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mercoledì 9 marzo 2016

“Radio Aut. La voce di Peppino Impastato” di Pierpaolo Saraceno II° spettacolo dell’VIII Festival Teatro XS, Città di Salerno

 
Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello

E’ “Radio Aut. La voce di Peppino Impastato” di Pierpaolo Saraceno, della Compagnia Onirika del sud di Augusta (SR), la seconda rappresentazione dell’VIII Festival Teatro XS, Città di Salerno, spettacolo, evocativo, vigoroso, intenso che commuove e coinvolge il pubblico in sala. Pierpaolo Saraceno, in un crescendo di parole gridate con l’energia giusta, trascina e con impeto, per un’ora e mezza, nella vita del giovane Impastato.
Ciò che bisogna sapere a monte per comprendere a pieno lo spettacolo è che Peppino aveva avuta la disgrazia di essere nato in una famiglia di mammasantissima, suo padre, infatti, era il cognato del capo mafia, Cesare Manzella, e di non condividere la loro vita scellerata. Lui è diverso, non sopporta le ingiustizie e si dà da fare per opporsi a quella maniera di vivere. Ciò che ne guadagna è la cacciata di casa dal padre. Rotto ormai con la famiglia, avvia un'attività politico-culturale anti mafiosa, attraverso Radio Aut, una radio libera, da lui fondata nel 1977, a Terrasini, in provincia di Palermo e ricevibile sulla frequenza di 98.800 MHz, con la quale sberleffa il capo Tano Badalamenti.
Ed eccolo Peppino, come i flashback dello spettacolo ce lo restituiscono, indignato, inasprito, irridente e combattivo, arringare duramente il “Tano Seduto” di Mafiopoli, che altro non è il boss Tano Badalamenti, distante dalla sua casa, di cento passi. La scena è nera, come il presagio della mamma, prima che lo spettacolo finisca ci sarà una mattanza, ma lui deve spiattellare la verità, deve superare a tutti i costi il muro omertoso, la sua Sicilia merita questo sforzo. Ha appena trent’anni, il coraggio non gli manca, la giovinezza pure per dare inizio alla campagna denigratoria nei confronti del super boss. Spera che la sua onesta intenzione possa essere capita, desidera coinvolgere la sua gente, crede, ingenuamente, che se si conoscono le malefatte è più facile ribellarsi e spezzare la catena del silenzio. Non è così, o meglio non sarà possibile con lui in vita, dovranno accompagnarglisi, nel sacrificio cruento, ancora tante anime cristalline: Don Puglisi, Don Diana, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tante morti di uomini eccellenti, perché si abbia la coscienza sociale del problema, la lotta dal basso e popolare, ancora un mito. Per combattere il malefico bubbone, come lui ha fatto, occorrerebbe l’istrionismo spavaldo di una giovinezza incosciente, votato alla lotta oltre ogni limite, per l’appunto, lui, Peppino Impastato.
La riduzione teatrale, ad opera di Pierpaolo Saraceno, che ne è l’interprete ed il regista, ci restituiscono fedelmente, anche per merito dell’accurata ricerca dei documenti originali, la figura di Peppino Impastato, con la sua voglia ardente di dare la spallata al potere becero e greve.
L’opera risulta toccante, coinvolgente in maniera esponenziale, se ne conosce il finale, quasi viene voglia, lui in scena, di metterlo in guardia, raccomandarlo di non andare oltre, come fa sua madre e con le sue stesse parole “Peppino sta attento. Peppino tu non lo puoi fare. Peppino tu lo sai a quale famiglia appartieni”.
Molto intensa l’interpretazione di Pierpaolo Saraceno, non molto alto, capelli fulvi, testa leonina, un curriculum professionale di rispetto, che con sprezzo, accompagnato dalla mimica facciale del disgusto ci lancia contro che la mafia è una montagna di merda. E lo è, ne siamo tutti convinti ma pochi hanno il coraggio di dichiararlo così apertamente.
 E’ il 9 maggio del 1978 quando a Cinisi, Peppino Impastato a 30 anni muore dilaniato dall’esplosione di una carica di tritolo posta sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia.
Toccante, nella trasposizione scenica, la sua morte, annunciata dal suo vociare divenuto man mano sempre più flebile e dal canto accorato, accompagnato dalla chitarra “Amara terra mia” di quel mostro passionale di Domenico Modugno e che Pierpaolo canta, agnello sacrificale, con le lacrime. Relegata in un angolo della scena, la madre, Mariapaola Tedesco, che di tanto in tanto ha spezzato il ritmo della rappresentazione, avvolta in uno scialle nero, il volto dolcissimo, una madonnina impallidita dal dolore, veglia impotente sul sacrificio del figlio, che di lì a poco si compirà. Espressione giusta, voce immalinconita dal presagio e la dolenza delle varie pietà raffigurate nella storia dell’arte, questa è Mariapaola Tedesco. Interprete eccezionale, Pierpaolo Saraceno, lui Peppino Impastato se l’è studiato bene, lo sente nelle sue corde più profonde e lo porge magnificamente a noi, amplificato dalla la musicalità del dialetto che rende tutto più viscerale. Forse, data la giovane età, lo ha preso anche come modello di riferimento se, come lui stesso dice, ad ogni fine rappresentazione, lo spettacolo lo dedica a tutte le vittime dell’ingiusta mafia. Il leitmotiv, più volte ripetuto, all’interno ed a conclusione del pezzo, “Facciamo finta che”, di Ombretta Colli, ci dice che di Peppino Impastato ce ne vorranno tanti e non solo ad uno affidare la lotta.
 
Maria Serritiello
 
 
 


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