Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Sono
stati fragorosi gli applausi tributati a Nicoletta Braschi, al teatro Antonio Ghirelli di Salerno, giovedì
10 ottobre, per la prima di “Giorni felici” di Samuel Beckett, tanto
rimbombanti da superare la copiosa pioggia che ha tamburellato, per tutto il
tempo, insistente, sul tetto del teatro. I battimani se li meritava tutti Nicoletta,
sia per aver offerto una buona interpretazione del lavoro di Beckett, sia per
l’eccezionale prova di memoria, un’ora e 45 minuti in scena da sola.
“Giorni
felici”, per la regia di Andrea Renzi e la traduzione di Carlo Fruttero, al
Ghirelli, è un classico del teatro contemporaneo, un dramma congegnato in due
tempi, che ruotano intorno alla figura di Winnie. Il marito, Willie,
interpretato da Roberto di Francesco, in scena c’è ma è come se non ci fosse. Dal
canto suo Winnie è una donna di mezza età, borghese, capelli biondi, testa piena
di pensieri, di speranze e di ottimismo, anche se è risucchiata dalla
disperazione. Il cumulo di terra in cui si mostra infossata fino alla cintola e nell’impossibilità di
sfuggire a questa limitazione, è la chiara metafora della condizione in cui
versa la maggior parte delle donne. Esse, secondo il lavoro di Beckett, sono
sepolte in casa, come Winnie nell’ammasso di terra ed il deserto che la
circonda nella finzione scenica, altro non è che la negazione, nella realtà, di
ogni forma di dialogo. Per questa
tematica il lavoro del celebre drammaturgo e poeta irlandese, Premio Nobel per
la letteratura nel 1969, è universale, è la denuncia della crisi dell’uomo,
della sua non presenza, della sua ormai assenza.
Immobilizzata
nella sabbia fino alla vita, nel primo tempo e al collo nel secondo, segno che
la sua condizione è peggiorata, Winnie, malgrado l’esistenza di palese
alienazione, considera i giorni che le si parano dinanzi “ felici”. Willie, il
marito con cui si confronta, è rintanato in un buco alle sue spalle, sì da non
poterlo guardare in viso e quando strisciando ne esce carponi è solo per
grugnire titoli di giornali. Il suono insistente di un campanello scandisce il
giorno ed annuncia la notte. Il parlare di Winnie, ridotto ormai ad un
soliloquio, è disseminato di comuni pensieri, di ricordi di buone maniere, di
vecchie abitudini, di citazioni di classici, ma anche di suono, quello tenero
di un carillon. A sostenere i suoi “giorni felici” è un’inimmaginabile borsa
nera, dalla quale attinge la forza, estraendo a poco a poco tutto ciò che le è utile
o inutile come specchio, pettine, lima per le unghie, spazzolino e dentifricio,
rossetto e cappellino e finanche una rivoltella che, una volta estratta dalla
borsa, tiene distrattamente accanto al frivolo ombrellino. Una sola volta,
marito e moglie si animano complici e canzonatori ed è quando scorgono una
formica di passaggio con un uovo bianco tra le zampine, che altro sottintende.
Una coppia alienata la loro ma che
sopravvive fino all’ultimo per la forza radicata di Winnie, che così afferma la
propria esistenza.
Il
lavoro, che è coinciso anche con l’inizio della nuova stagione teatrale 2013-2014, ha avuto in
Nicoletta Braschi, la capace interprete che ha saputo usare ad effetto, per
coprire la completa mancanza di movimento in scena, la voce, ora soave e lieve ed
ora stridula, sì da sottolineare i passaggi della sua condizione. La
recitazione, scarna, si è avvalsa del suo personale delicato e del sorriso
evocativo, così apprezzato, oltre che dal pubblico, dal primo cittadino e vice
ministro Vincenzo De Luca e dal Premio Oscar 1997, Roberto Benigni, entrambi presenti
in sala, di quest’ultimo si comprende l’entusiasmo, in scena c’era sua moglie.
Appena
fuori dal teatro, più volte ripetuta nella mente è la frase di Winnie: “ Né
peggio, né meglio, nessun cambiamento, nessun dolore, ed è già una gran cosa”.
Maria
Serritiello
www.lapilli.eu
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