Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Si sa, la vanità è donna e
non vi rinuncia neanche Ianara, una lazzara di razza pura, che si appresta a
cucinare un povero giacobino prigioniero, trattenuto nella sua misera casa. Ricoperta
di stracci che fungono da vestiti, scigliata e furiosa, si esprime, infatti,
con rabbia e con toni che polverizzerebbero qualsiasi corda vocale, la sua no (brava
l'attrice), per tutto il tempo dell’ora di rappresentazione.
La lingua, un dialetto
stretto, con parole perse nel tempo, ma che hanno una musicalità
incontrovertibile. La pièce gira tutt'attorno, non al dover trovare un
pentolone di proporzione esagerata, dove far affogare il prigioniero e dare,
così, al libero sfogo al cannibalismo, praticato da tutti i componenti della
famiglia, come fatto usuale, ma all'insoddisfazione della donna per il suo
stato di soggezione a quel marito che di umano ha solo la fisicità. Abbrutita
da una vita scadente, oltre misura, da gravidanze, cinque, sopportate suo
malgrado, ingabbiata da una da fatica giornaliera dell’ordine la casa, della
cucina, del lavaggio dei panni e dell’accudimento dei suoi chiassosi ed
ineducati figli, ha qualche sogno inespresso, eh sì, quando passa dinanzi al
piccolo specchio, appeso al muro, inspiegabilmente, del suo tugurio. Intanto il
povero giacobino, legato, imbavagliato attende la sorte malevole che gli tocca,
incassando calci e pugni dalla donna che non riesce a trovare un recipiente
adatto per la sua cottura, anzi lamenta che è troppo massiccio e che tirargli
il collo le fa specie.
Intanto, la cultura e le
buone maniere, lavorano, in prima battuta tutto a vantaggio del giacobino, che su
di esse pensa di fondere la salvezza. Forse è anche questo il messaggio tra le
righe dell’autore, che la conoscenza batte la forza bruta
dell’ignoranza, malgrado come va a finire la rappresentazione. Saldamente resto
attaccata a quest’ idea (N.D.R.) che rende accettabile questa pièce, abbastanza
inconsistente, che si rafforza solo quando Ianara racconta la favola di “Ficuciello”,
attingendo con disinvoltura alla tradizione orale, in lingua dialettale, a
lui che si finge bambino tutt’orecchie per
ingannarla. Il baciamano, poi, che porge alla donna, ormai convinta di aver
abbattute le distanze sociali in sol colpo, è l’inganno che meglio gli sia
riuscito, ma non gli rende salva la vita.
“Il Baciamano” portato in
scena dal GA D di Pistoia, per la prima volta all’XS di Salerno,
con i due interpreti: Lucia Del Gatto e Gennaro Criscuolo, il secondo
anche regista dello spettacolo, hanno reso efficace l’esibizione, coadiuvato
dai suoni scelti da Marina Criscuolo e dalla scena e costumi curati
dallo stesso GAD. Eccezionale Lucia Del Gatto ad aver prestato
quanto fiato avesse in corpo e tutte le sfaccettature della sua gola, per dare
vita ad una Ianara che più lazzara di così non si poteva impersonare. Discreto
quanto disinvolto il giacobino, una figura posto proprio per dare lustro al
baciamano della sguaiata popolana. Quanto al dialetto, così perfetto, usato
senza alcuna inflessione toscana, se ne capisce la ragione, la Ianara in
questione è nativa di Torre del Greco.
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
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