Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Con
“Tango”, testo di denuncia e d’impegno civile, scritto da Francesca Zanni, attrice,
drammaturga e regista, si è dato inizio, il 23 febbraio, alla VI edizione del
“Festival Nazionale Teatro XS” città di Salerno. Un evento di prestigio, sia
per l’entusiasmo delle compagnie
teatrali a partecipare, sia per l’impaziente attesa del pubblico salernitano. Anche questa volta e con enormi sacrifici, il
Teatro Genovesi e il suo gruppo coeso sono riusciti ad organizzare l’ormai tradizionale
manifestazione, fiore all’occhiello della città. Invariata la formula con sette spettacoli in gara, che vanno dal 23
febbraio fino ad arrivare al 4 maggio,
con la serata di premiazione finale.
Per
entrare nell’atmosfera emotiva della rappresentazione non si può non considerare
quale sia stato per il popolo argentino, il dramma dei “desaparecidos”.
Trentamila dissidenti o presunti tali, tra il 1976 ed il 1983, sotto il
regime della Giunta militare, sparirono per essere imprigionati, torturati,
uccisi e sepolti in fosse comuni o gettati
nell’oceano, con i cosiddetti voli della morte. Le vite sconvolte dei “desaparecidos”
non erano solitarie, molti di loro avevano figli e tante donne stavano per
averli. Quei, bambini strappati alle
famiglie, furono fatti svanire nel nulla e, orrore aggiunto, illegalmente
adottati da coloro che erano stati gli aguzzini delle proprie madri. Tutto ciò
avvenne nell’indifferenza generale del mondo civile, ma anche all’interno dello
stesso Paese, vuoi per mancanza totale
d’informazione, vuoi per paura di ritorsioni. Intanto le masse popolari del
pianeta, a quel tempo, erano tutte
intente a seguire i mondiali di calcio, giocati e vinti proprio laddove
avvenivano i feroci eccidi e la stessa parola “desaparecidos” per i più era solamente uno slogan vociato nelle manifestazioni
di protesta, scissa dal reale significato, ma chi sapeva…Si deve alle donne argentine, alle Madri di Plaza de Mayo,
in cerca dei loro figli, se è stato sollevato
il drappo della verità, se si è scoperto
che le loro creature, perse per sempre,
avevano generato a loro volta figli.
D’allora oltre che madri anche nonne,
cercano con tenacia, senza mai perdere la speranza di trovare la carne
della propria carne, viva.
Tango
E’
buia la scena e lo sarà per tutta la durata,
60 minuti, escludendo la luce intermittente, che a turno illuminerà, al
pari di un interrogatorio, i monologhi dei due attori. Un semplice fondale, su cui si leggono scritte parole, come writers
sui muri, una comoda poltrona a sinistra ed una
vecchia sedia a destra, sono gli unici mobili che arredano la scena, tra i due oggetti, uno spazio consistente,
terrà separati per tutto il tempo i protagonisti, Carla e Claudio-Miguel. Che
sia stata diversa la vita dei due lo si
intuisce subito, prima delle loro stesse parole, sottolineata da tanti piccoli
particolari, tra cui lo spazio che intercorre tra loro, il non rivolgersi mai
direttamente la parola, l’ostentata agiatezza di lui, la disperata solitudine di lei. Ciò che non s’intuisce
subito, invece, e questo lo si avverte inizialmente come una limitazione, è che cosa abbiano in comune i
personaggi e per quale ragione si rimandano soliloqui, parlando ognuno per proprio conto, come in una confessione. A mano a mano che il
monologo dei due andrà avanti si apprenderanno tanti tasselli, sì da ricomporre il finale
mancante al puzzle. Ai bordi del palcoscenico, abbandonate, vi sono sette paia di scarpe usate, segno che chi le ha calzate non potrà più
farlo, ma può essere ricordato il loro martirio. Affiora un passaggio mentale
inevitabile, anche i nazisti accumulavano cataste di oggetti dei loro uccisi. Nel silenzio iniziale si diffonde struggente
la musica di un tango e prima due ballerini e poi altri tre si affiancano,
esprimendosi in una coreografia appassionata. In scena il tango irrompe e si fa
metafora delle due vite, un ballo libero, senza una coreografia precostituita,
ma solo movimento fluido e passionale “Avete mai ballato il tango? Avete mai
provato?”… Carla e Miguel, loro si che si sono ritrovati a doverlo ballare come danza della loro vita,
con un ritmo ed una musica che non avevano scelto. I monologhi intrecciati ci
danno altre notizie, nuovi orribili
particolari su di loro, vite che in qualche modo scorrono parallele ma sono collocate
in due luoghi e periodi storici diversi .
“Me llamo Carla, desaparecidos el 25 de agosto
del 1976.”
Prima
della sparizione Carla, era una giovane innamorata,
aveva un ragazzo, ballava il tango e viveva la vita spensierata come tutte le fanciulle
della sua età. Quando la presero, la paura, la prigionia e le torture, riusciva
a sopportarle, ripetendosi delle parole: speranza, estate, libertà, amore,
figlio, ognuna con un significato, ognuna con un peso. E figlio, la parola più
importante, è il bandolo dell’intreccio tra i due
Claudio-Miguel
ha sempre avuto una vita agiata e sulla sua esistenza c’è poco da dire. Figlio unico di un ex colonnello, famiglia ricca, parla
3 lingue, gioca a tennis. Il padre, con cui non ha un buon rapporto, è uno dei colonnelli del golpe, Di ciò che è
successo in Argentina sa quello che il padre stesso gli ha raccontato e cioè
che c’era bisogno di ordine e qualcuno doveva pur farlo. Saprà e capirà ogni cosa quando scoprirà di
aver vissuto la vita di un altro.
Lo
spettacolo, che ha coinvolto nel profondo il pubblico in sala, è stato ottimamente
diretto da Paolo Pignero, un nostro conterraneo, trasferitosi a Genova trent’anni fa. Bravi, regista e Compagnia “Gli Amici di Jachy”, nel portare
in scena e all’attenzione un dramma che ancora continua . Se un appunto si può
muovere a Pignero è che la musica
tanghera si è sentita poco, un sottofondo da milonga avrebbe reso la vicenda
ancor più struggente. Martina Lodi (Carla), intensa e sicura delle sue capacità
espressive, ha avuto il peso maggiore dello spettacolo. Momenti forti della sua
recitazione, infatti, sono stati lo stupro subito dai militari, la scoperta di
aspettare un figlio e la morte per torture con il corpo gettato nell’oceano.
Giovanni Tacchella (Claudio-Miguel) ha reso bene il suo personaggio, prima
figlio di papà e poi vittima. Buone le coreografie create da Paola Grazzi e
ballate dai tangheri Giulia Bruzzone, Massimiliano
Bet, Cesare Cocito, Lorenzo Monte e brava
anche Francesca Saitta che si è occupata delle scene e delle luci.
Maria
Serritiello
www.lapilli.eu
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