Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Dal
21 - 24 novembre scorso al Teatro
A.Ghirelli di Salerno i Teatri Uniti in
collaborazione con Accademia Amiata Mutamenti hanno presentato Titanic (The
end), tratto da Hans Magnus Enzensberger, per l’ ideazione e la regia Antonio
Neiwiller, in un’attuale visione di Salvatore Cantalupo. Lo spettacolo, di non
facile approccio, poggia la sua forza, sia sulla fisicità degli attori, che su di un linguaggio incomprensibile parlato da
tutti. L’assenza di un testo e conseguentemente di parole, coinvolge la sfera
più intima delle emozioni, le immagini come il dolore, la gioia e le varie
sfumature dell’animo, passano sul volto degli interpreti e s’ irradiano.
Il
teatro si presenta oscuro e alla maniera della parte maestra di una nave, per
metà inabissata, avvolto dal fumo, che ne imita la nebbia e con lo sciabordio
ritmato delle onde, l’eco che trasporta in mezzo al mare. Teloni arancioni,
gonfi, ricoprono oggetti sfuggiti all’affondo
e tutto appare in abbandono. Sibila un suono ed un uomo, vestito di panni
modesti, appare vagando, mentre compie in un rituale, gesti intorno, sfaccendando
e traendo fuori da un baule, oggetti usati. Quando dà inizio alla parola, lo fa
con un incomprensibile grammelot, dai suoni ostici e da nessuna espressione addolcito,
anzi aggressivo ed imperativo. Altro
sibilo ed ecco che la scena si anima da sette attori, fuoriusciti dai teloni, centrati in scena, che senza articolare frasi di senso compiuto, manovrando
tubi simili a nere bisce ed in una lingua oscura, anch’essi, interpretano
la fame, la contentezza, la dolenza, il viaggio, l’amore, il ballo, il gioco.
Pagine distribuite a tutti, poi, da uno di essi, servono a leggere, a
soffiarsi, a strofinarsi il corpo e a salutare prima di appallottolarli. Con
gesti lenti e movimenti cauti per centrare il viso, si truccano, lì, davanti al
pubblico, cambiando maschera, cambiando destino. Il rumore dei passi, il suono
pesante di una batteria ed ecco il chiudersi di colpo, dinanzi agli occhi,
della vela, dell’immaginario transatlantico, dietro al quale, con delicato
effetto di ombre cinesi, galleggiano lentamente, ormai persi, uomini e cose.
“Titanic
The end” realizzato da Salvatore Cantalupo, interprete e regista, lui stesso, è
un laboratorio tenuto per otto mesi, assieme a giovani attori e nel quale riprende lo spettacolo del
drammaturgo, regista ed artista geniale, Antonio Neiwiller, inserendovi solamente
qualche spunto. Cantalupo è stato suo allievo e nel ventennale della morte del
maestro, ha voluto così ricordarlo. L’attore considera, Antonio Neiwiller, il
geniale artista napoletano, morto prematuramente a soli 45 anni, un pioniere che
ha utilizzato la teoria del laboratorio
e del gruppo per far nascere qualcosa. La nave alla deriva, come già per Hans
Magnus Enzensberger, lo scrittore
tedesco ne “La fine del Titanic”, è la metafora, dell’odierna società che
si è consegnata all’incomunicabilità e si capisce, così, anche l’invasivo
grammelot usato da Neiwiller, prima e da Cantalupo, dopo, indice di chi non ha
più comunicazione.
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
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