Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Nemmeno
questa volta la “Compagnia della Betulla” di Nave (BS), diretta da Bruno Frusca,
abituale presenza al “Genovesi”, ha scelto un testo facile, per il quarto
appuntamento, del VI Festival Nazionale Teatro XS, Salerno. Ed infatti “Copenaghen”,
il dramma scientifico, presentato lo scorso 23 marzo, è di forte impatto
culturale. L’autore Michael Frayn, un londinese
del ’33, con questo pezzo è al suo tredicesimo
scritto teatrale, oltre a tutte le diverse sue composizioni.
Autunno
1941, la Danimarca
è occupata dall'esercito nazista, quando il fisico Werner Heisenberg, a capo
del progetto nucleare tedesco, fa visita al suo antico maestro, il danese Niels
Bohr. Quale fu l’argomento della conversazione, tra i due studiosi, resta
ancora un mistero, oggetto tuttora di dibattito, intorno al quale Michael Frayn
congegna un raffinato lavoro teatrale. Il pregio dello scrittore sta nell’aver coniugato,
in modo equo, l’inevitabile erudizione dell’argomento, trattasi della bomba
atomica, con gli ingredienti propri
della drammaturgia.
Ottant’otto
minuti, una scena oscura, 5 sediolini sparsi qua e là, una lavagna su cui sono
fissate formule scientifiche ed un dialogo nella sua interezza di difficile
comprensione è ciò che è i tre attori della Betulla hanno avuto a disposizione per attrarre l’attenzione ed affascinare il pubblico del Genovesi, il quale,
in verità, ha osservato un silenzio reverenziale, per non perdere nessun passaggio della storia.
Niels
Bohr, per metà ebreo, matematico,
filosofo della scienza e teorico della fisica, vive a Copenaghen con la fedele
moglie Margreth, al momento della rappresentazione teatrale, loro due, ma anche
l’allievo prediletto, sono già morti. Si, tutti e tre defunti e così la storia,
per essere compresa, prende il via da un episodio trascorso e cioè quando l’ex
allievo li raggiunge nella loro casa. La venuta nella città danese da Berlino di
Werner Heisenberg, uno scopo ce l’ha, ma non si palesa mai. L’ex allievo, con
il maestro, non gioca a carte scoperte, forse lo fa solo quando, allontanandosi
per una passeggiata fittizia, confiderà a Bohr il vero motivo della visita,
lasciando sua moglie Margreth ed il pubblico all’oscuro, fino alla fine. La conversazione
colta, quella palese per intendere, a
cui il pubblico assiste, non squarcia
nessuna verità e nulla aggiunge a quanto già si sa sui due scienziati, ma serve
a dialettalizzare sulle proprie scoperte,
quella del “Principio di Complementarità”
che portò Niels Bohr, a vincere, nel ’22, il Premio Nobel ed al “Principio di
Indeterminazione” di Werner Heisenberg, con il quale, 10 anni dopo al suo
maestro, nel ’32, vinse il Nobel per la fisica. Sia quello di complementarità che
di indeterminazione, sono stati i
pilastri portanti della grande interpretazione della meccanica quantistica, detta
appunto di “Copenaghen”, attaccata da Albert Einstein. Da parte sua lo
scienziato non credeva in una natura probabilistica, ma un sistema perfettamente ordinato di leggi
naturali, semplici e deterministiche.
Se
per tutte le nozioni erudite, rimandate in
scena, si pensa di assistere ad una
dotta lezione di cervelloni o ad uno sfoggio di formule oscure, astruse, si è
in errore, il dialogo creato dall’autore ha una leggerezza sì sorprendente da rendere
comprensibile e piacevole tutto ciò che i
due scienziati si dicono. Sta proprio
nell’intendere i fatti, non propriamente conosciuti dai più, il vero fascino di
questa ricercata rappresentazione. In aggiunta, poi, vi è anche il dramma
umano, quello di un’amicizia che si tronca, di una collaborazione scientifica
non più possibile, della diversità di nascita, l’uno ebreo, l’altro ariano
e del senso di colpa di entrambi o forse
di uno, nel sapere che il futuro degli altri può stare nelle proprie mani.
