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martedì 15 aprile 2014

“Copenaghen” della Compagnia della Betulla” di Nave (BS) per il quarto appuntamento del Festival Teatro XS, Salerno


Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Nemmeno questa volta la “Compagnia della Betulla” di Nave (BS), diretta da Bruno Frusca, abituale presenza al “Genovesi”, ha scelto un testo facile, per il quarto appuntamento, del VI Festival Nazionale Teatro XS, Salerno. Ed infatti “Copenaghen”, il dramma scientifico, presentato lo scorso 23 marzo, è di forte impatto culturale. L’autore Michael Frayn,  un londinese del ’33, con questo pezzo è al  suo tredicesimo scritto teatrale, oltre a tutte le diverse sue composizioni.

Autunno 1941, la Danimarca è occupata dall'esercito nazista, quando il fisico Werner Heisenberg, a capo del progetto nucleare tedesco, fa visita al suo antico maestro, il danese Niels Bohr. Quale fu l’argomento della conversazione, tra i due studiosi, resta ancora un mistero, oggetto tuttora di dibattito, intorno al quale Michael Frayn congegna un raffinato lavoro teatrale. Il pregio dello scrittore sta nell’aver coniugato, in modo equo, l’inevitabile erudizione dell’argomento, trattasi della bomba atomica,  con gli ingredienti propri della drammaturgia.

Ottant’otto minuti, una scena oscura, 5 sediolini sparsi qua e là, una lavagna su cui sono fissate formule scientifiche ed un dialogo nella sua interezza di difficile comprensione è ciò che è i tre attori della Betulla hanno avuto a disposizione  per  attrarre l’attenzione ed  affascinare il pubblico del Genovesi, il quale, in verità, ha osservato un silenzio reverenziale, per non perdere  nessun passaggio della storia.

Niels Bohr,  per metà ebreo,  matematico, filosofo della scienza e teorico della fisica, vive a Copenaghen con la fedele moglie Margreth, al momento della rappresentazione teatrale, loro due, ma anche l’allievo prediletto, sono già morti. Si, tutti e tre defunti e così la storia, per essere compresa, prende il via da un episodio trascorso e cioè quando l’ex allievo li raggiunge nella loro casa. La venuta nella città danese da Berlino di Werner Heisenberg, uno scopo ce l’ha, ma non si palesa mai. L’ex allievo, con il maestro, non gioca a carte scoperte, forse lo fa solo quando, allontanandosi per una passeggiata fittizia, confiderà a Bohr il vero motivo della visita, lasciando sua moglie  Margreth ed il  pubblico all’oscuro, fino alla fine. La conversazione colta, quella palese per intendere,  a cui  il pubblico assiste, non squarcia nessuna verità e nulla aggiunge a quanto già si sa sui due scienziati, ma serve a  dialettalizzare sulle proprie scoperte, quella  del “Principio di Complementarità” che portò Niels Bohr, a vincere, nel ’22, il Premio Nobel ed al “Principio di Indeterminazione” di Werner Heisenberg, con il quale, 10 anni dopo al suo maestro, nel ’32, vinse il Nobel per la fisica. Sia quello di complementarità che di indeterminazione, sono  stati i pilastri portanti della grande interpretazione della meccanica quantistica, detta appunto di “Copenaghen”, attaccata da Albert Einstein. Da parte sua lo scienziato non credeva in una natura probabilistica, ma  un sistema perfettamente ordinato di leggi naturali, semplici e deterministiche.

Se per tutte le nozioni erudite, rimandate  in scena, si pensa di assistere  ad una dotta lezione di cervelloni o ad uno sfoggio di formule oscure, astruse, si è in errore, il dialogo creato dall’autore ha una leggerezza sì sorprendente da rendere comprensibile e piacevole  tutto ciò che i due scienziati  si dicono. Sta proprio nell’intendere i fatti, non propriamente conosciuti dai più, il vero fascino di questa ricercata rappresentazione. In aggiunta, poi, vi è anche il dramma umano, quello di un’amicizia che si tronca, di una collaborazione scientifica non più possibile, della diversità di nascita, l’uno ebreo, l’altro ariano e  del senso di colpa di entrambi o forse di uno, nel sapere che il futuro degli altri può stare  nelle proprie mani.

