Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
5°Appuntamento al Teatro
Genovesi per il Festival Nazionale Città di Salerno, organizzato dalla
Compagnia dell’Eclissi in collaborazione con l’I.S.S. Genovesi-Da Vinci di
Salerno ed il sostegno del Soroptimist International club di Salerno, con “La
Stanza di Veronica” di Ira Levin, ritornano i Giardini dell’Arte di Firenze,
già vincitori del Festival, lo scorso anno, con “La Signorina Julie” di August
Strindberg.
Il rebus per venire a
capo del thriller che si consuma sulla scena e sperare di capirne quale sia il
finale, sta tutto là, nel nome dell’autore: Ira Levin. Essere teatralmente
dinanzi ad un suo scritto significa ripassare mentalmente le sue trame usate in
film di puro orrore e di grande suspense.
John e Maureen, una
coppia di attempati signori, rivelatisi, poi, servitori della famiglia
Brabissant, incontrano, o vanno per reclutare, in un ristorante, una giovane
coppia al loro secondo appuntamento e convincono la ragazza a ricoprire i panni
di Veronica, a cui somiglia come una goccia d’acqua, morta di tubercolosi per
compiacere sua sorella Sissi che, malata di cancro, è in attesa della fine. Susan
è una ragazza vivace, spigliata e disinvolta, ma di buon cuore, per cui accetta
di fare questa buona azione, contrario è, invece, il suo giovane
accompagnatore. Appena giunti a casa, nella stanza che fu di Veronica, si
avvertono sottili segnali d’inquietudine, ad esempio la meticolosità e la
lentezza con cui John (Aldo Innocenti)
lustra gli oggetti tenuti, prima, sotto delle bianche fodere e poi scoperti ed
anche la voce strascicante e priva d’intonazione, con l’andatura ripiegata
tutta in avanti del servitore che non mette, certo, sicurezza. Dal canto suo
Maureen (Laura Bozzi) è
esageratamente gentile con la ragazza, ma lei è fiduciosa, presto andrà via da
quella casa che le mette tanta tristezza, nel sapere che anche l’unico figlio
maschio, di nome Conrad è morto. I due le fanno indossare un vestito della
povera Veronica che, manco adirlo, le calza a pennello e scompaiono per
avvertire Sissi, nell’altra stanza. Susan resta sola in scena, il fidanzato è
stato accompagnato giù nel salone da John a bere un whisky. Si gira intorno,
sfiora gli oggetti, si assesta il vestito, sfoglia i libri, insomma s’imbeve
della stanza della povera ragazza morta, ma il silenzio si fa carico di ombre.
Ed ecco il primo colpo di scena, gli umili servitori sono spariti, al loro
posto, gli stessi si sono trasformati nei coniugi Brabissant, temporalmente
siamo nel 1936 e Susan viene creduta con toni decisi, Veronica, la loro figlia
ribelle, chiusa in quella stanza per non farle compiere altri fatti nefandi,
come l’uccisione della povera Sissi e del fratello Conrad. Il thriller, perché
di questo si tratta, nel secondo atto, prende diversa forma, sia nella trama
che nella recitazione, per cui il servilismo e la piaggeria di prima, muta in
severità, fermezza ed imperiosità, in special modo nel padre (per me più
credibile nella caratterizzazione del servitore N.D.R.). La rappresentazione
scorre convulsa con improvvisi colpi di scena e cambiamenti sostanziali, tutto
il contrario di tutto e di nuovo ferve l’immaginazione, presso il pubblico, per
congegnare il finale. Intanto si aggiungono sempre più particolari orridi e a
nulla valgono le proteste di Susan, che a gran voce invoca il suo fidanzato,
volatilizzato e si capisce, di lì a breve, il perché. La mal capitata (Margherita Tiesi) protesta con tutte le
sue forze e lo fa in modo credibile, il pubblico è tutto per lei, la sua
disperazione diventa la disperazione dei presenti, il pianto e la voce
stridula, il volto rigato di lacrime, le percosse che riceve ogni volta che
fornisce particolari del 1973, per convincerli che lei non c’entra niente con
la loro vita infida, è recitato ad arte, per aver cambiato registro e cioè dal
frivolo al disperato. Il giallo si fa sempre più fitto e la stanza
dell’inesistente Veronica è diventata una paurosa prigione per la povera Susan
che, inutilmente, cerca di convincere i sui aguzzini a lasciarla andare. Ci si
precipita verso il finale, Veronica non è morta e neanche Conrad, suo malefico
sodale, sono loro ad aver ucciso Sissi, ed anche i signori Brabissant sono
morti da tanto. A Susan non resta che morire, non prima di aver scoperto che
anche il suo novello fidanzato (Andrea
Vangelisti) fa parte della cricca malvagia, infatti è il medico della
famigerata famiglia, pronto ad adescare la vittima di turno. Un’ultima emozione
da consumare, il pubblico è stato messo a dura prova, per 90 minuti con
l’incalzare degli eventi ed i capovolgimenti di situazioni, ed è l’uccisione di
Susan, infine, che fa quadrare il cerchio. Sbattuta di forza nella poltrona,
tenuta stretta e ferma ai braccioli dal dottore, già suo fidanzato e Conrad,
Veronica la soffoca veristicamente con un cuscino. La scena è l’ultimo colpo
che Ira Levin, tradotto da Luigi Lunari, prepara con cura, per
dare reale soffocamento allo spettatore, per dargli una sensazione fisica.
Dietro al cuscino, la ragazza si torce, si dibatte, si muove in modo convulso,
cercando di divincolarsi, ma non vi riesce. Il corpo teso si affloscia, le
gambe non si muovono più e tutto il suo corpo trova la deposizione in quella
poltrona rossa di colore, che ricorda il sangue versato da un’innocente. Il
pubblico non ha mai odiato tanto, come questa volta, i tre interpreti di scena,
per aver impunemente ucciso solo per aver la voglia di farlo, anche dopo che le
loro losche voglie erano state scoperte.
In un thriller non vanno
cercate ragioni morali o fortemente etiche, perciò l’adesione alla trama è
totale, sconvolge, però, la disonestà con cui viene presentato il delitto e
cioè la costruzione di una prima ed una seconda sceneggiatura, dove gli attori
si sono mossi così come si doveva, ossia con bravura, tanto da far patire al
pubblico, in maniera fisica, tutta la rappresentazione. Bravi dunque per
l’efficace interpretazione degli attori, servita da una scenografia meticolosa,
da luci a volte sinistre e da musica descrittiva, la goccia insistente che si
ascolta, è il tempo che trascorre lentamente nella stanza rarefatta di Veronica.
La regia di Marco Lombardi è stata
di millimetrica precisione nell’assemblare più elementi scenici e nel guidare
gli attori verso una recitazione realistica. Originale la scelta della regia di
portare un noir psicologico d’autore al Festival XS di Salerno, per la prima
volta.
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
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