Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
A preannunziare l'arrivo
di Maurizio de Giovanni, una
brevissima considerazione-aneddoto nei riguardi dell'ospite per eccellenza della
prima giornata del “SalerNoir Festival le
Notti di Barliario” 2017, da parte dello scrittore abruzzese Romano De Marco, che lo ha preceduto
nella presentazione del suo libro. De Marco, spontaneamente, ha voluto focalizzare
un tratto della personalità dello stesso, di certo meno e poco conosciuto, che
si identifica nella sua bontà d'animo e nella sua disponibilità di venire in
aiuto a chi si trova a disagio e che si estrinseca, spesso, in modo anonimo e
sempre con empatia e spontaneità. Davvero un bel gesto essendone stato lui
stesso il diretto interessato, ma fa talmente parte del personaggio che, quasi
commosso, ha ritenuto di doverlo fare. Plauso alla sua onestà e tanto più alla
dote di de Giovanni.
Quando appare nella capiente
sala del Museo Diocesano di Salerno, riempita come un uovo dai fan, l’applauso
scrosciante si è fatto sentire corposo e prolungato e lui non si sottrae
all'abbraccio ed all'affetto dei suoi fan salernitani che, all’inizio della sua
avventura di scrittore, superavano di gran lunga quelli di Napoli. Nessuna
meraviglia se tutti erano là per lui, l’autore di tanti libri di successo, del
commissario Ricciardi, che opera in una Napoli degli anni trenta e del
commissario Loiacono, quello dei Bastardi di Pizzofalcone, entrato in tutte le
case italiane, attraverso la serie televisiva di Rai 1. Al tavolo, a riceverlo,
lo scrittore salernitano Diego De Silva,
altra gloria del patrimonio letterario internazionale, amico fraterno e
profondo conoscitore del personaggio e della sua scrittura, nonché acuto e
lucido esperto della letteratura contemporanea. Sarà perché predilige il Maurizio
de Giovanni dei Bastardi di Pizzofalcone,
sarà perché la sua capacità di offrire dall'interno di scrittore, una
prospettiva molto più efficace e precisa, vicina alla realtà dell'animo
dell'autore, certo è che la sua lettura dell'opera “de Giovanniana”
rimarrà nella mente dei molti spettatori, che affollavano la sala, come una
delle più dilettevoli “Lectio magistralis” ascoltate. E se lo scopo della
letteratura è migliorare la conoscenza delle cose del mondo, lui ha fatto
conoscere, come meglio non si può, il mondo e la bravura di de Giovanni. Con
aria pacata, la voce bassa, quasi sussurrata, Diego de Silva ha posto l’accento sulla sua capacità di amore verso
i propri personaggi, il suo attaccamento alla città di Napoli, la sua capacità
di plasmare e far apprezzare come esseri veri e autentici i personaggi, sia pure
nelle loro manifeste ed esibite imperfezioni, nella sua capacità di saper
comunque e sempre riannodare i fili di un flusso continuamente cangiante, nato
dai personaggi stessi e nella sua
infinita pazienza nel tenere a bada il cavallo focoso e bizzarro della sua
Napoli. Senza farsi mai prendere la mano dalla stessa città, usando la sua arte
sopraffina, per glissare su aspetti spinosi e abbandonandosi a liriche,
cromatiche, digressioni paesaggistiche, mai fini a se stesse, ma vergate da un
amore sconfinato per la sua terra e da una attenta disamina delle mutate
condizioni mentali e sociali di quel mondo, che tanto gli sta a cuore. Tutto
ciò, espresso da Diego de Silva, con un linguaggio puntuale, preciso, fluido, rigoroso
e perché no, carico di tanto sapere letterario. Ne è venuta fuori una
prospettiva di certo diversa e benefica per tutti, ma non per questo complicata
o astrusa, anzi, asciutta, stringata, esclusiva, interessante e precisa, gettando
nuova e più obiettiva luce sull'opera di De Giovanni. E’ riuscito, inoltre, con
l’erudizione che lo contraddistingue, a focalizzare la mente degli spettatori
sulla difficoltà che comporta non solo lo scrivere, ma anche l’elaborare bene
un romanzo, qualunque sia il suo genere e quali siano le asperità e le fatiche
che, strada facendo, s’ incontrano, ancora di più se il libro e il suo autore,
hanno volontà di uscire dalle sicurezze di un orticello, grande quanto il
proprio condominio, e proporsi ad un pubblico più sofisticato e cosmopolita.
