ne disvelano il significato.

A ritirare il premio, la nostra artista dovrebbe essere una donna sicura, consapevole dei propri mezzi ed invece appare impacciata, sfiduciata, cercando d’imbastire un discorso di ringraziamento, senza riuscirvi. Inutilmente fruga nelle tasche alla ricerca del pezzo di carta dove ha appuntato qualche riga. Ed ancora, sapendo di essere la vincitrice del premio si è premurata di assistere a varie cerimonie per apprendere come ci si debba comportare.

 

Così passa in rassegna a mente, con visibile ironia, a chi dovrebbe rivolgere il suo ringraziamento. Alla giuria, che non conosce, ai parenti che non frequenta, agli amici che non sono sinceri, a chi l’ha ostacolata, od a chi l’ha spronata? Forse a nessuno o anche no, a se stessa, in grado di ricevere con merito, quel grosso trofeo, a stento sostenuto dalle sue braccia.

Si dà così un valore etico al sostantivo, per affermare che non si può dire grazie a cuor leggero, dividendo il ringraziamento in tre cerchi, nei quali comprendere, tra l’altro, il pubblico e lo staff. Di sicuro, la premiata, sa che non vorrebbe mai e poi mai ringraziare il suo maestro delle elementari, un uomo cattivo che le ha rovinato l’infanzia e lo afferma con voce adirata e rabbia non più repressa. Ai bambini, allora, a loro i soli ringraziamenti, conclude.

L’interpretazione di Brunella Caputo, come attrice è stata perfetta, quale regista è stata originale per aver adattato il ruolo maschile sé ed a dialogizzare ciò che dalla penna dell’autore è nato come monologo. Una scelta gradevole, nuova che ha portato sulle scene Davide Curzio e vederli tutti e due insieme è stato tornare indietro nel tempo, Eccezionali come coppia attoriali, un incastro che ha reso piacevole un’ora trascorsa a rivalutare ed a pensare a chi e come dire grazie da oggi in poi

Maria Serritiello

 

Grazie

Di Daniel Pennac

Adattamento e regia  Brunella Caputo

Interpreti: Brunella Caputo e Davide Curzio

Suoni e Luci: Virna Prescenzo

 

 

sabato 10 dicembre 2022

Violata di Maria Serritiello

 


Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello


Il 5 dicembre scorso, al Teatro Genovesi è stato proposto un evento congiunto della compagnia dell’Eclissi e del Soroptimist club di Salerno, per celebrare il “Day” di dicembre, in prossimità delle feste natalizie, con una riflessione sulla violenza delle donne.

Le Soroptimist, sempre attente alle problematiche femminili, hanno inteso lanciare un segnale forte soprattutto alle coscienze giovanili, coinvolgendo, per l’appunto, le scuole di quasi tutta la città: Liceo Tasso, Liceo De Sanctis, Liceo Da Procida, Istituto Genovesi Da Vinci, Alfano I, Regina Margherita, Liceo Artistico.

Presente alla manifestazione, l’Assessore alle Pari Opportunità Gaetana Meo, oltre a numerosi insegnanti

Il lavoro in scena di grande effetto, dal titolo “Violata” è stato rappresentato dalla Cantine delle Arti di Sala Consilina, per la Regia di Enzo D’Arco e con Antonella Giordano, Marzio D’Arco ed Enzo D’Arco.

La trama a forte impatto è stata sottolineata da musica appropriata e toccante come, tra le altre: “L’amore rubato” di Luca Barbarossa e “Gli uomini” di Mia Martini. I 4 quadri rappresentati sono stati resi veri e dilanianti dalla bravura recitativa ed espressiva degli attori, come l’esile figura femminile e le rudi corporature maschili.

Ed è l’inizio

La scena è scarna e si distende nelle spire della violenza che di lì a poco si mostrerà, preannunciando sofferenza. Avvolta in una veste nera ed i capelli nascosti dalla kefiah, nera anch’essa, c’è, Aima, una giovane donna che si dondola su di una piccola sedia, quasi fosse una bambina, in effetti lo è. Aima, infatti, non conosce il mondo, non sa nulla della realtà che la circonda, padroneggia solo la strada che la porta da casa al pascolo. Lei e sua sorella vivono con pochi elementi di riferimento, il padre le picchia senza una ragione con la cinghia dei pantaloni, le lascia senza cibo ed acqua, così per affermare la sua forza di maschio. Gli incredibili maltrattamenti sono riservati solo alle donne di casa, suo fratello, per esempio, non viene sfiorato. Con lo sguardo incredulo per tutto ciò che le capita, racconta di sua madre, sposa a 15 anni, 19 parti, ma solo 5 figli in vita, gli altri, ovvero le altre le ha soffocate sotto la pelle di capra.

