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sabato 11 febbraio 2023

I Cattivi di Cuore di Imperia, con “Il Raccolto” aprono il 14 esimo Festival Nazionale XS Città di Salerno

 


Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

Con uno spettacolo intenso ed in alcuni tratti di estrema durezza, ha avuto inizio, con I Cattivi di Cuore di Imperia, il 14esimo Festival Nazionale XS città di Salerno organizzato dalla Compagnia dell’Eclissi, in collaborazione con l’I.S.S. Genovesi-Da Vinci, presso il teatro Genovesi di Salerno.

Il Raccolto”, di Giorgia Brusco, è il titolo del pezzo di 75 minuti, presentato dai Cattivi di Cuore di Imperia, più volte presenti e premiati al Festival XS, interpretato dalla stessa autrice: Giorgia Brusco e da Chiara Giribaldi, ed a farle eco per le due sorelle adolescenti: Ilaria Pettinelli, Federica Chichi.

 Regia Gino Brusco

In una stanza poco illuminata, dai colori smorti, come la tenda messa sotto lago della macchina da cucire, che troneggia il luogo, mentre intorno regna il disordine acuito da scatole di cartone e pezze sparse alla rinfusa, si ascolta una gelida telefonata, depositata nella segreteria telefonica: “Anna sono Bea, volevo dirti che la mamma è morta”. Agganciata la cornetta, la donna senza un minimo di emozione, sia nella voce che nel volto, inizia la sua vestizione, come un prete all’altare, in effetti cambia gli indumenti, ma non migliora il suo personale. E’ pronta, adesso, per interpretare la donna che si è sacrificata per assistere la madre dispotica ed anziana a cui ha chinato il capo per tutta la vita. Naturalmente è piena di livore, non ha una sua famiglia, ha perso il fidanzato, non si è dedicata al lavoro al di fuori le mura domestiche, insomma non ha uno straccio di vita propria e morta la madre deve fare i conti per quello che non è stata e non è. I pensieri, rimuginati della donna, ridotta a larva, si accalcano nella mente e diventano visibili allo spettatore, attraverso uno stratagemma scenico, ingigantito da un falso piano, sul quale e dietro ad un velo trasparente, si vedono le due sorelle fanciulle, già esprimere le loro diversità. Ilaria Pettinelli, Federica Chichi.

La stanza, espressione della vecchia, cerbero di casa, che è ancora là con la sua presenza ingombrante, anche adesso che non c’è più, resta vuota per frazioni di secondi ed ecco che si palesa l’altra sorella, con vestiti, presenza e disinvoltura del tutto diversi, il che fa presagire di lì a poco, lo scontro malevole e frontale.

E dunque “Il raccolto”, ovvero l’insondabile cognizione del dolore di gaddiana memoria, qui innescato da un insano senso della maternità, inteso come diritto/dovere di indirizzare a proprio insindacabile piacere il destino delle proprie figlie, che vivono in modo diverso, il loro problematico attaccamento.  Ne emergono due figure, che sul palco, quasi dimentiche di essere sorelle, non riescono mai ad attingere ad un comprensibile e giustificabile sentimento di fratellanza, finendo con l’acuire a dismisura il loro astio, fino ad arrivare, nel giorno della possibile riconciliazione, ad una rottura ancora più tombale della morte stessa. Segno dei tempi? Colpe della società attuale? Morte del divino, ennesimo saggio sui disagi esistenziali o coraggiosa gola profonda di dinamiche familiari di genere, spesso associate a maternità e bontà?  L’opera di Giorgia Brusco, che la dice lunga sulle esperienze professionali e teatrali e sulla sua capacità letteraria di esplicitare con tanta immediatezza certe problematiche, servendosi di un linguaggio diretto, senza fronzoli, ma attento alla resa teatrale, crea i presupposti per consegnare nelle mani del regista, materiale ricco e dettagliato, per rendere uno spettacolo godibilissimo, di facile presa sul pubblico.

