Fonte :www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Si
presenta con aria dimessa, le spalle incurvate, il bavero della giacca, in cui sembra cresciuto
dentro, alzato, con in mano una busta di plastica e con l’altra si stringe il
davanti della giacchetta. Smilzo, capelli arruffati, baffetti sottili e occhi
vispi, in scena fa il verso all’emigrante che, dalla boscosa Basilicata, è giunto
fino alla Salerno marinara. Chi ci sta di fronte è Dino Paradiso, il vincitore
del Premio Charlot 2013, il prestigioso premio nazionale della comicità, fondato
nel 1989 da Claudio Tortora. Per 25 anni, attraverso questo premio, sono
passati tutti i futuri comici di maggior successo, un merito che va per intero
all’eccellente ed instancabile Patron che da due anni ha lasciato il testimone
della direzione artistica, al figlio Gianluca, nella continuazione della
famiglia Tortora.
Dino
Paradiso, per l’anagrafe Bernardino, ma nel paese d’origine è “Vardine” è nato
in un piccolo paese della Lucania, Bernalda, dove le tradizioni si mantengono
salde e fanno da padrone nell’esistenza di ognuno, tant’è vero che il suo nome,
senza scampo, è la “puntella” del nonno paterno. A Bernalda, si vive bene,
“…gli abitanti sono talmente pochi che il sindaco la mattina fa l’appello…” lo
dice lui tesso esagerando per strappare la risata d’inizio. Una vita semplice
quella di Bernalda dove tutti sanno i fatti di ognuno, non che sia
necessariamente un danno, se si pensa alla solitudine delle grandi città. E’ vero Vardino, il nipote del barbiere
conosce tutti e tutti conoscono lui, ed egli attento li osserva, annota le
parole, la gestualità, appunta le usanze, il modo di vivere, i soprannomi, la
cucina, le feste patronali, i discorsi, le passeggiate, tutto materiale che
riversa nelle sue esibizioni. Il suo monologo, infatti, che ha una durata
considerevole, è l’analisi intelligente della vita del suo piccolo centro, sempre
in bilico tra la demonizzata modernità e la rassicurante tradizione. Il
linguaggio è sciolto, corretto, vivace, tenuto unito dalla sua naturale
spigliatezza e dalle incursioni dialettali. Il lucano è un dialetto onorevole, quasi
sconosciuto, le cui inflessioni, però ed i suoni sono di grande piacevolezza e lui ne fa un uso cortese,
rafforzando ciò che dice. Nella sua tirata comica uno spazio particolare lo
dedica alla figura materna, non precisamente la sua (come mi dirà in seguito,
ndr) ma della madre meridionale in genere e lucana in particolare, nella quale
è inserita di diritto anche la sua per cui le rivolge tutte le battute
esilaranti, perché a Bernalda, si sa, gli uomini comandano ma a prendere le
decisioni sono le donne . Il suo risulta un collage di amorevoli difetti di cui
sua madre è dotata, uno in particolare,
l’ansia, che la mantiene vigile per
qualsiasi accadimento. Tutto ciò che esce dalla sua sfera di controllo è
pericoloso, la fa volgere gli occhi al cielo e dire “ Statte attiente a mamma ,
statte attiente”. Di che cosa “Vardine” si debba difendere appena valica il
confino di Bernalda, non gli è dato sapere, al massimo accontentarsi della
consueta risposta “Succedene tante cose brutte”. La madre impera nel monologo
sia per quanto deve mangiare, tanto, per come si deve vestire, la maglia di
lana da indossare anche nell’estate più afosa “Pota ascì sempe o ventariello” e
così si conferma che a comandare in casa è lei, il padre lavora e sta seduto
sul divano, al massimo picchia il figlio, quando fa ritorno a casa, istigato
dalla moglie. Ad ogni marachella, invariabilmente gli annunciava “mò che vene
tuo padre amma fa li cunti” per cui Vardino ha sempre creduto che la ciabatta
del padre, con la quale veniva picchiato, fosse la calcolatrice. Divertente ed
intelligente per il garbato graffio familiare, accattivante e simpatico per
la spontanea naturalezza, che altro dire, se non che si è ben meritato
il primo posto nel premio della comicità più prestigioso d’Italia.
Bechestage
Sono
al Teatro Ridotto ad attenderlo e quando mi viene incontro con i suoi baffetti
sottili, i capelli arruffati e il giubbotto stretto sui jeans, lo trovo molto più giovane di come mi era sembrato la sera
del Premio, la scorsa estate. Gli dico
che l’ho votato, preferendolo agli altri quattro e che ero stata contenta della sua vittoria,
lui ne è sorprendentemente soddisfatto. Entriamo in sintonia e mi dice che ha 35
anni, che è sposato, con un figlio di 2 di nome Luca, la madre è un’ insegnante,
il padre un operaio e lui è il primo di tre figli maschi. Bernalda, mi
ricorda, il paese dove vive ed è nato, ha dato le origini anche al nonno del
grande regista americano Francis Ford Coppola. Ha frequentato l’università a
Bari, laureandosi in scienze politiche, ma è allo spettacolo che si è sempre
interessato. Nel 2006 dopo aver iniziato a girare per la piazze in spettacoli
di Paese, ha perfezionato lo studio del teatro comico, frequentando la scuola "Comic Lab", diretta dalla
grande Serena Dandini. E’ giunto al Premio Charlot, vincendone l’edizione 2013,
su suggerimento di Santino Caravella, il vincitore dell’edizione 2012. Accenniamo
anche ad un minimo di conversazione, a come si presenta bene Salerno, al suo
sindaco ormai un’icona conosciuta, di conseguenza improvvisando ne fa l’imitazione,
quando a denti stretti striglia i cafoni. Mi strappa subito una bella risata, è
già cominciato il suo show.
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
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