Presso il centro “ Proposte Lab Eco design”, utilizzato per l' occasione come galleria diretta dalla signora Anna Vitale, sotto la direzione artistica di Antonio Perotti lo scultore ceramista Lucio De Simone ha presentato una vasta carrellata di sue opere scelte a simboleggiare le Contaminazioni che l' artista vuole fare nel mondo della ceramica, che tanta passione riesce a catalizzare e canalizzare sia nell'autore che nel fruitore, se solo poco poco si prova a considerare le condizioni, non sempre facili, nelle quali si trova ad operare il Nostro. Quello che più colpisce e stupisce è la gamma di colori che Lucio riesce a tirare fuori dalla creta. E in essa ritroviamo tutta la forza evocativa di certe sfumature e l'energia instancabile che lo sorregge. E ogni millimetro di Creta risente delle tensioni, dello sforzo creativo del De Simone e lascia trasparire tutta la sua voglia di gridare al mondo la sua essenza esistenziale tramite la sua arte. Ed ecco allora i pannelli, le sculture drammatiche, le forme simboliche tridimensionali, i paesaggi modulari, le composizioni-scudo, le figure stilizzate! Inaugurata sabato ultimo scorso, resterà aperta fino al 7 marzo prossimo!
Manuela Borrelli nasce a Napoli nel 1977 e sin da bambina è evidente in lei una forte propensione per la pittura e il disegno.
La sua vena artistica è sbocciata definitivamente quando ha realizzato nel 2008 delle illustrazioni ad acquerello per la pubblicazione di fascicoli per ragazzi promossi dal Parco Naturale dell'Etna, riguardanti la natura autoctona e le specie presenti sul territorio: “La Montagna e i suoi cambiamenti” – Edizioni Hornitos - Parco dell’Etna.
Il passaggio all'olio è stato naturale ed immediato ed ha dato vita ad una serie di opere paesaggistiche molto realistiche, piccoli gioielli di pittura che rappresentano i luoghi vissuti dall'artista: dalla sua città natale al paese in cui attualmente vive e ama fortemente, Cava de' Tirreni, che, con le sue fattezze storiche e paesaggistiche, offre sempre nuovi spunti e nuovi stimoli d'arte. Lavori ad acrilico completano la sua volontà di cimentarsi in tutte le tecniche pittoriche.
Ha partecipato a mostre ed esposizioni collettive che hanno cementato la sua passione per la pittura e la ricerca artistica. Tra queste: “Woman…Artists” organizzata nel 2010 dall’ associazione culturale “Oltre l’Arte” di Cava de’ Tirreni e l’expo d’arte contemporanea “Luci in Avalon” allestita nel 2019 da “Avalon Arte” presso Palazzo Fruscione a Salerno.
Il suo amore per il bello le hanno permesso di abbracciare, oltre alla pittura, anche altre forme d’arte come la lavorazione del vetro attraverso la tecnica Tiffany che l’hanno portata alla realizzazione di vetrate artistiche, lampade, lampadari e oggettistica, dotati di una leggerezza e di un’attualità inaspettate. L’alta qualità dei materiali usati e l’accuratezza e la precisione della lavorazione completano il valore delle sue opere. Alcuni di questi suoi lavori sono stati esposti nel 2015 alla fiera di Roma “Arti & Mestieri Expo”.
Va in scena al secondo
appuntamento del Festival Teatro XS di Salerno “Il re muore” di Eugene
Ionesco, presentato dalla Compagnia
teatrale “La Terra smossa” di Gravina di Puglia. La compagnia è una vecchia
ed apprezzata conoscenza del Genovesi, alla sua quarta presenza al Festival Nazionale del Teatro XS di Salerno,
ha sempre presentato spettacoli non facili, impegnativi, riscuotendo
apprezzamenti dal pubblico. Anche questa volta, gli attori non si sono smentiti
e la versione da loro proposta, è stata di vera eccellenza. Il Re muore di Ionesco, non è un
copione facile, sia per il tema che tratta, la morte e sia per il linguaggio
che l’accompagna, verboso, insistente, aulico nelle invocazioni, insomma 80
minuti per convincere il re a morire ed il re a difendersi dall’inevitabile
morte. Nonostante queste premesse, la versione del testo, data dalla Terra
Smossa è stata di una leggerezza incredibile, passaggi armoniosi, personaggi
ben raccordati, costumi semplici, ma significativi, trucco ineccepibile a
renderli dei guitti ed a fugare la tristezza della trama. Il re, interpretato
magistralmente da Leo Coviello,
mimica facciale inappuntabile, come la sua recitazione iniziale, ci rassicura,
Lui, Bérenger I, padrone dell’universo non può morire, allontanandoci, così,
dall’angoscia della fine. Le sue mossettine amorose con la dolcissima Marie, la
seconda regina, lasciano ben sperare, ma Margherite, la torva prima regina,
cancella ogni illusioni e dice al re che morirà, è malato gravemente e ne è
fermamente convinto, soprattutto, il dottore di corte, chirurgo astrologo, batteriologo
e boia.