Attrici spettacolari, Giorgia Brusco e Chiara Giribaldi per essere capaci di rendere al massimo del credibile una differenza caratteriale, oltre che di età tra di esse. E pensare che gli anni che le separano non dovrebbero essere poi tanti a credere ai rimandi legati all’ adolescenza delle due sorelle. Tacchi a spillo per Anne, babbucce per Bea, nasino all’insù per la prima, camuso per la seconda, pantaloni attillati e gonna dimessa, coraggiosa, brava, talentosa e spigliata l’una, precisa, atavica, dettagliata e minuziosa l’altra.

Ed eccole, ancora una volta, una di fronte all’altra a scarnificare dalle loro anime, tutto il malsano accumulato, malgrado l’affettività familiare. Per Bea una ferita morale che finirà col diventare mortale Una ferita che si va strutturando, già durante l’adolescenza, quando deve confrontarsi con lo strapotere della sorella minore Anna, più dotata di talento, volontà e vitalità per la quale il futuro già pronto le si spalanca davanti, certo non tutto rase e fiori, vedi il lascivo zio che gli procura i soldi e vita meno miseranda, ma in cambio pretende licenziosità e prestazioni ignobili. 

Si sarà posta Bea domande precise e urgenti su chi fosse lei e cosa volesse dalla vita ed ha cominciato a piagarsi illudendosi di celebrare al meglio la sua vita dedicandosi alle cure della madre anziana, ma di certo arpia del sentimento filiale, sicché anche di questa sua esperienza, le piaghe e le ferite morali, anziché migliorare o scomparire, sono diventate più profonde e incancrenite, completando il quadro psicologico nel momento in cui la madre, è sempre più aggredita da demenza senile, tanto da non riconoscerla più, accusandola, anzi, di voler attentare al suo patrimonio, alla sua roba, per dirla alla Verga, invocando sua figlia Anna, che non ha esitato a lasciare la sua casa e con essa sua madre. Alla fatica immane di Bea si aggiunge, con tanto male, l’irriconoscente figura materna, sia pure con l’attenuante della demenza. Per Bea questi sono dettagli, contano e scolpiscono di più, in un rigurgito di lucidità, le domande che ancora deve farsi, prima di incartapecorirsi nella pesante e greve cattiveria. Ebbene la composizione del quadro psicologico delle ferite morali, che hanno costellato la sua esistenza, getta una luce nuova e densa di prospettive, al fine di contribuire ad una rielaborazione, da parte della povera Bea, della propria condizione, aiutandosi a crearsi i presupposti di una vita più serena.

 È’ fin troppo facile accusarla di miseria morale e di scarsa spinta motivazionale, ma la mente, specie quella di una adolescente, fa strani scherzi e questo l’autrice, penso, lo sappia. È’ proprio in quel periodo dell’esistenza che vanno prendendo piede e forma le convinzioni più strutturate o destrutturanti della nostra psiche. Riflettere è il minimo che possiamo e dobbiamo fare per dare dignità al nostro essere umani.

L’Inizio del Festival XS, al Teatro Genovesi, ha lasciato tutti pieni di domande sospese, come la cognizione del talento con le sue spinte motivazionali, la meschinità o miseria culturale e sociale, il distorto senso di maternità, le ferite morali, l’alienazione che esita nella demenza e che fa rima con l’irriconoscenza, la sindrome postraumatica con crollo finale, l’inevitabile separazione o frattura susseguente. I tanti possibili, ma non esaustivi aspetti della galassia psiche, che l’autrice tratteggia molto bene, come gli aspetti negativi costitutivi delle personalità dei suoi personaggi, facendo compiere un iter completo alla povera Bea che, partendo dalla cognizione del dolore sviluppa un quadro preciso e dettagliato di ferite morali che sfociano in una depressione aggressiva e marcata niente di più che una morte annunciata. Sullo sfondo, ma non meno vivo il ritratto di una madre che domina con la sua assenza e che crede di dover scandire il futuro delle figlie, mai rendendosi conto delle sue poche qualità di donna e madre. Grazie a Dio, un’icona dell’altro ieri, lontana mille miglia dalla sensibilità femminile delle donne di oggi e se ancora persistono, tali esemplari, vanno, per fortuna, velocemente scomparendo.

Maria Serritiello

www.lapilli.eu 



 

 

 

 

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