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martedì 18 marzo 2014

Per due sere al Ridotto di Salerno, Dino Paradiso, il vincitore del Premio Charlot 2013



Fonte :www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

Si presenta con aria dimessa, le spalle incurvate,  il bavero della giacca, in cui sembra cresciuto dentro, alzato, con in mano una busta di plastica e con l’altra si stringe il davanti della giacchetta. Smilzo, capelli arruffati, baffetti sottili e occhi vispi, in scena fa il verso all’emigrante che, dalla boscosa Basilicata, è giunto fino alla Salerno marinara. Chi ci sta di fronte è Dino Paradiso, il vincitore del Premio Charlot 2013, il prestigioso premio nazionale della comicità, fondato nel 1989 da Claudio Tortora. Per 25 anni, attraverso questo premio, sono passati tutti i futuri comici di maggior successo, un merito che va per intero all’eccellente ed instancabile Patron che da due anni ha lasciato il testimone della direzione artistica, al figlio Gianluca, nella continuazione della famiglia Tortora.

Dino Paradiso, per l’anagrafe Bernardino, ma nel paese d’origine è “Vardine” è nato in un piccolo paese della Lucania, Bernalda, dove le tradizioni si mantengono salde e fanno da padrone nell’esistenza di ognuno, tant’è vero che il suo nome, senza scampo, è la “puntella” del nonno paterno. A Bernalda, si vive bene, “…gli abitanti sono talmente pochi che il sindaco la mattina fa l’appello…” lo dice lui tesso esagerando per strappare la risata d’inizio. Una vita semplice quella di Bernalda dove tutti sanno i fatti di ognuno, non che sia necessariamente un danno, se si pensa alla solitudine delle grandi città.  E’ vero Vardino, il nipote del barbiere conosce tutti e tutti conoscono lui, ed egli attento li osserva, annota le parole, la gestualità, appunta le usanze, il modo di vivere, i soprannomi, la cucina, le feste patronali, i discorsi, le passeggiate, tutto materiale che riversa nelle sue esibizioni. Il suo monologo, infatti, che ha una durata considerevole, è l’analisi intelligente della vita del suo piccolo centro, sempre in bilico tra la demonizzata modernità e la rassicurante tradizione. Il linguaggio è sciolto, corretto, vivace, tenuto unito dalla sua naturale spigliatezza e dalle incursioni dialettali. Il lucano è un dialetto onorevole, quasi sconosciuto, le cui inflessioni, però ed i suoni  sono di grande  piacevolezza e lui ne fa un uso cortese, rafforzando ciò che dice. Nella sua tirata comica uno spazio particolare lo dedica alla figura materna, non precisamente la sua (come mi dirà in seguito, ndr) ma della madre meridionale in genere e lucana in particolare, nella quale è inserita di diritto anche la sua per cui le rivolge tutte le battute esilaranti, perché a Bernalda, si sa, gli uomini comandano ma a prendere le decisioni sono le donne . Il suo risulta un collage di amorevoli difetti di cui sua madre  è dotata, uno in particolare, l’ansia, che la mantiene vigile per  qualsiasi accadimento. Tutto ciò che esce dalla sua sfera di controllo è pericoloso, la fa volgere gli occhi al cielo e dire “ Statte attiente a mamma , statte attiente”. Di che cosa “Vardine” si debba difendere appena valica il confino di Bernalda, non gli è dato sapere, al massimo accontentarsi della consueta risposta “Succedene tante cose brutte”. La madre impera nel monologo sia per quanto deve mangiare, tanto, per come si deve vestire, la maglia di lana da indossare anche nell’estate più afosa “Pota ascì sempe o ventariello” e così si conferma che a comandare in casa è lei, il padre lavora e sta seduto sul divano, al massimo picchia il figlio, quando fa ritorno a casa, istigato dalla moglie. Ad ogni marachella, invariabilmente gli annunciava “mò che vene tuo padre amma fa li cunti” per cui Vardino ha sempre creduto che la ciabatta del padre, con la quale veniva picchiato, fosse la calcolatrice. Divertente ed intelligente per il garbato graffio familiare, accattivante e  simpatico per  la spontanea naturalezza, che altro dire, se non che si è ben meritato il primo posto nel premio della comicità più prestigioso d’Italia.

Bechestage

Sono al Teatro Ridotto ad attenderlo e quando mi viene incontro con i suoi baffetti sottili, i capelli arruffati e il giubbotto stretto sui jeans, lo trovo  molto più giovane di come mi era sembrato la sera del Premio, la scorsa  estate. Gli dico che l’ho votato, preferendolo agli altri quattro  e che ero stata contenta della sua vittoria, lui ne è sorprendentemente soddisfatto. Entriamo in sintonia e mi dice che ha 35 anni, che è sposato, con un figlio di 2 di nome Luca, la madre è un’ insegnante, il padre un operaio e lui  è il  primo di tre figli maschi. Bernalda, mi ricorda, il paese dove vive ed è nato, ha dato le origini anche al nonno del grande regista americano Francis Ford Coppola. Ha frequentato l’università a Bari, laureandosi in scienze politiche, ma è allo spettacolo che si è sempre interessato. Nel 2006 dopo aver iniziato a girare per la piazze in spettacoli di Paese, ha perfezionato lo studio del teatro comico, frequentando la scuola "Comic Lab", diretta dalla grande Serena Dandini. E’ giunto al Premio Charlot, vincendone l’edizione 2013, su suggerimento di Santino Caravella, il vincitore dell’edizione 2012. Accenniamo anche ad un minimo di conversazione, a come si presenta bene Salerno, al suo sindaco ormai un’icona conosciuta, di conseguenza improvvisando ne fa l’imitazione, quando a denti stretti striglia i cafoni. Mi strappa subito una bella risata, è già cominciato il suo show.

Maria Serritiello
www.lapilli.eu










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