Eugène
Ionesco, nel 1959 evolve la sua scrittura verso il teatro
dell’assurdo con l’ossessione della morte che occupa un posto centrale
nell’azione drammatica. A dominare, infatti, alla sua drammaturgia è l’assurdo
che condanna in anticipo e rende la vita e i gesti umani privi di senso.
«quandoero a Chapelle-Anthenaise, mi trovavovo fuori
dal tempo, dunque in una specie di Paradiso. Intorno agli 11 anni ho cominciato
ad avere l'intuizione della fine, ero nel tempo, nella fuga e nel finito. Il
presente era scomparso, non ci sarebbe più stato per me altro che un passato e
un domani, un domani sentito già come un passato, la velocità non è solamente
infernale, essa è l'inferno stesso, l'accelerazione nella caduta”.
Questo suo pensiero
macabro e persistente viene esaltato, nel “Il Re muore”, per l’appunto, portato
per la prima volta sulle scene parigine nel 1962.
Intervento coraggioso è, dunque, quello
proposto dalla Compagnia pugliese improntato ad una lettura in senso
biologico-materialistico, direi quasi carnale, della progressiva consapevolezza
di uomo prima che di re della propria vulnerabilità fisica, evidenziata in modo
asciutto, forte ed essenziale dalle figure clownesche che “tengono” il palco
con regale energia dolente e problematica, consce, ognuna di loro, della
propria non appartenenza al mondo che continuerà a vivere a suo modo. Sanno
ognuno di loro che se stavolta tocca al re di morire, aleggia tuttavia su di essi,
una enorme falce che non promette niente di buono. Sono, ciascuno a modo proprio,
altrettanto giocatori di una partita di solo vinti. La tragicità esistenziale
diventa il collante che li lega e fa di ognuno di essi, un manifesto di
dolorosa e faticosa esistenza, così come doloroso e faticoso, il percorso
finale del re, mummificato ancora vivo. La maschera “guittesca” dei vari
personaggi, in netta contrapposizione con le musiche pop -rock non fa che
contestualizzare ancora di più la drammaticità della situazione che vuole
ognuno di loro sullo orizzonte del confine del grande buco nero, che tutti
ingoierà ma che nessuno intuisce appieno nella sua ineluttabilità. Messaggio
criptico e duro da digerire, perché spesso, troppo spesso, ci sorregge la
maledetta speranza, quella proposta dal grande drammaturgo, che alla fine,
questa continuità biologica tutti ci accomuna e ci fa partecipi del nostro
unitario destino. Alla fine la durezza del linguaggio, che è morte, trova una
sua composita armonia con la forza claunescamente del trucco e l’essenzialità
delle scene, con certi momenti di alto lirismo iconografico, come la cavalcata
del re o la posa plastica dello stesso, mentre viene mummificato dalle bende.Sulla bravura dei 4 protagonisti: Maria Pia Antonacci, Elisabetta Rubini,
Angelo Grieco, Teresa Cicala è indiscussa la bravura, tutti meritevoli di
palcoscenici di più largo respiro. Adatte le sottolineature della musica, datore di audio e luci, Gaetano
Ricciardelli e complimenti alla resa della regia di Gianni Ricciardelli, che ha reso rock un’opera altrimenti
pesante, infine lasciatemi dire (ndr) che il personaggio di Bèrenger I,
interpretato dall’attore Coviello,
lo renderà e per sempre, Re Leo
10 Anni fa, in questo giorno, dove a regnare è l'amore, per Daniela fu la morte.
Daniela è la figliola di mia cugina Eliana, mia madre Bianca era sorella di suo padre Carmine. Da piccole stavamo spesso insieme, le famiglie, nel tempo passato si frequentavano ed era un bel modo di essere stretti da una rete di protezione. L'uso si è perso, il parentado è diventato una monade isolata dal lavoro e dal ritmo frenetico di andare avanti, sicché le occasioni per ritrovarsi sono sempre più rare. Seppi dai giornali della sciagura che aveva colpito la ragazza e la famiglia intera. E a dire che Daniela non voleva partire per Roma, dove avrebbe dovuto festeggiare l'amore di San Valentino, mi aveva detto sua madre al telefono. Un presagio? E chi lo potrà mai dire, certo è che quel giorno, la trappola del gas del riscaldamento della casa, li ha uniti per sempre nella morte assassina e non nell'amore diletto. Tre vittime, sì tre , tra loro due c'era anche il barboncino di Daniela, dal quale non si separava mai. E' disgrazia immane, perdere un figlio, è contro natura, intanto i suoi genitori hanno dovuto sopportare la perdita e trascinare, da quel momento in poi, la loro esistenza.
