Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Già al suo apparire, alto, cappello a larghe falde calato sulla testa, bisaccia in spalle ed andatura sicura, risulta un personaggio ostile. In effetti gli basta poco per scompaginare la quiete vita, sebbene poco appagante, delle tre donne che abitano la deserta isola. Esteticamente bella la scena di Luca Capogrosso, come anche la locandina, che ne annuncia lo spettacolo, è costruita in modo da fare entrare d’impeto nel magico ed addormentato, mondo pastorale, di una indefinita isola mediterranea. E se ne odono i suoni, il campanellino tintinnante delle capre, il fruscio setoso del vento e se ne avverte la calura dal pozzo che può abbeverare e se ne scorge il colore sia della sera, dai lumi accesi che del giorno, per l’affaccendarsi nella casa. Pia ed Agata, vestite di nero, rispettivamente sorella e vedova del padrone di casa, defunto in guerra e Silvia, sua figlia, poco più di una fanciulla, sono un perfetto trio da tragedia greca e così essa si svolge, tra passione folle e lucida vendetta. E così anche il posto, deserto e popolato solo da cupide capre, è simile ad una reggia omerica in cui si consuma l’attesa e dove la cisterna diventa un’ara sacrificale, mentre Pia, Agata e Silvia sono sempre più simili a tre parche, intente a filare, con la conocchia e l’aspo, la morte. Ed essa non tarda ad arrivare, nella maniera più orrenda, per vendicare l’offesa arrecata in modo esplicito, senza alcuna forma e nessuna riserva alle tre donne dall’insinuante forestiero.
Un dramma, quello di Ugo Betti, rappresentato poche volte ma sicuramente il più interessante, forte, pregnante ed esplicito nei modi e negli atti. Le tre donne, ognuna pervertita dalle voglie di Angelo, infatti non se ne risparmia nessuna, sono il suo angelo vendicatore ed il pozzo la sua condanna. Alcuni passaggi, quelli tra madre e figlia, sono particolarmente inquietanti e violenti, essere rivali e per lo stesso uomo, scatena in loro bassi istinti. La vendetta cova sia in Silvia, violentata e forse prena di lui, che in Agata, divisa tra l’amore materno, molto rude e l’aspra gelosia che ne prova. Solo Pia, sebbene innamorata, riesce con la fuga, in cui coinvolge la nipote, a sfuggire al triste epilogo. Silvia e Pia si sono allontanate dall’isola è questo che voleva Agata per salvare Angelo ed avere la sua parte di orrenda felicità. La fune che srotola all’interno, della cisterna, inutilmente, in modo convulso ed in preda ad una frenesia amorosa, è l’evidente prova che la sua anima e tutto il resto sono ormai persi per sempre.
Una rappresentazione perfetta, confezionata in maniera esemplare, ad iniziare dal buio di scena che è fosco, quanto lo sarà il testo, per continuare con la musica di Nick Cave, compositore australiano ed il canto evocativo di Savina Yannatou, con gli abiti, così curati di Angela Guerra e con gli oggetti pastorali a formare l’impianto scenico. E poi i protagonisti, eccezionali, non hanno sbagliato nulla della loro interpretazione, tutti adatti al ruolo da Roberto Lombardi, con la sua sicumera, spavalderia fisica e la voce impostata giusta, ha reso il più possibile ostile il suo personaggio, tant’è che il suo crepare nel pozzo, fa orrore ma solleva anche.
Marianna Esposito, immensa nella sua interpretazione, stigmatizza il personaggio con occhi, mani, corpo, camminata, voce, mobilità del viso, insomma con tutta se stessa. La sua freddezza ansiosa di essere “femmina” per Angelo, perché stanca di solo capre da pascolare, le danno una ferinità animale che travasa tutta sugli spettatori.
Buona la prova di Marika Mancini, una ventata di freschezza recitativa nel cupo dramma, ha reso bene l’innocenza prima e la voglia lasciva in seguito.
Lea Di Napoli, è la prima ad incontrare lo straniero, l’invasore della forzata sua quiete e se ne sente subita attratta. Pia vuole la sua parte e ciò lo esprime bene, Lea Di Napoli, interpretando in modo eccellente il ruolo. Come sempre la regia di Uto Zhali è curata, raffinata e di grande stile.
Maria Serritiello
Nessun commento:
Posta un commento