Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Con uno spettacolo
intenso ed in alcuni tratti di estrema durezza, ha avuto inizio, con I Cattivi di Cuore di Imperia, il 14esimo Festival Nazionale XS città di Salerno organizzato dalla Compagnia dell’Eclissi, in collaborazione
con l’I.S.S. Genovesi-Da Vinci, presso il teatro Genovesi di Salerno.
“Il Raccolto”, di Giorgia
Brusco, è il titolo del pezzo di 75 minuti, presentato dai Cattivi di Cuore di Imperia, più volte
presenti e premiati al Festival XS, interpretato
dalla stessa autrice: Giorgia Brusco
e da Chiara Giribaldi, ed a farle
eco per le due sorelle adolescenti: Ilaria
Pettinelli, Federica Chichi.
Regia Gino Brusco
In una stanza poco illuminata,
dai colori smorti, come la tenda messa sotto lago della macchina da cucire, che
troneggia il luogo, mentre intorno regna il disordine acuito da scatole di
cartone e pezze sparse alla rinfusa, si ascolta una gelida telefonata,
depositata nella segreteria telefonica: “Anna sono Bea, volevo dirti che la
mamma è morta”. Agganciata la cornetta, la donna senza un minimo di emozione,
sia nella voce che nel volto, inizia la sua vestizione, come un prete
all’altare, in effetti cambia gli indumenti, ma non migliora il suo personale.
E’ pronta, adesso, per interpretare la donna che si è sacrificata per assistere
la madre dispotica ed anziana a cui ha chinato il capo per tutta la vita.
Naturalmente è piena di livore, non ha una sua famiglia, ha perso il fidanzato,
non si è dedicata al lavoro al di fuori le mura domestiche, insomma non ha uno
straccio di vita propria e morta la madre deve fare i conti per quello che non
è stata e non è. I pensieri, rimuginati della donna, ridotta a larva, si
accalcano nella mente e diventano visibili allo spettatore, attraverso uno
stratagemma scenico, ingigantito da un falso piano, sul quale e dietro ad un
velo trasparente, si vedono le due sorelle fanciulle, già esprimere le loro
diversità. Ilaria
Pettinelli, Federica Chichi.
La stanza, espressione
della vecchia, cerbero di casa, che è ancora là con la sua presenza
ingombrante, anche adesso che non c’è più, resta vuota per frazioni di secondi
ed ecco che si palesa l’altra sorella, con vestiti, presenza e disinvoltura del
tutto diversi, il che fa presagire di lì a poco, lo scontro malevole e
frontale.
E dunque “Il raccolto”,
ovvero l’insondabile cognizione del dolore di gaddiana memoria, qui innescato
da un insano senso della maternità, inteso come diritto/dovere di indirizzare a
proprio insindacabile piacere il destino delle proprie figlie, che vivono in
modo diverso, il loro problematico attaccamento. Ne emergono due figure, che sul palco, quasi
dimentiche di essere sorelle, non riescono mai ad attingere ad un comprensibile
e giustificabile sentimento di fratellanza, finendo con l’acuire a dismisura il
loro astio, fino ad arrivare, nel giorno della possibile riconciliazione, ad
una rottura ancora più tombale della morte stessa. Segno dei tempi? Colpe della
società attuale? Morte del divino, ennesimo saggio sui disagi esistenziali o coraggiosa
gola profonda di dinamiche familiari di genere, spesso associate a maternità e
bontà? L’opera di Giorgia Brusco, che la
dice lunga sulle esperienze professionali e teatrali e sulla sua capacità
letteraria di esplicitare con tanta immediatezza certe problematiche, servendosi
di un linguaggio diretto, senza fronzoli, ma attento alla resa teatrale, crea i
presupposti per consegnare nelle mani del regista, materiale ricco e
dettagliato, per rendere uno spettacolo godibilissimo, di facile presa sul
pubblico.
Attrici
spettacolari, Giorgia
Brusco e Chiara Giribaldi per essere capaci di rendere al
massimo del credibile una differenza caratteriale, oltre che di età tra di esse.