E venne il tempo per Aima di conoscere l’amore, oltre alla fatica ed ai maltrattamenti, ma non fu un giorno lieto se fu violenza e morte la congiunzione d’amore. L’azione di quella colpa doveva essere punita, così ci pensa lo zio e versa sul corpo di Aima, un liquido freddo, dal forte odore. Suo zio con sadica cattiveria e con gesti lenti le sta dando fuoco.

L’urlo che squarcia il teatro penetra nelle nostre carni, sentiamo il calore del fuoco e la pelle bruciare

I quadri, poi, che si susseguono sono sempre storie di donne martoriate, violate con la non curanza di uomini senza scrupolo, assassini, sicché lo spettacolo è un crescendo di brutture, di percorse mimate, di occhi lividi, offese su tutto il corpo e gestualità sguaiata, nel caso dello stupro.  Aumenta, così, la tensione e la ribellione tra gli spettatori, nessuno può assistere alla violenza gratuita senza provare rivolta.

Fatima è stata condannata alla lapidazione per aver avuto una figlia al di fuori del matrimonio, prima della condanna, scrive una lettera- testamento alla piccola perché possa farle conoscere l’orribile realtà che la circonda e la spinga a ribellarsi. Poi si allontana e la flagellazione a cui si assiste   è altro momento di forte emotività tra il pubblico. …

La violenza rappresentata penetra nelle nostre corde più di ogni altra parola ed è ciò che si voleva con questo terribile spettacolo.

Si fa buio in scena e nel silenzio rarefatto della sala si ode il triste elenco delle donne uccise, scandite ad una, ad una per 192 volte, quante sono le uccise: Anna, Vera, Pamela, Jessica, Francesca, Federica, Martina, Alessia, Ernestina, Laura, Nunzia…

L’elenco interminabile è sottolineato dalla percussione della tammorra ed ogni volta che la mano si posa sulla pelle è un colpo al cuore

E’ na guerra” urla l’attore, si una guerra, un’ignobile guerra di sopraffazione!

Soroptimist  International Club di Salerno:

Presidente: Giulia De Marco

Progetto curato da: Maria Tota

 

Il Soroptimist International è un'organizzazione senza fine di lucro di service club che riunisce donne con elevata professionalità, e opera attraverso progetti diretti all'avanzamento della condizione femminile, la promozione dei diritti umani, l'accettazione delle diversità, lo sviluppo e la pace.

Fondazione 3 ottobre 1921

Fondatore: Violet Richardson Ward

Motto: Sorores Optimae

 

Il Club di Salerno è il 17° dell’Unione Italiana. E’ stato fondato il 27 aprile 1958.

 

Maria Serritiello

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martedì 6 dicembre 2022

IV Appuntamento di “Che Comico 2022/2023” al Tempio della Comicità: di Salerno: Angelo Belgiovine di Maria Serritiello


 Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello 


Una data, 1992, Premio Charlot, la vittoria è di Angelo Belgiovine, un 34 enne, impiegato comunale che pensa al proprio futuro lontano dal passare le carte fino alla pensione.

Ha bella presenza, sa parlare, sa divertire e cambia rotta al suo destino lavorativo.

Lo ritroviamo al Ridotto, dopo che la prima parte della sua vita è trascorsa, le tappe importanti realizzate, una moglie, due figlie e la notorietà affermata come autore, attore e regista teatrale. Poi anche altro, due lauree, l’insegnamento di economia all’Università ed una malattia seria, fortunatamente superata, il covid neanche tanto leggero e 13 anni lontano dalle scene.

Dopo l’affermazione al Premio Charlot, l’incipit è con il   programma di Renzo Arbore “Caro Totò, ti voglio presentare” ed il successo con la gara tv “La Sai l’Ultima?” vincendola e continuando per 10 anni e più a scrivere testi e barzellette per Mediaset.

Ecco questo, a grandi linee, il suo pregresso, ma c’è molto ancora, tanto che si rischia di redigere un’arida elencazione e lui che è un uomo di cuore, dei suoi successi non ne vuole fare pura ragioneria. Così’ porta sulle scene, per due serate, uno spettacolo che gli rassomiglia, dal titolo “ Eccomi…ma non vi affezionate”  nel quale racchiude il suo  vissuto, i suoi ricordi dalla nascita alla pubertà, dall’adolescenza fino ad arrivare alla famiglia e alla vita di oggi.