Il dispiacere mi fa scrivere e per la giovane Daniela composi.
Due
giorni, sabato 8 e domenica 9, di questo mese, al Teatro Ridotto,
dove la comicità ha preso casa da tempo indefinito, Salvatore Gisonna ha
presentato un suo pezzo dal titolo, “C’era una volta, anzi due”, scritto
tempo fa e depositato in un cassetto. La commedia in due tempi, ripresa da Gisonna,
consiste in due personaggi: lui attore consumato, cabarettista di valore, un
monologhista con una capacità espressiva ed un ritmo a raffica, l’altro Diego
Sanchez poliedrico, nelle sue performance: attore, cantante, showman,
firmando anche la regia della commedia.
La
storia racconta di due personaggi: Salvatore e Diego che condividono lo stesso
appartamento, dissimili per carattere e per il modo di affrontare la vita.
Salvatore non lavora, né si preoccupa di cercarlo, ha intenzione di scrivere un
libro, non frequenta l’università e non risponde al telefono per non dire alla
mamma la verità. Di contra Diego è un ragazzo perfetto, intelligente, laureato
e in cerca di lavoro. Tra le qualità, bisogna aggiungere che la casa, la spesa,
le bollette sono a suo carico, ovvero di suo padre. Salvatore cerca una
genialata per fare soldi senza sprecare fatica, la trova nel far partecipare
Diego, preparato su tutto, a quiz televisivi. Ne supera parecchi ed arriva,
alla prova finale a competere per un milione di euro. Salvatore, che lo aveva
sempre accompagnato nelle altre prove, ottiene un categorico rifiuto, quella
sera lo dovrà accompagnare Natascia, sua fidanzata, con la quale ha deciso di accaparrarsi
il premio e fuggire insieme. Salvatore ci resta male nel sapere il segreto tra
i due e pensa come potersi vendicare. Lo farà di brutto, alla domanda del
pubblico da casa, chiama e pone la domanda di sport in cui Diego è carente.
Alla domanda “Quando è nato Maradona?” si perde mentre Salvatore esulta per i
soldi vinti e la conquista di Natascia, Diego senza soldi non è più l’amore.
Una
commedia leggera, divertente, scorrevole, con un dialogo serrato, ricco di
battute e citazioni canore. Il ritmo dello spettacolo è un motore in
carburazione, essendo Salvatore Gisonna un monologhista d’eccezione,l'unico ad aver vinto, per ben due volte,
l'ambitoPremio Charlot, una
volta da solo e l'altra con "I Cuginetti a sfera". Un gradito
ritorno al Teatro Ridotto di Salerno per testare lo spettacolo e conoscere la
risposta favorevole o meno del pubblico esperto, che lo frequenta.Esordisce come imitatore, nel 1990
partecipando al programma su Rai Due "Stasera mi butto". Dal
1997 al 2004 forma il duo di cabaret con Fabio Isaia, "I cuginetti a
sfera" riscuotendo consensi e successo. Partecipa a Zelig, a Made in Sud
ed il personaggio che gli dà più di tutti, visibilità e simpatia è il "Dj
Galeazzo", con la sua hit parade irriverente, l'unica dove " 'a
canzona è originale ma o cantante è personale", slogan che ripete ad ogni
sua performance.
Di
giorno Salvatore Gisonna è un serio impiegato di banca, con tanto di
giacca e cravatta, ma la sera si trasforma nel frizzante cabarettista e
nell’ultima sua performance, attore e autore, che si conosce. Molte delle
spiritose battute, lanciate a raffica sul pubblico e che fanno parte dei suoi
monologhi, sono state raccolte nelle ore lavorative, quando è a stretto
contatto con il pubblico, divertenti certamente, ma bravo lui a saper cogliere
la comicità insita nell'animo del napoletano.
