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venerdì 5 febbraio 2016

“Emigranti” di Slavomir Mrozek al Piccolo Teatro del Giullare

Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello


Il 30 ed il 31 gennaio, al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno è stato rappresentato il lavoro del drammaturgo polacco, Slavomir Morozek, Emigranti, per la regia di Lucio Allocca, con Andrea Avagliano e Fulvio Sacco.
Il lavoro, di buona fattura, per la solidità rappresentativa, figura la solitudine e l’emarginazione di due uomini che, in una città non definita, vivono la triste condizione di emigrante. Essi coabitano in un sottoscala, arredato con l’essenziale, due brande, un tavolo, due sedie, qualche oggetto ricordo, una pianola. Il luogo è senza finestre, abbastanza angusto e tubi di scarico, dalla forte sonorità, sono ben visibili all’interno. Stanno insieme per convenienza, per l’evidente risparmio, ma nessuno dei due ha affinità con l’altro, infatti l’uno è un intellettuale, il secondo poco più di un bifolco. Ciò che li unisce, malgrado l’estrazione culturale, le speranze e il diverso stile di vita è l’impossibilità a farcela da soli. Essere in un paese straniero, lontano dagli affetti, dalla famiglia, dalle tradizioni, dal panorama che si fruisce ogni giorno e a mancare sono perfino gli oggetti, per cui sotto le brande sono nascoste, una sacca ed una valigia con le povere cose, è dura e paradossalmente, tale situazione unisce l’uomo del popolo all’intellettuale.
Il luogo in cui vivono s’intuisce essere una grande città che vive gli agi in contrapposizione al blocco sovietico, severo e triste. E’ l’ultima sera dell‘anno e fino alla cantina giungono schiamazzi di divertimento dai piani superiori, il contrasto è stridente, per loro che non hanno neppure da mangiare, se non qualche scatola, che risulta, poi, essere cibo per i cani. L’operaio quando è libero dal lavoro si lucida le scarpe, si pettina e va in cerca di calore umano sulla stazione, là almeno non si paga e può immaginare di attendere qualcuno, forse l’avventura con una donna. L’intellettuale, invece, è chiuso nel suo mondo astratto di teorie, che l’aiutano a smaterializzarsi. Le ore passano, nel misero ricovero e di cose se ne dicono, più l’intellettuale, l’anarchico bakuniniano, a danno del rozzo popolano che, prendendo coscienza del suo stato all’interno della società, sprofonda nella disperazione.
Emigranti è uno dei lavori più interessanti del drammaturgo polacco, per aver tratteggiato la figura e la condizione dell’emigrante, un requisito che ha riguardato uguale tutta l’Europa del secolo scorso. Buona l’intuizione del dialetto di uno di essi per rendere il personaggio più veritiero e fraternamente unito al sud. Gli attori Andrea Avagliano e Fulvio Sacco hanno reso un’efficacie caratterizzazione dei personaggi, sicché di frenetica ed esuberante fisicità, l’uno, misurato, perfino flemmatico e con linguaggio forbito, l’altro. Uno spettacolo decisamente gradevole anche per la buona regia di Lucio Allocca, le scene di Alessandro di Mauro e i costumi di Anna Verde
 
Maria Serritiello
 
 


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