E pensare che gli anni che le separano non dovrebbero essere poi tanti a
credere ai rimandi legati all’ adolescenza delle due sorelle. Tacchi a spillo
per Anne, babbucce per Bea, nasino all’insù per la prima, camuso per la
seconda, pantaloni attillati e gonna dimessa, coraggiosa, brava, talentosa e
spigliata l’una, precisa, atavica, dettagliata e minuziosa l’altra.
Ed eccole, ancora una volta, una di fronte all’altra a scarnificare dalle loro anime, tutto il malsano accumulato, malgrado l’affettività familiare. Per Bea una ferita morale che finirà col diventare mortale Una ferita che si va strutturando, già durante l’adolescenza, quando deve confrontarsi con lo strapotere della sorella minore Anna, più dotata di talento, volontà e vitalità per la quale il futuro già pronto le si spalanca davanti, certo non tutto rase e fiori, vedi il lascivo zio che gli procura i soldi e vita meno miseranda, ma in cambio pretende licenziosità e prestazioni ignobili.
Si sarà posta Bea domande
precise e urgenti su chi fosse lei e cosa volesse dalla vita ed ha cominciato a
piagarsi illudendosi di celebrare al meglio la sua vita dedicandosi alle cure
della madre anziana, ma di certo arpia del sentimento filiale, sicché anche di
questa sua esperienza, le piaghe e le ferite morali, anziché migliorare o
scomparire, sono diventate più profonde e incancrenite, completando il quadro
psicologico nel momento in cui la madre, è sempre più aggredita da demenza
senile, tanto da non riconoscerla più, accusandola, anzi, di voler attentare al
suo patrimonio, alla sua roba, per dirla alla Verga, invocando sua figlia Anna,
che non ha esitato a lasciare la sua casa e con essa sua madre. Alla fatica
immane di Bea si aggiunge, con tanto male, l’irriconoscente figura materna, sia
pure con l’attenuante della demenza. Per Bea questi sono dettagli, contano e
scolpiscono di più, in un rigurgito di lucidità, le domande che ancora deve
farsi, prima di incartapecorirsi nella pesante e greve cattiveria. Ebbene la
composizione del quadro psicologico delle ferite morali, che hanno costellato
la sua esistenza, getta una luce nuova e densa di prospettive, al fine di
contribuire ad una rielaborazione, da parte della povera Bea, della propria
condizione, aiutandosi a crearsi i presupposti di una vita più serena.
È’ fin troppo facile accusarla di miseria
morale e di scarsa spinta motivazionale, ma la mente, specie quella di una
adolescente, fa strani scherzi e questo l’autrice, penso, lo sappia. È’ proprio
in quel periodo dell’esistenza che vanno prendendo piede e forma le convinzioni
più strutturate o destrutturanti della nostra psiche. Riflettere è il minimo
che possiamo e dobbiamo fare per dare dignità al nostro essere umani.
L’Inizio
del Festival XS, al Teatro Genovesi, ha lasciato tutti pieni
di domande sospese, come la cognizione del talento con le sue spinte
motivazionali, la meschinità o miseria culturale e sociale, il distorto senso
di maternità, le ferite morali, l’alienazione che esita nella demenza e che fa
rima con l’irriconoscenza, la sindrome postraumatica con crollo finale,
l’inevitabile separazione o frattura susseguente. I tanti possibili, ma non
esaustivi aspetti della galassia psiche, che l’autrice tratteggia molto bene,
come gli aspetti negativi costitutivi delle personalità dei suoi personaggi,
facendo compiere un iter completo alla povera Bea che, partendo dalla
cognizione del dolore sviluppa un quadro preciso e dettagliato di ferite morali
che sfociano in una depressione aggressiva e marcata niente
di più che una morte annunciata. Sullo sfondo, ma non meno vivo il ritratto di
una madre che domina con la sua assenza e che crede di dover scandire il futuro
delle figlie, mai rendendosi conto delle sue poche qualità di donna e madre. Grazie
a Dio, un’icona dell’altro ieri, lontana mille miglia dalla sensibilità
femminile delle donne di oggi e se ancora persistono, tali esemplari, vanno,
per fortuna, velocemente scomparendo.
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
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