Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
La musica che introduce lo spettacolo di Luigi Pirandello “O di uno o di nessuno”, al teatro Genovesi di Salerno, è di Mendelssohn, "Lied ohne Worte" (Canto senza parole). Le note aleggiano dolcissime, prima tra gli spettatori, poi si posizionano, ad apertura di sipario, tra Tito e Carlino, i giovani protagonisti, tentando di addolcire la disputa che di lì a poco prenderà consistenza. Ed eccoli l’uno di fronte all’altro, separati da un tavolo tondo, a consumarsi in una simbolica partita a dama, nel tentativo di stabilire un unico vincitore, che si scoprirà non essere possibile.
Tito e Carlino, la cui amicizia affonda ai tempi dell’Università, decidono, una volta sistemata la vita lavorativa, di chiamare a sé, per dividere le spese ed il divertimento, Melina, la giovane che, ai tempi dell’Università, aveva scaldato i loro corpi. Tutto sarebbe stato perfetto, se la donna, che aveva accettato la conveniente proposta, casa e mantenimento, non scoprisse di essere incinta e senza sapere chi dei due possa essere il padre. La notizia, caduta come scure su di loro, incapaci come sono, per insano egoismo, di assumersi in alcun modo responsabilità, accende rozze discussioni, in tono aggressivo e bieca gelosia che non tengono in nessun conto delle nuove esigenze della povera Melina. Di contro la giovane, nello stato di grazia e che solo la maternità consegna alle donne, si contrappone per dignità e nobiltà di sentimenti, il figlio è suo e l’unico desiderio è di tenerselo senza pretendere niente dai due. Nulla si svolgerà come avrebbe desiderato Melina, il figlio sarà dato in adozione, perché lei, minata da salute malferma, morrà. Tito e Carlino sgravati da ogni responsabilità riprenderanno la loro vecchia vita da amiconi e la partita a dama dove l’avevano interrotta.
Il testo teatrale ricavato dalle “Novelle per un anno” dallo stesso Pirandello nel 1925, fu portato in scena nella primavera del 1929, dalla compagnia Almirante –Tofano e nei panni dell’avvocato Merletti, un giovane Vittorio De Sica.
In “O di uno o di nessuno”, ancora una volta Luigi Pirandello porta fino all’esasperazione il rapporto d’amore, costruendo un ménage a trois che va contro ogni regola sociale, in considerazione dell’epoca in cui fu scritta, tant’è che Melina vive ai margini, isolata, in una casa lontana dai due e senza mai apparire, per salvaguardare la convenienza sociale. La prevaricazione dell’uomo sulla donna, in questo scritto come in altri, è così palese da costringere a pensare ad una rivalsa dell’autore, su ciò che doveva subire dalla sua stessa insana moglie. Infatti Luigi Pirandello ci consegna, ogni volta, la figura femminile come donna dimessa, tenera, docile, modesta, i cui diritti sono facilmente calpestabili. Melina è sì una prostituta e già il mestiere la condanna a “cosa” nelle mani dei due miserevoli, ma tende a riscattare la sua rassegnata condizione, con grande dignità, quando ha per sé il dono della maternità. L’insensibilità maschile, tesa solo a cancellare il problema della paternità di uno dei due, nascondendosi dietro al fatto che non si potesse stabilire effettivamente la responsabilità di uno e l’esasperato egoismo, scompaginano il solo legittimo desiderio di Melina di tenersi il figlio che, malgrado di chi fosse, è suo per un diritto naturale. Tito e Carlino non sono un modello risoluto e considerevole di uomini, anzi sono tanto più puerili ed infantili quando più la vita reale gli presenta il conto. A pensarci bene, se Pirandello tratteggia la donna vittima ed ineluttabilmente sacrificale, non tratta meglio gli uomini che, ogni volta, per sistemare la loro vita, non esitano ad andare contro l’etica e la morale. Melina pur nella disfatta è una figura di donna che trattiene per sé dignità e rispettabilità e le irraggia intorno, una docile “Filumena Marturano” ante litteram, a cui Eduardo darà forza e vigore.
Una piacevole scoperta sono stati i giovani attori impiegati nel testo minore di Pirandello, per cui hanno tenuto alto le buone interpretazioni che la Compagnia dell’Eclissi, di questo autore, mette in campo. Una recitazione quella di Mario De Caro e Marco De Simone (Tito, e Carlino), soddisfacente, non di maniera, con un buona dose di sicurezza, energia vitale e giusta aggressività verbale. Buona la presenza scenica di Monica De Vita, (l’affittacamere) nel rendere il personaggio di infingarda e moralista, il più reale possibile. Ottima la prova di Gerarda Mariconda, una Melina delusa, rassegnata, nobile, elegante, dignitosa e volitiva, aggettivi passati sul suo volto e nella sua voce. Che dire di Enzo Tota (l’avvocato Merletti), il valore aggiunto tra questi giovani, bravo come sempre, dosato, ironico, commosso, la triplice faccia di un consumato attore che ha trascinato tutto lo spettacolo, un mentore per consigli scenici e di copione. A corollario Andrea Iannone (il dottore), che con poche battute reso giustamente il personaggio. A tutto il team e cioè: Angela Guerra (costumi e direzione scenica), Felice Avella (direzione artistica), Luca Capogrosso (allestimento scenico) e Marcello Andria (adattamento e regia) va il plauso caloroso, per aver confezionato, di concerto, ancora una volta, uno spettacolo gradevolissimo, bilanciando alla perfezione tutte le sue parti.
Maria Serritiello
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