Ci si accorge, dalle prima battute, che siamo dinanzi al filologo della risata, che ha scandagliato della stessa, ogni recondito angolo, traducendolo in altrettanti momenti teatrali. La comicità dei monologhi è studiata, non ha niente d’improvvisato, anche se può sembrare il contrario; il contenuto, la recitazione, la mimica, il costume sono frutto di applicazione.  Belgiovine viene dalla vecchia scuola di teatro, diciamo pure dalla gavetta, per cui il manufatto comico ha spessore ed arte. Non è veloce, ha i suoi tempi per vestire i panni di scena, prima con pantaloni neri larghi tenuti su da due vistose bretelle, poi calata sulla fronte una nera parrucca riccioluta e camicia sgargiante ed infine con classico doppio petto a righe di un rosso fuoco che lo rende elegante e signorile, come deve essere un signore della sua età. Si accompagna al maestro Claudio Lardo, serio attore di prosa, prestato alla musica del pianoforte, tra l’altro suonato con maestria, per intervallare con musica i tempi di cambio di costume: “Libertango” di Astor Piazzolla  e con il recitato: La ballata dell’Emigrante di Antonio Ghirelli 

Dotato di una sua specifica capacità scenica ha saputo dare agli altri diversificati spunti teatrali, grazie ad una cultura vasta e profondamente ancorata nella realtà. Lo spettacolo sapientemente dosato in tutte le sue parti, si è concluso con i fuochi pirotecnici delle sue freddure e barzellette che lo hanno visto partecipe prolifico e apprezzato protagonista nel panorama nazionale della comicità, complice il mezzo televisivo.

Plauso, dunque, ad una leggenda dell’umorismo che tanto contributo ha dato e che merita di certo scranni più elevati tra le glorie nazionali, per questo il suo ritorno al teatro, dopo la lunga pausa, ci rende gioiosi e ci fa apprezzare la risata colta che tanto ci mancava.

Maria Serritiello

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venerdì 2 dicembre 2022

Casamicciola vicina al mio cuore di Maria Serritiello

 



di Maria Serritiello

Così vorrò ricordarti, mia cara e sfortunata Casamicciola, ciò che vedo nei filmati televisivi non mi appartiene Per otto anni ho trascorso serenamente l'estate e  condiviso  momenti spensierati ed altri meno.

Nel 2017 il terremoto, per esempio, a farmi ricordare ciò che mi diceva nonna Carmela: <è un'isola ballerina.>

Il monte Pomeo, il passeggio panoramico di chi in vacanza è in cerca di spazialità e bellezza, ha tradito nel sonno, sabato scorso, chi è nato in questa meravigliosa isola ed ama starci.

Un intero costone si è staccato dalla cima ed è precipitato su  tutto ciò che si è parato dinanzi, nel mentre raggiungeva il mare. La pioggia caduta è stata tanta, oltre 140 mm di pioggia in 24 ore

Le vittime sono 12 e lo strazio è tanto, intere famiglie sono state spazzate via come  macigni roteanti, alberi sradicati, mezzi ammaccati e case in frantumo. Il fango fa da padrone in tutto l'isola sicché i bei colori del luogo, una tavolozza  colorata, cede il posto al solo  colore grigio. Il cielo è carico di pioggia e né vuole dar tregua per questo fine settimana. 1000 e più sfollati si accingono a lasciare ciò che resta delle loro case, in  un esodo biblico per trasferirsi in strutture, lasciate da poco, sebbene il terremoto risale al 2017.

Di veloce sull'isola sono solamente i terremoti o le frane e non perché i casamicciolesi, attendono la manna dal cielo, per come stanno spalando il fango, assieme al movimento spontaneo di giovani volontari, studenti e non,  riunitisi con un messaggi su wz, rendono l'idea che vogliono tornare al più presto alla normalità, se normalità si può dire, dopo quest'immane tragedia ed i tristi lutti.

Eppure da poco, gli sfollati del terremoto del 2017 erano ritornati nelle loro case, gli amici che ho frequentato, nel mio soggiorno sull'isola, li ritrovavo felici su fb, nelle loro case, tra fiori e limoni, io che li avevo visti tristi e depressi nel mio stesso albergo,  che gli si  ripropone nuovamente la stessa sciagurata situazione. Non è certo confortevole vivere ammassati in camere d'albergo, privati delle proprie cose, dei propri animali di compagnia, delle calde atmosfere delle loro case. E fra poco è Natale!

Vi ricordo tutti cari amici di quei giorni, Liliana, Rosa, assieme alle maestranze dell'Hotel Elma, Gina, Angelo, Ciro, Maria, Blanca, Roberto, Lucia, Francesca, Giovanni ed altri di cui ricordo i volti ma non i nomi.

Ricordo il corso principale, le strade, sempre piene di verde, il vicolo Morgese, abbellito da quadri, la signora che vendeva specialità locali ed in particolare il rucolino, il bar Calise e la chiesa attigua, per una breve preghiera, che concludeva la mia passeggiata. Dimenticavo, il rito del lunedì, il mercato, io che nella mia città non ne frequento, a Casamicciola mi piaceva tanto fare affari.

Così se fermo il pensiero e le dita che tastano il computer, ecco, sono in mezzo a voi,  perché Casamicciola, per come mi ha accolta, é vicina al mio cuore

Maria Serritiello