Fonte:www.lapilli.eu
Il
14 settembre scorso, a Buccino, nella chiesa di Sant’Antonio Abate, Claudio
Lardo, attore salernitano di teatro e cinema, ha presentato “Il pallone di
pezza”, un intenso monologo teatrale,
tratto da un episodio descritto da Enzo Landolfi, nel libro “Vite in gioco”. Claudio
Lardo, coadiuvato nella stesura, da Josè Elia e Giampiero Moncada e dalla regia
di Vito Cesaro, ha portato in scena il tragico
episodio che ebbe come protagonisti 14 innocenti bambini, in occasione
dei 70 anni dal bombardamento alleato del ’43, avvenuto nel paese.
Aveva
12 anni la piccola Maria, quel 16 settembre del ’43 e se ne stava affacciata
alla finestra, tralasciando per poco i pensieri foschi e la paura. Sotto di
lei, nella piazza polverosa del suo paese, 14 ragazzi, tra cui il fratellino
Antonio di 10 anni, divisi in 2 squadre, giocavano a pallone con una sfera di
pezza. Quel giorno era un giorno di guerra e di lì a poco la giornata avrebbe
mostrato tutta la sua ferocia. Nel frattempo ai ragazzi, di giocare era
sembrata l’azione più naturale, l’attività più compatibile per la loro età, la
sola che li avrebbe allontanati, per qualche ora, dai rumori vigliacchi della
guerra, dalla miseria della fame e dalla paura folle di ogni allarme, quando
abbandonata la propria casa, ci si doveva infognare nei rifugi. Nella Piazza
San Vito di Buccino, questo il paese, a circa 60 km da Salerno, quel giorno
si sentivano, solo le grida spensierate dei fanciulli che rincorrevano il
pallone, tentando di vincere ognuno la partita, padroni com’erano dello spazio,
gli uomini, infatti, erano al fronte a combattere, mentre le donne e i vecchi, nel
paese, a tentare di mandare avanti la vita.
Sta
di fatto che il 16 settembre del 43’
non era sorto come un buon giorno o per lo meno non come un giorno di guerra
uguale ad altri. Maria, intanto,
guardava i giovani amichetti e sorrideva gioiosa di felicità riflessa per la
giocosità del fratellino,che nella piazza si faceva valere, calciando il
pallone, ricavato da pezze di fortuna, tenute unite dallo spago. Un fagotto
rotondo di panno floscio per l’ultima loro felicità. La fine venne improvvisa dal cielo,
annunciata maligna dal rombo di un aereo che, senza imbarazzo, oscurò per
sempre quel lembo d’azzurro. Il gioco s’interruppe di scatto, ma fiduciosi i
ragazzi rivoltarono 14 teste in su, la
mano sulla fronte a filtrare il sole,
per meglio seguire il volo. Ah, l’innocenza dei fanciulli di
quell’epoca! Ed ecco che sui loro capi, si abbatterono precise raffiche di
fuoco, falciandoli tutti.
Il
rombo si allontana osceno, soddisfatto per l’azione compiuta, si è in guerra e
non vi è cura di sapere chi fossero le
vittime.
Ora
sulla piazza muta e segnata dal lutto, 14 corpi sono i testimoni, nel dolore di
chi li piange tutt’ora, dell’orrore della guerra, mentre la partita di pallone
metafora di una vita semplice, il materiale della sfera ce la rivela, si è
conclusa senza mai iniziare .
Maria
impietrita si ritira dietro ai vetri, chiude ermeticamente la finestra e con
essa per sempre nel suo cuore il ricordo, corre fuori sprezzante del pericolo e
si lancia nella Piazza San Vito per soccorrere le vittime della feroce
sventagliata, sul selciato, in una pozza di sangue giace, tra gli altri, il
piccolo Antonio, suo fratello, con ancora stampato sulle labbra il sorriso
innocente di chi si fida, di chi la morte non riesce proprio a capirla.
Dell’accaduto,
nel paese, restano le memorie sfocate dagli anni dei superstiti, testimoni
oculari dell’orrore di quella giornata, sicché il monologo di Claudio
Lardo è giunto opportuno a rendere giustizia a disseppellire la storia
dimenticata dei 14 ragazzi di cui pochi ricordano il nome: Gerardo, Giuseppe,
Ettore, Adolfo, Gerardo2°, Ferdinando, Giuseppe 2°, Francesco, Cosimo, Armando,
Antonio, Gerardo 3°, Ercole, Giuseppe 3° e a cui nessun riconoscimento come
vittime civili di guerra. Grande la commozione tra i presenti per l’eccezionale
interpretazione del bravissimo attore.
A
Maria Cipriani, la giovane fanciulla affacciata alla finestra in quell’infausto
giorno, oggi una dolcissima signora di 83 anni, chiedo come le è stato
possibile convivere con quell’atrocità
nella mente e se le era stato concesso perdonare chi le aveva strappato il fratellino. “In effetti” mi dice
“non si dimentica mai, si sopravvive, questo si, anche perché si crede in
un’altra vita. Mia madre è andata avanti
perché c'erano gli altri figli, ma senza sorriso e per tanti, tanti anni. No,
non si dimentica e non si perdona il fuoco amico. L'orrore di quella guerra non ha eguali, ma
l'umanità non ha imparato nulla da quel dolore”.
Maria Serritiello
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