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lunedì 21 marzo 2011

La centrale nucleare del Garigliano


La Cernobyl italiana


La centrale nucleare del Garigliano

Una ventina di anni fa alla centrale nucleare del Garigliano successe qualcosa, mettendo a rischio un vasto territorio, dal Volturno al Circeo. Non molti lo sanno. Ma è possibile che ci sia stata anche una Cernobyl italiana. Una ventina di anni fa, nell’area del Garigliano. «E se anche non volessimo usare i toni della catastrofe come precisa Mauro Cristaldi, docente di anatomia comparata all’Università La Sapienza di Roma, gli effetti nefasti registrati nell’area sono innegabili e sufficientemente documentati».
La situazione OGGI
Tutto questo richiama in prima battuta quel rilascio di radionuclidi registrabile ancora oggi nelle aree incriminate (soprattutto Cesio-137). Anche se il tutto avviene in una misura che tanto l’esercente Enel quanto l’Anpa giudicano insignificante rimane il grosso punto interrogativo di quello che può essere accaduto in passato e nel corso di tutti questi anni in aree come quella del Garigliano, considerati oltretutto i tempi lunghi legati alla contaminazione da nucleare. «Con il grave sospetto anzi, riprende Cristaldi, di un’attenzione sui controlli che negli ultimi anni sembrerebbe essere scemata. Mentre la gran parte dei rilevamenti, di pertinenza dell’ente gestore, l’Enel, non appaiono in grado di fornire gli elementi necessari per sapere con certezza quale sia l’attuale stato di salute della zona. Anche perché ci sarebbe ancora chi parte dal falso postulato che, una volta chiusa la centrale, il problema sia in gran parte risolto.»

Nell’occhio del ciclone l’area posta tra il Volturno e il Garigliano e che si estende tra le province di Latina, quella di Caserta e l’Abruzzo. Si tratta di quello stesso entroterra che si apre sul mar Tirreno con il golfo di Gaeta ed il promontorio del Circeo. Mare frequentatissimo d’estate... E sul quale, anche su questo, si apre l’ennesimo giallo. L’ambientazione si pone nell’anno 1983. Fu infatti allora che una lettera firmata da un tecnico dell’Enea e da altri due colleghi fu fatta recapitare all’avvocato Tibaldi di Formia (per via inusuale), senza nessuno scritto di accompagnamento e del tutto anonima. Nella lettera, che avrebbe dovuto circolare solo all’interno delle strutture preposte, si faceva riferimento alla necessità di considerare con attenzione lo stato di salute di quei 1.700 km2 di mare compresi tra il Volturno ed il Circeo e nei quali si sarebbe nel frattempo registrato un preoccupante livello di contaminazione da Cesio-137 e Cobalto-60. Tale da riconsiderare i rischi di balneazione, di inquinamento dei fondali e la sospetta tossicità di prodotti ittici e mitili (questi ultimi sono dei forti riconcentratori di scorie) provenienti dall’area. Mentre si richiedeva altresì un veloce intervento con apposite campagne radioecologiche. Tenendo conto infine del particolare effetto delle correnti, tali da portare il particolato lungo la penisola di Gaeta. Tutto scongiurato? «Il rischio non è azzerato, precisa Cristaldi, ed espone in modo particolare il personale residente nell’area, i pescatori e chi si alimenta di pescato.» Comunque, della lettera che avrebbe dovuto spingere gli amministratori locali a ben altra vigilanza, non si sarebbe avuta notizia senza lo strano giro che la portò nelle mani di Tibaldi. Operazione a cui fecero seguito prima le querele e poi l’assoluzione in istruttoria dello stesso avvocato di Formia sancita dal pretore di Sessa Aurunca. Insomma nessun reato di diffamazione a suo carico.

Ma c’era stato davvero un "caso Garigliano" tale da consigliare misure più rigorose di controllo e di intervento e che invece in buona misura mancarono? Nonché tali da preoccupare ancora per l’oggi, ad oltre vent’anni di distanza? I numeri di allora, «mentre quelli di oggi sono caratterizzati da una totale mancanza sul piano epidemiologico da non potersi escludere una colpevole sottovalutazione del rischio permanente» dice ancora Cristaldi che ricorda ancora come il collega Mastroiacomo dell’Università Gemelli tempo fa gli abbia segnalato l’impossibilità di continuare il monitoraggio sull’area, visto il totale esaurimento dei fondi sono di per sé eloquenti. Come quelli ufficiali emersi da un’inchiesta del 1981 sulle malformazioni congenite registrate nei vitelli allevati nella zona contigua alla centrale. E che segnalano un sospetto intensificarsi di malformazioni genetiche a partire dagli anni 1964/65 (perfetta coincidenza con l’apertura della centrale), con casi di ermafroditismo e anchilosi. Fino ad arrivare, nella sola fascia S.Castrese-Sessa Aurunca, ad una preoccupante percentuale del 3%. Il tutto accompagnato per intanto dalla chiusura della centrale in seguito al verificarsi di una serie di incidenti. «Avvenimenti sui cui effetti 10 anni dopo non esistevano studi specifici», puntualizza Tibaldi. Né più rassicurante appare il dato relativo alle malformazioni genetiche registrate sui neonati (19,57 %. nel 1984) e raccolto e archiviato ufficialmente dalla Usl Latina-6 di Formia, con casi di bambini anencefali registrati all’Ospedale di Minturno o il ciclopismo del I semestre ‘84 presso l’Ospedale Civico di Gaeta. Scenario infine reso ancora più cupo dai dati Istat del settennio ‘72-’78 sulla mortalità per tumore e leucemia nella piana del Garigliano, spaventosamente attestato sul 44,48% (21,63 in tutta la provincia di Latina) contro una media italiana di poco superiore al 7%.

In ogni caso le centrali nucleari, anche a regime normale, emettono radiazioni ionizzanti che vengono espulse dal camino della centrale. Pur in presenza di appositi filtri. Il camino nucleare della centrale del Garigliano in funzione, per esempio immetteva nell’atmosfera 120.000 metri cubi di effluvi aeriformi ogni ora. Si trattava di vapori trattati da filtri posti alla base del camino. Filtri efficaci al 99,97%, secondo fonti Enel ed Enea. Mentre il restante 0,03% veniva espulso in stato di non purificazione. Per un volume globale di 36 metri cubi di sostanze radioattive aeriformi liberate nell’ambiente circostante ogni ora. Metri cubi che ovviamente diventano milioni se si moltiplicano per i 15 anni (1964-1978) in cui la Centrale è stata attiva. Il Centro di ricerca della Casaccia (una ventina di chilometri a Nord di Roma) viaggia invece a 90.000 metri cubi l’ora.



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