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di Maria Serritiello
E’
con “S. U. D.” che La Compagnia teatrale “La Cantina delle Arti” di
Sala Consilina (SA) ha partecipato al Festival Nazionale Teatro XS Città di
Salerno. Il terzo spettacolo in gara di domenica 9 marzo, anch’esso a sfondo
sociale, è tratto dal libro del giornalista Salvatore Medici “Fermento, al Sud c’è fermento” per la riduzione
drammaturgica di Enzo D’Arco, che ne è anche l’interprete. Un quasi monologo,
il suo, interrotto, di tanto intanto, da
leggiadri volteggi e caute parole di Antonella Giordano, sì da spezzare la
grezza energia e l’intensa vigoria da lui espressa.
Settanta
minuti non bastano per vociare ciò che affligge il Sud, né il testo, sia pure di
forte denuncia, sgombra il campo dalle speranze che caparbiamente si alimentano.
Enzo D’Arco, con la sua energia e la sua fisicità tutta meridionale, non
altissimo, barba folta, per nulla
curata, capelli ricci, non si arrende, combatte e vuole che il Sud
utopicamente raddrizzi la schiena. “Sdradicarmi’? dice “la terra mi tiene e la tempesta se viene mi
trova pronto” Un grido d’amore per l’amata terra, come se fosse una donna con
la quale ha un onirico rapporto amoroso, si rotola nell’erba, se la tiene
stretta e l’ama. Ma la storia che racconta il giovane del sud non ha in sé
tanta dolcezza, anzi comincia col dire “…ho 36 anni e per lavorare ho lasciato il mio paese che si
trova nella terra bella del Vallo di Diana e sono qua in Svizzera, dove tutto è
precisione, diritti e doveri e mi pagano per quanto rendo”. La realtà di queste
terre è esattamente così, Enzo D’Arco la conosce bene, per essere la storia di
tanti, troppi suoi compaesani, emigrati in terre straniere, per tornare al
paese lasciato, solo nell’estati torride, per fastosi matrimoni o peggio per
tristi lutti familiari, senza aver mai più goduto la sicurezza protettiva del
paese. E’questo il Sud, il carrozzone su
cui, di volta in volta, tutti sono saliti
per i propri interessi, per gli sporchi affari. Maneggioni e stupratori dell’ humus illibato, non ne sono
mai mancati, anzi si sono triplicati via, via nel tempo. E’ questo il Sud che
ha chinato sempre la testa, ripiegandosi su se stesso per la squallida miseria,
quella che toglie la dignità, la forza di reagire e nega ogni libertà di scelta. Senza scomodare gli approfondimenti
sulla questione meridionale, una querelle dibattuta dall’unità d’Italia in poi,
ben si comprende che il disagio socio politico del Sud è frutto di una grossa
ingiustizia, un enorme abuso perpetrato ai suoi danni dai poteri forti.
Il monologo prosegue vigoroso, Enzo D’Arco non
si risparmia, se ne comprende la passione, parla a voce alta, si sposta veloce da ogni angolo del palcoscenico,
interloquisce approcciando il pubblico con domande retoriche, a cui lui stesso
risponde. Senza giacca, con la quale si è presentato, resta in canottiera blu,
fa più operaio, più uomo del popolo, suda, senza curarsene, suona la
grossa tammorra, lo strumento vivo fatto
di pelle animale, canta senza modulare la voce sui pezzi di Petra Montecorvino
ed Eugenio Bennato, mette e rimette apposto tozzetti di legno, che
metaforicamente dovrebbero rappresentare la sistemazione del Sud, ma inevitabilmente
questi vengono scompigliati dalla compagna di scena, ed anche qui la metafora è
chiara.
“…Nella
mia terra c’è fermento, molto fermento, però c’è anche leggerezza, battute,
saper vivere con ironia, allo stesso tempo c’è malessere, ci sono sfoghi,
opinioni rabbia, insomma c’è fermento, al Sud c’è fermento…”
Bisognerà
pur mettere un punto, finirla con i soprusi, con le umiliazioni, sarà
necessario essere capaci di prendere nelle mani
il proprio destino e viverlo da protagonista, non da assoggettato. La
denuncia non basta più troppe le analisi intellettualistiche che nulla hanno
portato al Sud. Dopo la riflessione, la consapevolezza e la denuncia
occorre reagire e con forza guardando la propria terra con occhi imparziali, il
pensiero libero, perché il Sud è amato e deve vivere. La conoscenza serve per
poter interpretare la realtà, con la giusta lucidità e sentito orgoglio in
quanto vivere al Sud è possibile. E’
tempo di ritornare alla terra, alla madre terra, all’impagabile dono ricevuto,
“perché lei ci prende alla testa e all’anima né è possibile resistere … e allora andare ma
poi tornare, tornare…”
sono
le parole che con una certa commozione, sottolineate da tristissime note di
fisarmonica, concludono l’atto d’amore, espresso dai lemmi, dal suono, dalla
poesia (Rocco Scotellaro), dalla gestualità, dalla danza e dalla passione che ha mosso tutto lo spettacolo.
Impeto,
forza, ardore, orgoglio, energia, tutto questo è S:U:D, lo spettacolo rivolto a
riappropriarsi della dignità delle proprie radici, perché i giovani, quelli passati d’età sono già fieri di
appartenere, sappiano che è possibile considerare il riscatto, che non è vana la speranza, che non è utopico il desiderio di
ripresa, per l’errata convinzione a considerare il giro dei proventi economici
altrove, non certo a loro accanto, meno
che mai al sud. Ma la terra c’è, la
forza giovane anche, perché non provare?
Indiscussa l’energia e il vigore fisico di Enzo D’arco.
Si è mosso con impetuosità e naturale
passione, il testo più che recitato è venuto fuori dal suo profondo, l’ha
sentito come suo, così pure la rabbia e
l’orgoglio è di un uomo del sud, un risorgimentale d’altri tempi. Brava
Antonella Giordano la cui levità, impressa nella danza, sparge intorno la
bellezza che attraversa le nostre terre. Buona la scelta musicale di
accompagnamento: Bennato, Montecorvino, Durante, Jovine, Raiz e Brusco,
eccesiva invece nel finale la stesa delle icone che rappresentano il meglio del
sud. Nella fierezza di appartenenza, non
è il caso di esagerare, non dobbiamo convincere nessuno, Noi siamo!
Maria Serritiello
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