Pagine

venerdì 2 maggio 2014

Gerardo Sinatore e Vincenzo Romano a Sant’Apollonia di Salerno, con i riti e i canti della Madonna delle Galline.


Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello


Nella piccola chiesa sconsacrata di Sant’Apollonia, edificata fra il  XVI e XVII secolo e collocata nel cuore della vecchia Salerno, il 17 aprile scorso, Vincenzo Romano, artista,  ha anticipato alcuni canti che il  27 aprile a Pagani (per il mal tempo spostata a giovedì 1 maggio)  si canteranno per la solenne celebrazione della Madonna delle Galline. La serata, organizzata da Antonio Daltrocanto Giordano, nell’atmosfera cupa dei Sepolcri del Giovedì Santo, ha avuto come sfondo la meravigliosa “Crocifissione Dipinta”, il nuovissimo capolavoro del Maestro Carotenuto, che va ad aggiungersi al noto suo presepe miniato. Oltre ai canti devozionali, particolari quelli in dialetto scritti da Sant’Alfonso dei Liguori, è stato  presentato al pubblico dallo stesso Antonio Giordano e commentato dall’antropologo Vincenzo Esposito, il libro di Gerardo Sinatore “I riti della Madonna delle Galline”, un interessante studio condotto sulla festa più particolare della città di Pagani e della Campania tutta.

Vincenzo Romano, cantore, ballerino e percussionista di tamburi a cornice mediterranei, dà inizio, nell’oscurità della piccola chiesa sconsacrata, ai canti devozionali. Risuona intorno, nel mistero sacrale della sepoltura di Cristo, la sua voce limpida, chiara ed  estesa, carezza per l’animo di chi l’ascolta e dolcezza che giunge da vie ancestrali, quelle della terra, entro la quale la Madonna delle Galline fu trovata. Abili scorrono le mani  sulla tammorra e  sui tamburi, a volte piano e a volte con un‘energia incredibile, un suono ritmato, un tutt’uno con le invocazioni. Alla religiosità che si diffonde con santità, la Madonna è presente, è tra noi, ci ascolta, Vincenzo aggiunge, come in un dipinto del Maestro Carotenuto, la sua postura un po’ incurvata, pari ad  una genuflessione, mentre sostiene lo strumento circolare, fatto di pelle d’animale e perciò vivo. Ieratico, ispirato, un personale fine, unito indissolubilmente alla tammorra, dalla quale sembra essere risucchiato e con la sua approvazione. Ha iniziato sin da piccolo, otto anni, a seguire nei cortili, i movimenti delle mani esperte sugli strumenti, è un’autodidatta che non si è fermato al solo suo talento naturale, ma studia, ricerca e rintraccia i canti che si allacciano profondamente tra passione e religiosità. E’ giovane, 24 anni, ed ha seguito, fino a quando non se n’è andato, il  maggiore artista della tradizione popolare, l’assoluto Franco Tiano, detto l’Africano. Il suo “Tosello”, un altare elevato nel cortile di via Matteotti, dov’era nato, ogni anno, era inimmaginabile per come fosse ricco di simboli della terra e legati alla devozione della Madonna del Carmelo, che a Pagani è detta delle Galline, per via del ritrovamento della sua effige, in un pollaio.  Le parole per invocare la Madonna sono quelle di uso comune, mescolate alla vita di tutti i giorni, al duro lavoro della terra, alla possibilità di sopravvivenza, ai pericoli evitati, alla malattia, alla morte scongiurata e al ringraziamento per ciò che Lei, ha donato. Un modo di pregare a tu per tu, viscerale, eppure così pregno di devozione che non può non coinvolgere. La “Mammeddio” è una di loro, è la “Figliola” dal viso scuro e  saprà capire i bisogni dei figli suoi. Così intonava Sant’Alfonso dei Liguori, la fonte santifica di alcuni dei più bei canti della cultura popolare paganese, divenuto patrimonio per tutti e così Vincenzo Romano, nella chiesa di Sant’Apollonia:

“Curri curri mamma mia, curri priesto e nun tardà
Ca lu serpe arrassusia, già me vole muzzecà.
“Curri curri mamma mia, curri priesto e nun tardà
Ca lu serpe arrassusia, già me vole muzzecà
E manche l’agge viste
E già me fa tremmà…(continua)

(Trad: Accorri, Madre mia , fai presto e non tardare, perché il serpe, Dio non voglia, già mi vuole mordere.
La strofa si ripete uguale.
Neanche l’ho scorto
e già m’incute paura…)
Il canto continua


La voce è limpida nell’eco della chiesa, la mano che batte, più non si vede tant’è veloce il movimento,  il tamburo risuona accompagnato dai cimbali, i sonaglini metallici che alimentano il ritmo dello strumento. All’improvviso i riti della festività solenne di Pagani sono trasportati fin qui, nella vecchia chiesa silenziosa, lontana dai rumori della città, sì che il filo della memoria, naturalmente si srotola sul rullio roboante  delle tammorre e delle castagnole, ora vicino, ora lontano, una colonna sonora che si ascolta frenetica in  tutti i cortili, le strade, i vicoli accompagnato dai canti a “Figliola” e dove l’odore dei carciofi arrostiti nelle case diventa il profumo tipico della festa, come l’incenso per la chiesa. Anche il  fumo dei carboni accesi, una nube che si solleva alta verso il cielo, connota il sapore della giornata. Il calore della fede, poi, è anche vampa umana, tanta è la gente al seguito della processione, si cammina tutti insieme, si parla anche se non ci si conosce e si invoca la Madre Celeste.

“Mamme r’è galline miettece ‘a mano toia”…
….esce e nove e s’arretire ch’è calata l’ora..

 Lei, incredibile, circondata da galline e bianche colombe, sistemate tutt’intorno alla statua, sostenuta dai portatori, è seguita dai tammorrari che  per tutto il percorso suonano senza fermarsi, senza stancarsi, fino a quando non si ritira in chiesa, per depositare  ai suoi piedi le tammorre, come simbolico  dono.

 “…noi non siamo niente non siamo nessuno però crediamo in Te, beatissima Vergine del Carmelo, detta delle Galline, siamo dei semplici musicisti conosciuti come tammorrari…”

E’questa la preghiera che suonatori della tammorra ogni anno recitano salutandola all’anno prossimo.

 La data della celebrazione solenne  non è fissa perché segue, l’ottava in albis di Pasqua, festività anch’essa mobile ma è imperdibile, per il suo folklore popolare, devoto e carico di simbologie, antiche radici del nostro passato. Un patrimonio di inestimabile valore e bene ha fatto Gerardo Sinatore, paganese, a raccogliere, in uno studio approfondito e cronologico, tutto ciò che riguarda  la festa così particolare del popolo di Pagani. Il libro è fonte preziosa per chiunque voglia approfondire e conoscere, ma è soprattutto documento storico da conservare, per mantenere vivo presso i giovani un così immenso patrimonio. Perpetuando la ricorrenza nel tempo c’è speranza, in un mondo sempre più, selvaggiamente, omologato, che non si disperdano la tradizione, i riti, i canti e i luoghi della Madonna delle Galline.
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Quando la Santissima ha finito il suo percorso e si è ritirata in chiesa, ovunque, fino all’alba si odono risuonare battiti di tammorre, tamburi,  castagnole e cimbali, mentre nella Villa Comunale volteggiano, così come nei vicoli più stretti, in interminabili tammorriate, giovani, figliole e coppie attempate.

Maria Serritiello
www.lapilli.eu










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