“ Cophenaghen e di colpo eccomi qua che scendo
dal treno, proveniente da Berlino” principia Werner Heisenberg, apparendo
in scena dove ad attenderlo c’è il maestro Bohr, contraria alla sua visita,
invece, per intuito tutto femminile, la moglie Margarth, che non si spiega la
ragione di quell’incontro “ nella borsa”
continua” ho il testo della lezione che
devo tenere, nella mente ho un’altra
comunicazione che deve essere consegnata, la lezione è sull’astrofisica, il testo
nella mia mente è più difficile…”
L’allievo
più bravo di Bohr, lo si intuisce, è venuto appositamente a Copenaghen per
invitarlo a collaborare al programma
nucleare tedesco, il progetto del regime nazista, finalizzato alla costruzione
della bomba atomica. Heisenberg da due anni è alla testa del programma, la
conferenza da tenere nella città danese è
solo una copertura.
“Copenaghen” di Michael Frayn al Teatro “Genovesi” viene rappresentato priva
di orpelli, neanche la musica lo accompagna, in scena nessuna distrazione, laddove
si rappresenta la lotta tra la scienza e la coscienza, tra il bene ed il male, tra la salvezza ed il potere. C’è vuoto intorno, quasi a
voler rappresentare quello interiore, quello che ha invaso, ad un certo punto, i personaggi,
specchio della società. Gli anni bui nei quali sono costretti a vivere hanno
cambiato le loro vite e sebbene il nazismo non appaia nella sua crudezza, come
viene ogni volta figurato, alita intorno, fiatando sul collo dei tre, nelle
loro parole monche, attente e guardinghe.
Di ricordi in comune ne hanno tanti, provano anche a raccontarseli ma si
sfaldano per la diffidenza e si accantonano senza più rimpianto.
Le
caratterizzazioni dei tre personaggi risultano perfette, nessun trucco, semplicità di costumi, solo piccoli
particolari per tracciarne l’epoca: la gonna grigia a ruota di Margreth, il
pullover verde militare, ma anche gli occhialini
spessi e tondi da miope o il nodo scappino della cravatta di Bohr, i capelli folti,
aggrovigliati di Heisenberg ed ancora le mani intrecciate dietro la schiena
dell’uno, mentre ascolta il dire dell’altro,
la collana di perle ed i capelli raccolti sulla nuca, la sobria eleganza di Margreth.
Piccolezze volute per l’allestimento, nulla è affidato al caso e che fanno di “Copenaghen” uno spettacolo di grande
pregio. L’attenta e curata regia di Bruno Frusca, solo lui è capace di
scegliere pezzi così poco popolari e non è la prima volta, tramutandoli in capolavori,
ha fatto la differenza. Eccezionale la bravura di Luca
Bassi Andreasi (Niels Bohr), Andrea Albertini (Werner Heisenberg) e Ester
Liberini (Margreth), oltre che per l’ottima recitazione, sopratutto per la
straordinaria memoria impiegata nel ricordare
un testo di così smisurata difficoltà.
Nel
febbraio 2002, da un lettera di Bohr ad Heisenberg, del 1957, mai spedita, si
apprende che, nella conversazione del ’41, Heisenberg non si era posto nessun problema
morale a riguardo il progetto di costruzione della bomba, anzi aveva
convinzione che l’ordigno mortale avrebbe deciso l'esito della guerra in favore
della Germania nazista.
Divulgare
è conoscenza, così per “Copenaghen”, grande rispetto per la scelta della
Compagnia della Betulla di Nave.(ndr)
Maria
Serritiello
www.lapilli.eu
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