Maurizio
De Giovanni ascolta sorridendo l’amico, contento di essere
a Salerno e tra persone che lo ritengono un proprio patrimonio personale.
Ringrazia, poi, de Silva, accanito
lettore dei suoi libri e cita quella parte del “Giovane Holden”, nel quale si
dice che chi legge l’autore preferito amerebbe conoscerlo di persona e
chiamarlo ogni volta che se ne ha il desiderio, bene a lui è concesso. E’ ben
felice, inoltre, di presentare a Salerno i suoi “bastardi”, mai mostrati prima e
di parlare di alcuni punti in cui è stato in disaccordo con la produzione Rai. Quando
ha iniziato a scrivere di “Ricciardi” ad un certo punto il personaggio gli è
sfuggito di mano e lui lo ha rincorso per tre anni, in effetti era il
commissario a scrivere di se stesso. I “bastardi”, invece gli sono capitati per
caso, usciti dalla sua creatività difettati, avendo due gravi problemi, l’uno è
che ognuno di loro ha compiuto un qualcosa che non andava fatto, spezzandosi la
carriera, l’altra è il giudizio severo dello specchio, in cui ogni mattina i
bastardi si riflettono e con il quale devono fare i conti. La faccia che si
porta in giro non è la stessa che rimanda la superficie luminescente, la
mattina, i difetti sono visibili per quelli che sono e non trovano
giustificazione. A Maurizio i “Bastardi” piacciono molto, perché sono delle
persone normali, che vanno guardati senza pietismo, ma accettati senza un
severo giudizio, tanto a condannarsi ci pensano loro. Quello stare insieme,
mano a mano, riesce a farli riappropriare dell’onorabilità perduta e del
desiderio di fare squadra, sia in senso lavorativo che amicale. Maurizio è un
grande affabulatore, l’arte della parola è cosa facile per lui, sicché tutti i
personaggi si presentano ad uno ad uno, da lui descritti, visibilmente nella
sala del Museo Diocesano ed anche la Napoli con luci ed ombre e situazioni
diverse, è prepotentemente esibita. Ma
l’acme tra il pubblico, un solo sguardo, un solo respiro e uniche emozioni in
circolo, si raggiunge, quando, come ogni volta, lasciando il podio, che fra
poco lo vedrà vincitore del primo premio del “SalerNoir Festival le Notti di Barliario” 2017, legge, da
interprete, un pezzo del suo romanzo. La voce è bassa, raccolta, ovattata, con
le giuste pause, i toni opportuni e la musicalità del verso che incanta, quando
pronuncia “Ciao amore sono a casa”. Silenzio, ad occhi bassi, entra nel
personaggio, concentrandosi per alcuni secondi sul testo che leggerà tra poco.
Ed eccole le parole amorose, sincere, semplici, dette e ridette a sua moglie, per
oltre trent’anni, al suo rientro dal servizio, riponendo le chiavi
all’ingresso. Va avanti Maurizio con l’impeto di chi quella creatura l’ha
creata e la offre in dono ai suoi lettori, cosicché ognuno, rientrando a casa possa
portare nel suo immaginario, oltre alla più bella dichiarazione d’amore, con tutte
le varianti sul tema “Ciao amore sono a
casa”, anche la voce dello scrittore. La standing ovation che ne segue, per
te, Maurizio, ci sta tutta.
Maria Serritiello
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