Quarto appuntamento al Teatro Genovesi per il Festival
Nazionale Città di Salerno, organizzato dalla Compagnia dell’Eclissi collaborazione
con l’I.S.S. Genovesi-Da Vinci di Salerno.
5 sagome stilizzate ed
una valigia di cartone a grandezza media in primo piano ci annunciano che chi
si paleserà ha a che fare con i viaggi. Ed eccolo apparire con il suo vestito
grigio, camicia e cravatta sotto la giacca, cappello, un borsalino usato,
avvicinarsi alla valigia, sollevarla per poi depositarla a terra, aggiustandone
il manico. Un uomo metodico Willy, questo il suo nome e la sistematicità dei
gesti gli deriva dal fatto che ha paura di non essere ricordato e ancor più di
essere dimenticato. Mima una corsa sul posto, macina chilometri, attraversando
città che gira, per piazzare i prodotti rappresentati, gli viene il fiatone, il
sudore gli cola dalla fronte, poi si ferma stremato e comincia un monologo di
60 minuti in cui parlerà di sé.
E’ tornato a casa esausto
da uno dei suoi giri, più stanco del solito e racconta a Linda, sua moglie,
presente nell’immaginazione, nella versione che ne fa Marco Cantieri, che non ce l’ha fatta, che non è riuscito a
controllare la macchina, che va a 120 all’ora e si distrae, insomma sta
invecchiando senza che abbia potuto raggiungere la notorietà. Il lavoro di
commesso viaggiatore su cui ha puntato tutte le sue speranze di successo, si è
rivelato un fallimento. Parla, parla, mette fuori tutto il suo interiore,
cercando prima di tutto una giustifica con se stesso e poi l’accettazione della
sua rovina, la consapevolezza di non guadagnare abbastanza per soddisfare i
bisogni della sua famiglia, lo annienta.
Ha vissuto, a causa di questo oscuro lavoro, molto tempo da solo, sedi
lontane, dividendo stanze fredde, anonime, magari anche poco riscaldate, con la
consapevolezza che la solitudine è una brutta bestia. Insoddisfatto della sua
vita che a 63 anni non gli ha dato la felicità materiale, presente
abbondantemente nella società americana, se la prende con i suoi figli, Biff e
Happy, che svolgono lavori di basso livello. Non riuscendo a sopportare tanto
insuccesso esce di casa e vagabondando riporta alla memoria fatti passati della
famiglia Loman, per esempio che suo fratello, lavorando in una miniera dai 17
ai 21 anni, era diventato ricco sfondato e di come lui si sia trovato a fare il
mestiere di commesso viaggiatore. Fu quella volta, quando decise di andare in
Alaska con suo fratello per incontrare il padre che già era lì a cercare
qualche filone d’oro. Tutto era pronto per la partenza, quando incontrò un tale
di ottantaquattro anni, rappresentante della Parker, che aveva lavorato in 32
stati, nell’albergo, a lavorare accanto al telefono, con un paio di pantofole
verdi infilate ai piedi. Fu una rivelazione, era questo il mestiere che faceva
per lui, quel vecchio senza spostarsi di un millimetro si guadagnava la vita.
“Che c’è di meglio che andarsene a spasso a ottantaquattro anni, per
venti o trenta città, riverito, ossequiato, benvoluto e aiutato da una massa di
gente, e senza far altro che telefonare?
Ma
lo sai tu, che quando morì – e fece proprio la morte del commesso viaggiatore –
se ne andò all’altro mondo nelle sue pantofole di velluto verde, nel vagone
ristorante sul rapido di Boston. Quando morì, ai funerali vennero a migliaia, i
clienti e i colleghi.
Una
volta la gente era considerata, Howard. C’era il rispetto, c’era la
solidarietà, c’era la gratitudine. Al giorno d’oggi, tutto arido, senz’anima.
L’amicizia non ha più nessun valore, la considerazione… Capisci perché ti dico
questo, Howard? Non ci si ricorda più di me.
Deluso, scoraggiato, dopo
tanto correre, capisce che nessuno lo avrebbe ricordato, né ai tanti
conoscenti, interessato il suo travaglio interiore, per non aver raggiunto la
solidità economica, atta far fronte ad un licenziamento, prima e ad un prestito
in soldi, presso un amico, dopo. Allora,
il naturale sbocco, dolorosamente, gli si para dinanzi, alla sua famiglia,
soprattutto, sarebbe stato più utile da morto che da vivo.
Marco
Cantieri, l’interprete, nonché il riduttore della versione di Morte di un Commesso Viaggiatore, il
capolavoro di Arthur Miller, datato 1949, in Go Willi Go, è stato perfetto.
Ha offerto una riduzione precisa, scrupolosa, accompagnata da una recitazione
completa di gestualità, di sfumature di voce, di movimenti accorti, di tonalità
corretta, di espressività facciale e corporea. Quel suo andare avanti ed
indietro nel monologo, ha fatto sì che il finale, pur conoscendolo, date tutte
le premesse, ci ha resi tristi, il suo piegarsi ad un volere superiore per il
benessere della famiglia, ci è sembrato un sacrificio troppo esoso. Peccato non
stimarsi di più per ciò che realmente fosse, un brav’uomo onesto e lavoratore. La società consumistica americana lo aveva
letteralmente fagocitato, travolgendolo in un gesto estremo, ma Arthur Miller
così ha voluto il suo Commesso Viaggiatore, un moderno Cristo sulla croce!
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
Di
e con Marco Cantieri
Regia
di Adriana Giacomino e Franca Guerra
Ricerca
musicale: Franca Guerra
Idea
Scenografica: Marco Cantieri
Tecnico
Audioluci: Federico Caputo
Ripresa
Video: Marco Cipriani
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