Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Sono state sei
le repliche al Piccolo Teatro del
Giullare di Salerno di “Tre volte
per amore” con la presenza dell’autore, Maurizio de Giovanni, alla prima. Interprete dell’ammaliante testo
è stata Brunella Caputo che ne ha
realizzata anche la regia,
affiancata da due valide attrici: Teresa
Di Florio ed Antonella Valitutti.
Tre donne, distinte in
tre spaccati, nei quali Maurizio de Giovanni è riuscito, con un sapiente
impasto di lirica e suspense, a delineare tre personaggi veri, di cronaca nera,
donne assurte alla cronaca nazionale, per essere state protagoniste di
avvenimenti scellerati, che gli spettatori non hanno faticato ad identificare. E
mentre nel primo e nel secondo caso la responsabilità è stata acclarata oltre
ogni ragionevole dubbio, nel terzo l’autore si fa portavoce di una soluzione
alternativa, per certi versi plausibile, ma tutta da dimostrare. Assistendo
allo spettacolo il pensiero corre a Carlo Emilio Gadda e alla sua “la
cognizione del dolore”, di cui l’autore, per la genesi profonda di certe
idee-azioni alla base di comportamenti distorti e purtroppo negativamente
significativi delle donne dei primi due episodi che in qualche modo ne
diventano responsabili-complici, sia pure con modalità diverse. L’autore, in
entrambi i casi, è a caccia quasi dei primum movens delle loro azioni, quasi
alla ricerca di quei circuiti ancestrali responsabili dei sentimenti affettivi,
che la neuropsichiatria mondiale sta prepotentemente rivalorizzando
E proprio affondando le
indagini sull’ animo umano, de Giovanni prova a far emergere le passioni
archetipe originarie e possenti del nostro essere, ahinoi, dotati di un
cervello rettiliano che, ove mal guidato dalle capacità del cervello terziario,
in qualche modo ci fa regredire ad uno stadio evolutivo che ognuno spera
intimamente di aver superato da tempo e di non rimanerne mai più invischiato,
ma che purtroppo riesce ancora a farsi sentire con la sua voce peggiore.
Potremmo dire la cognizione della ferocia animale, la cognizione della
aberrazione mentale, la cognizione della malvagità animalesca, la cognizione
dell’ignoranza deformante del sé. Ebbene l’operazione delicata e complessa dello
scavo letterario è perfettamente riuscita, sia per la bravura delle attrici sia
per l’impianto scenico scarno, nudo, spartano, solo le tre silhouette attraversate
dalle luci e dal suono che, con vigore e malinconia, hanno supportato la
sofferenza del momento. La drammaticità dei gesti intuiti più che agiti,
suggeriti più che mostrati, spalmati in un’ora e veni minuti, hanno segnato
l’inquietudine e i momenti forti della narrazione. Brunella, con la sola parola
ha reso la giusta interpretazione, nonché la caratterizzazione dei personaggi
nella direzione scenica. Tre volte per amore, tre casi di cronaca nera, riletti
da de Giovanni e affidati a Brunella per la giusta scrittura teatrale, sì da
renderli unici per come sono stati elaborati e per come sono stati smantellati
e ricostruiti. Un raccontare per indagine, analizzando l’intimo di esse e come
a volte, l’invidia, la gelosia, l’astio cambiano tragicamente la propria vita e
quelle degli altri.
“Il
destino si diverte, il destino ha una mente limpida e perversa, mette insieme i
pezzi fino a completare il quadro, poi si mette seduto a vedere quello che
succede, sì, si diverte così”
A dirlo è Teresa Di Florio, calcando sul dialetto
per farci capire come sia arrivata a scatenare un dramma davvero infame. La
sorella di lei era bella e di conseguenza anche la figlia lo era, una
principessa bionda, occhi azzurri, magra, mentre sia lei che la figlia erano
brutte e grasse. Sembra l’inizio di una favola ed invece di lì a poco sarà
l’invidia sfrenata a cambiare lo scenario a non fermare la mano di sua figlia
che non sopporta la principessina, già in odore di corteggiatori, nonostante la
giovane età.
“Certe
cose iniziano a succedere anni prima…gesti e azioni che non vanno riposte in
una scatola con sopra scritto –follia. Adesso io vorrei sapere quello che senti
in realtà. Capisco la difficoltà enorme per te di capire quello che avresti
dovuto fare. Lo hai fatto, per carità. Ti ringrazierò per sempre”.
Anima nera o in preda
alla droga, con la capacità di asservire al suo raccapricciante progetto, anche
il fidanzato, il secondo caso, il personaggio ha sviluppato odio e turpe
malvagità nei confronti della madre e del fratellino. L’interpretazione di Brunella Caputo è un piccolo capolavoro
teatrale, raccolta sulla sedia, ginocchia piegate e tenute strette dalle
braccia, come a volersi raccogliere o volontà di essere abbracciata, parla a
scatti nervosi, spiega di aver scritto al padre, il solo ad averla perdonata,
capita. S’interroga, con vocina infantile, regredita all’indietro, come ha
potuto il padre assolverla e perché l’ha fatto, quando tutto il mondo l’ha
condannata senza riserve. La donna, un tempo la piccolina di papà, ha la fisicità e le parole, il pensiero unico
di Brunella, un’identificazione totale.
Ma
come ha fatto a non accorgersene prima? Invece, una non se ne accorge.
Credetemi, perché non si vede se non si guarda”.
E’ Antonella Valitutti, la terza interprete del monologo, che nella
storia è la moglie di un sicuro assassino per la giustizia, tanto da meritare il massimo della pena. Sue
sono le parole dette con pacata determinazione, nell’accorgersi, esplorando il
computer, che suo marito preferiva le ragazzine. Un moto di ribrezzo che, nella
felice intuizione narrativa di de
Giovanni la trasforma in un’assassina. Si, è stata lei ad uccidere il
giovane fiorellino, che usava tale sostantivo come password. Per lui si
spalancano le porte del carcere per sempre, per lei la vendetta che durerà per
tutta la vita. Una significativa caratterizzazione del personaggio, che ha
creato attenzione e stupore. Bravo Maurizio
de Giovanni a mischiare le carte nel finale
Uno spettacolo perfetto,
l’interpretazione delle tre attrici anche, la regia impeccabile di Brunella Caputo, la musica a dare
suspense e le luci striate di rosso a tinteggiare il sangue delle tre vittime.
Luci
e musiche Virna Prescenzo
Grafica
Andrea Bloise
Foto
di scena Cristina Santonicola
Produzione
Compagnia del Giullare
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
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