Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Da giovedì 28 gennaio una scritta di lucida bellezza, dell’artista salernitano Nello Ferrigno, dedicata a Peppe Natella, “O Prufessore”, prematuramente scomparso, accoglierà gli spettatori nel foyer del Teatro Delle Arti. Di colore bianco, luminescente e con un faro acceso che le invia luce, come una pira perpetua, la scritta, che verga il nome dell’indimenticato Peppe Natella, è scarna. Un graffito di colore rosso, segni sottili per ricordarlo nel tempo, proprio in quel teatro che fortemente aveva voluto e così immaginato, infatti il luogo prima non era che il refettorio del seminario regionale. Anche il “Delle Arti”, come già i Barbuti, assieme a Claudio Tortora, Gaetano Stella, Pina Testa, Marcello Ferrante, era una sua creatura, amava prendersi cura di luoghi abbandonati per farli rivivere.
Schivo, appartato, soprattutto un uomo del fare, tanto che è difficile elencare tutto ciò in cui si è prodotto, ma alcune sue creature sono segni indelebili dell’immaginario cittadino: il Teatro dei Barbuti, il Presepe dipinto di Mario Carotenuto, i Mercatini natalizi e la Fiera medievale del Crocifisso ritrovato. Il “Professore”, lo era stato veramente, era il cuore pulsante del centro storico, nessuno avrebbe scommesso, Lui sì, perché sapeva credere nello splendore futuro, su Largo dei Barbuti, un posto di assoluto degrado. In un centro storico devastato dal terremoto, l’anno era 1983, Peppe Natella, lungimirante, ebbe l’intuizione di montare un palcoscenico sotto le stelle per fare teatro e musica fra i vicoli più angusti della città. Il primo spettacolo “Festa, farina e forca” di Corradino Pellecchia, con le musiche di Gaetano Macinante, la regia di Andrea Carraro e le scene di Massimo Bignardi appartiene alla storia del teatro salernitano e a portarlo in scena fu la “Compagnia delle corde”, con attori che provenivano da diverse compagnie salernitane. Da allora sono passati 32 anni e la Rassegna estiva del Teatro dei Barbuti è un appuntamento irrinunciabile dell’estate salernitana.
E così il 28 gennaio, al Delle Arti, sono stati in tanti, amici- attori, a volergli testimoniare tutto l’affetto per ciò che era e la stima per il suo operato, ad iniziare dal balletto siriano, firmato Pina Testa, omaggio alla sua multietnicità, per continuare con le note dolcissime del sassofono di Guido Cataldo, insieme avevano frequentato lo stesso gruppo di boy scout. Si srotola la pellicola del tempo e ad uno ad uno, si avvicendano in scena, in un silenzio commosso: La Bottega San Lazzaro, con due pezzi cari al Professore, Filomena Marturano e Natale in casa Cupiello, il gruppo danze storiche, Chicco Paglionico, Corradino Pellecchia, Matteo Salzano, Matteo Schiavone, Angelo Di Gennaro, Compagnia dell’Arte, Fondazione Gatto, Andrea Carraro, Marino Cogliano, Teatro Novanta, Il Professional Ballet, Lucia Lisi, Marcello Ferrante, Ugo Piastrella, Diana Cortellessa, Alfonso Andria, Claudio Tortora.
Pezzi di storia del teatro salernitano e della sua cultura, raggiata intorno con esaltata passione e cui, il Professore, non ha fatto mai mancare il suo appoggio fattivo, senza essere mai protagonista anche se di fatto lo è sempre stato. Nel libricino –ricordo, dispensato a tutti all’ingresso e su cui hanno appuntato un pensiero personale molti amici, contribuendo a tracciare il suo generoso profilo si legge:
“Per tutti Peppe era il Professore. Professione che di fatto ha svolto. Ma anche fuori dalla scuola era rimasto il Professore. Il colore azzurro dei suoi occhi dava alla vita, che lui attraversava con grande piglio, il senso dello spazio, dove senza misura si alternavano le tante tinte della sua arte. Il rosso del teatro, il verde del coraggio che dà speranza, l’arancione della creatività, con il quale disegnava una scena o scriveva un pensiero, che poi trasformava in evento. Il grigio della solitudine che lo avvolgeva quando non era compreso, il blu delle atmosfere che sapeva creare, il nero nei momenti bui, che sapeva superare con il piglio da leader, il rosa della delicatezza, con la quale sapeva aiutare e recuperare il bisognoso o l’emarginato. Aveva in sé tanti colori che riusciva a mischiare nei suoi tanti progetti, nelle tantissime sfaccettature del su carattere, dietro le quali spesso era difficile stargli dietro…”
A scrivere è stato Claudio Tortora.
Maria Serritiello
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