Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Fino al 17 gennaio prossimo, al Piccolo Teatro del Giullare, è di scena “La doppia vita dei numeri” per la regia di Brunella Caputo. La pièce teatrale, scritta da Erri De Luca, è la situazione la più desiderata da chi ha perso tutti gli affetti più cari e si trova a dover festeggiare, da solo, l’ultima notte dell’anno. Non è che sia, una situazione tanto peregrina, succede più di quanto si possa immaginare, accade dietro ai vetri di una finestra chiusa o alle tante pareti che nascondono, oppure dinanzi ai nostri occhi, che non vogliono vedere, sì perché la solitudine, nella festa più chiassosa dell’anno, non piace a nessuno. Si dà il caso, allora, come Nella doppia vita dei numeri, che un fratello ed una sorella, senza un nome, di età imprecisa, in una casa surreale e buia, con mobili essenziali, un tavolo e due sedie ed una finestra ben disegnata, stagliarsi al centro della stanza, trovarsi nella condizione di totale d’isolamento e passare da soli la notte di San Silvestro. Ogni tanto lo squillo del telefono, precisamente tre volte, risuona sinistro ed amplifica il vuoto intorno ai due. E’ sempre lei a rispondere, ad imbastire una breve conversazione di circostanza, lui non ha voglia di salutare ed augurare la buona fine ed il buon principio a nessuno. L’abbandono si fa sempre più pesante e le parole, se dette, sono scarne, rievocative di fatti e di una realtà dolente: Sarajevo, Monstar…Eppure lui è uno scrittore di parole ne ha tante a disposizione, saprebbe comporle e scomporle a piacimento, ma resta in silenzio, urtato dall’attesa di questo count-down, il rituale inutile di ogni anno
“Mi urta i nervi la mezzanotte. Per convenzione è diventata più desiderata, che so, delle undici. E poi non mi piace aspettare l’arrivo di un’ora. Non è un treno e non ho nessuno da aspettare, tanto meno i minuti di un orario. Mezzanotte non è cima di niente, non è una vetta da dove si vedono le stelle più vicine. Io poi la salto tutti i giorni a occhi chiusi”
Dai vetri della finestra chiusa, l’unica a far da tramite con il mondo esterno, si ravvisano i lampi dei fuochi d’artificio, esplosi ad intermittenza e si odono i botti che la gente in compagnia spara. L’uomo guarda fuori, non parla e lascia cadere ogni tentativo di conversazione che la sorella vorrebbe intrecciare, ma lui è rinunciatario, passivo, giunto a malavoglia dalla donna a passare il Capodanno, cosicché già pensa, trascorsa la mezzanotte, di andare via. E’ lei la più propositiva:
Senti, siamo rimasti noi due, i nostri non ci stanno più. Noi dobbiamo rispettare questo poco di vita che ci avanza. Tu sei solo e pure io. In certi giorni mi serve sapere che ci sei”.
Maldestramente si muove tra le pentole, invocando con urla isteriche, Italia, la domestica morta, colpevole di non farle trovare gli oggetti che cerca. La situazione è paradossale e lo diventa ancor più quando la donna apparecchia la tavola per una giocata a tombola, ma loro sono solo due ed il gioco, perché diverta, ha bisogno di tante persone. Lei non s’arrende e mentre l’uomo è sempre più infastidito, mette in tavola quattro cartelle anziché due, quelle in più, dice, sono per i loro genitori defunti. L’assenza diventa presenza e gli anziani cari, convocati, appaiono per tenere compagnia ai solitari figlioli, sessantenni e senza uno straccio di affettività. Giacché i morti possono scegliere quale sembianza assumere per apparire, essi si presentano giovani, lui un tantino gagà, lei solida e corposa come lo era stata da giovane. Il gioco ha inizio e con esso il richiamo alla memoria di brandelli di vita vissuta insieme, in aggiunta, il figlio, scrittore, sollecitato dalla sorella, inventa nuove storie, metaforiche, suggerite dall’uscita dei numeri. Il caso dirige la fantasia e la nuova narrazione, cosicché dalla sorte, i numeri hanno una doppia possibilità di vita. Il dialogo che ne consegue tra loro è divertente, quasi che la tombola, giocata con i morti, abbia dato quella spinta di vitalità che mancava ai vivi.
Molto bravi gli interpreti: Mimma Virtuoso e Augusto Landi a caratterizzare i personaggi dei due solitari fratelli e le patologie sofferte. Dosate le pause, i silenzi e ricordevole il richiamo di Mimma Virtuoso alla domestica defunta. Buono l’inserimento di Teresa Di Florio, duttile in ogni ruolo, e di Alfio Battaglia ed anche la muta Italia fa la sua figura.
Erri De Luca ha confezionato un testo perfetto, in considerazione che l’animo napoletano non si stacca mai veramente dai propri morti, anzi essi restano per sempre dove sono vissuti, diventando numi tutelari, accanto alla devozione dei santi prescelti a protezione. Le battute sono essenziali, scheletriche, con un retrogusto in lingua napoletana, nelle quali si ravvisa il “sé” dello scrittore. La regia di Brunella Caputo, così intimista nello scavare l’animo, è in piena sintonia con il testo di De Luca, nulla è in eccedenza e tutto è stato sapientemente assemblato, tenuto conto di Virna Prescenzo (Selezione musicale e disegno luci), di Concita De Luca (assistente alla regia) e della grafica di Andrea Bloise.
Per la realizzazione di un elemento scenografico: Scuola di Falegnameria Mario Caputo
Maria Serritiello
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