Cophenaghen e di colpo eccomi qua che scendo dal treno, proveniente da Berlino” principia Werner Heisenberg, apparendo in scena dove ad attenderlo c’è il maestro Bohr, contraria alla sua visita, invece, per intuito tutto femminile, la moglie Margarth, che non si spiega la ragione di quell’incontro “ nella borsa” continua” ho il testo della lezione che devo tenere, nella  mente ho un’altra comunicazione che deve essere consegnata, la lezione è sull’astrofisica, il testo nella mia mente è più difficile…

L’allievo più bravo di Bohr, lo si intuisce, è venuto appositamente a Copenaghen per invitarlo a collaborare al  programma nucleare tedesco, il progetto del regime nazista, finalizzato alla costruzione della bomba atomica. Heisenberg  da  due anni è alla testa del programma, la conferenza da tenere nella città danese  è solo una copertura.

 “Copenaghen” di Michael Frayn  al Teatro “Genovesi” viene rappresentato priva di orpelli, neanche la musica lo accompagna, in scena nessuna distrazione, laddove si rappresenta la lotta tra la scienza e la coscienza, tra il  bene ed il male, tra la salvezza  ed il potere. C’è vuoto intorno, quasi a voler  rappresentare  quello interiore, quello  che ha invaso, ad un certo punto, i personaggi, specchio della società. Gli anni bui nei quali sono costretti a vivere hanno cambiato le loro vite e sebbene il nazismo non appaia nella sua crudezza, come viene ogni volta figurato, alita intorno, fiatando sul collo dei tre, nelle loro parole monche, attente  e guardinghe. Di ricordi in comune ne hanno tanti, provano anche a raccontarseli ma si sfaldano per la diffidenza e si accantonano senza più rimpianto.

Le caratterizzazioni dei tre personaggi risultano perfette, nessun trucco,  semplicità di costumi, solo piccoli particolari per tracciarne l’epoca: la gonna grigia a ruota di Margreth, il pullover  verde militare, ma anche gli occhialini spessi e tondi da miope o il nodo scappino della  cravatta di Bohr, i capelli folti, aggrovigliati di Heisenberg ed ancora le mani intrecciate dietro la schiena dell’uno, mentre ascolta  il dire dell’altro, la collana di perle ed i capelli raccolti sulla nuca, la sobria eleganza di Margreth. Piccolezze volute per l’allestimento, nulla è affidato al caso e che  fanno di “Copenaghen” uno spettacolo di grande pregio. L’attenta e curata regia di Bruno Frusca, solo lui è capace di scegliere pezzi così poco popolari e non è la prima volta, tramutandoli in capolavori, ha   fatto  la differenza. Eccezionale la bravura di Luca Bassi Andreasi (Niels Bohr), Andrea Albertini (Werner Heisenberg) e Ester Liberini (Margreth), oltre che per l’ottima recitazione, sopratutto per la straordinaria  memoria impiegata nel ricordare un testo di così smisurata  difficoltà.

Nel febbraio 2002, da un lettera di Bohr ad Heisenberg, del 1957, mai spedita, si apprende che, nella  conversazione  del ’41,  Heisenberg non si era posto nessun problema morale a riguardo il progetto di costruzione della bomba, anzi aveva convinzione che l’ordigno mortale avrebbe deciso l'esito della guerra in favore della Germania nazista.

Divulgare è conoscenza, così per “Copenaghen”, grande rispetto per la scelta della Compagnia della Betulla di Nave.(ndr)

Maria Serritiello
www.lapilli.eu





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