L’ufficiale nazista aveva 100 anni
Il legale: lascia una video-intervista come testamento umano e politico
L’Anpi: «No a funerali spettacolo»
E’ morto a Roma l’ex capitano delle SS Erich Priebke, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine: il 29 luglio aveva compiuto 100 anni. A darne notizia è stato il legale ed amico («per me è stato come un padre», ha ammesso) Paolo Giachini, secondo cui Priebke è stato trovato privo di vita all’ora di pranzo sul divano dell’abitazione di via Cardinal San Felice, dove scontava i domiciliari dal ’98. «Da alcuni giorni non stava bene, alcuni medici lo seguivano - ha confermato Giachini - ma è stato lucido fino alla fine. L’ultima volta che l’ho sentito è stato ieri sera. È sicuramente morto di vecchiaia». Nessuna camera ardente, per lui «c’è un posto accanto alla salma della moglie», a Bariloche, in Argentina ma «è ancora un’ipotesi perché ci sono aspetti burocratici da affrontare».
Mai una parola di pentimento per il proprio passato, mai un’espressione di comprensione per le vittime o le loro famiglie: Priebke è rimasto fedele a se stesso, ed a quello che ha fatto. Lui e Kappler stavano percorrendo a piedi la breve strada che unisce Villa Wolkonski a Via Tasso, il 23 marzo 1944, quando seppero dell’attentato a Via Rasella. Hitler ordinò prima la distruzione di Testaccio e San Lorenzo, poi si optò per la rappresaglia del 10 a 1: dieci fucilati per ogni tedesco ucciso. A fare la lista, nel corso di una notte, fu Kappler. E alla fine sui camion diretti alle vecchie cave di tufo dell’Ardeatina finirono in 335, contro i 330 previsti. Tutti uccisi a gruppi di cinque.
La cattura e il doppio processo in Italia, solo mezzo secolo più tardi, a interrompere la «seconda vita» vissuta oltre oceano.
«Non riesco a provare né pietà né gioia, non mi viene né da piangere né da sorridere per la morte di quello che era un essere vivente, non un uomo», ha spiegato Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana. «Ora le sue vittime sono ad attenderlo lassu’ in cielo». «Non ha scontato in vita e mi rammarico che non si sia mai pentito», ha detto Piero Terracina, uno degli ultimi reduci italiani al lager di Auschwitz: «non gioisco della morte di nessuno, spero che faccia i conti nella sede opportuna». Per Marcello Pezzetti, storico e direttore della Fondazione del Museo della Shoah di Roma, «non è morto nessuno! Priebke è nessuno. Il mio pensiero va a quelli che sono morti uccisi da lui».
«Rispettiamo la persona di fronte alla morte ma non possiamo dimenticare le vittime delle fosse Ardeatine. Erich Priebke è stato un criminale, al servizio di una dittatura sanguinaria», ha sottolineato Carlo Smuraglia, presidente dell’Anpi. «Da bravo avvocato rispettoso dei principi costituzionali - ha ricordato Bruno Andreozzi, che nel processo per l’eccidio difendeva l’Unione delle Comunità Ebraiche e la figlia di una vittima - sono sempre stato contrario alla pena dell’ergastolo. Quando ho concluso la mia arringa come parte civile nel processo contro Priebke, dissi al tribunale che `finché c’è l’ergastolo uno che merita di sopportarlo è proprio questo imputato».
E mentre la notizia della scomparsa del «boia» trova spazio anche sui siti esteri, suscita sconcerto l’ultima intervista «autografata» dallo stesso Priebke, risalente ai giorni dell’ultimo compleanno, in cui l’ufficiale rivendica «la fedeltà al proprio passato e nega l’esistenza stessa delle camere a gas: «non si sono mai trovate, salvo quella costruita a guerra finita dagli americani a Dachau». Una sorta di impressionante testamento politico, in cui si straparla di una «verità storica» manipolata dai «vincitori del secondo conflitto mondiale», che «avevano interesse a che non si dovesse chiedere conto dei loro crimini».
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