Diego Sanchez, inizialmente Joyner e musicista, poi artista
poliedrico, come attore, cantante, showman, uomo di spettacolo (da otto anni è
il cantante del tributo ufficiale a Massimo Ranieri, applaudito ad oggi da
migliaia di spettatori in tutta Italia), ha da poco superato i trent’anni di
carriera, si è dedicato alla regia come nello spettacolo presentato.
“C’era una volta anzi due”, di e
con Salvatore Gisonna e Diego Sanchez, in scena al Teatro
Ridotto per “Che Comico”, fa parte della stagione ideata dalla Gv Eventi con la direzione artistica
di Gianluca Tortora.
“Libere clausure” di Marina Pizzi con la compagnia teatrale “La Cricca”
di Taranto, una new entry, per l’XS,
alla sua 12° Edizione, con un programma che, iniziato il 2 Febbraio, terminerà
il 10 maggio. Una carrellata di pezzi teatrali scelti da una competente giuria
selezionatrice, per offrire, ogni anno, il meglio all’affezionato pubblico. Il
pezzo proposto “Libere clausure”, di un’ora circa, senza intervallo, affronta
il tema dei temi e cioè quello del libero arbitrio. Come? Facendo incontrare
prima, scontrare dopo e rincontrare poi una rampante architetta in carriera,
alle prese con sue problematiche irrisolte e una madre badessa benedettina di
clausura. L’incontro avviene, all’interno del convento della priora, nel
tentativo, ognuno a suo modo, di vedere rispettate le proprie priorità ed
ambizioni. Un argomento di non semplice soluzione, per chi prova ad affrontarlo,
sia per la profondità analitica che richiede, sia per l’osticità dello stesso.
La prospettiva teatrale della Pizzi nasce da una frequenza continua di più
conventi, per motivi non bene precisati, sicché questa base di partenza
condiziona molto lo spessore dei dialoghi, privi della necessaria introspezione
analitica. Due personalità, apparentemente ben strutturate mentalmente, ma che
ancora risentono di pregiudizi e luoghi comuni tanto da ridimensionare
fortemente le due donne, facendo, intanto, apparire tutta la modernità
superficiale. Quasi come se non potesse esserci una religiosità decisamente
laica, capace di vivere una sua vita autonoma dalle istituzioni di fede. Una
visione troppo religiosa, quale quella contemplata dalla badessa, è messa in
contrasto con una visione troppo superficiale apparentemente moderna dell’architetto,
poco abituata a guardarsi bene dentro, per cui scambia il benessere interiore,
il riuscire a stare sempre sul pezzo, dimenticandosi della sua interiorità.
Troppo facile per la badessa metterla sulla presunta retta via ed assistere
così a quella sorta di redenzione che tutti le augurano e che le consentirà, in
uno slancio di amore per se stessa, di mandare all’aria i suoi amati progetti
professionali. E’ la morte della badessa a dare l’input scatenante
all’architetta di strappare il compromesso, riducendolo a carta straccia,
quello stesso ottenutolo prima del suo ricovero, quando ha mostrato alla
badessa- amica la sua fragilità.
La scena si presenta come una sorta di anticamera
di un convento di clausura, con tanto di ruota girevole e grate verticali a
stabilire i limiti di invalicabilità, più volte abbattuti. I canti religiosi
dei i vespri serali, si diffondono misticamente nel convento, scandendo i tempi
monacali, al contrario delle musiche pop e rock emanate dal cellulare dell’architetta
ad ogni chiamata esterna, stanno ad indicare tutta la lontananza esistente tra
le due realtà. Tra battute facete e comportamenti non sempre riguardosi nei
confronti del contesto, da parte della nevrotica e irrequieta professionista,
assistiamo ai vari tentativi della stessa di abbindolare, senza mai riuscirci
peraltro, la serena benevolenza della badessa, che fino alla fine proverà ad
indicare alla sua interlocutrice un più salutare lavorio sulla propria serenità
mentale. Risultato? La professionista vedrà realizzato il suo obiettivo di una
firma della badessa sul compromesso e la badessa può morire tranquilla perché l’architetta
ha seguito alla lettera i suoi suggerimenti, avvicinandosi alla fede e
acquisendo alla fine il coraggio di dire basta alle vessazione che i tempi
moderni scaricano su di lei, strappando il compromesso firmato nel momento
stesso che il suo capo è insensibile alla notizia del triste evento.
Splendide le principali protagoniste
per aver interpretato due personaggi creati su misura per loro (badessa ed
architetto), senza, però, trascurare la personalità sicura e forte della
postulante: Anna Cofano, Angela De
Bellis, Vanessa Camponio. Autorevole e senza sbavature la regia di Aldo L’Imperio e adatte le musiche.