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martedì 7 aprile 2015

L’Arte della Commedia di Eduardo rappresentata al Teatro Genovesi di Salerno

www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
del 16 febbraio 2015

L'uomo che fa l'attore svolge un'attività utile al paese? In questa battuta pronunciata da Oreste Campese, personaggio principale de "L'Arte della commedia" di Eduardo De Filippo, si scorge l'impianto del lavoro teatrale ridotto ed adattato da Felice Avella, della Compagnia dell'Eclissi, andato in scena al Teatro Genovesi di Salerno.
L'Arte della Commedia, un testo poco conosciuto, scritto da Eduardo nel 1964, fa parte della raccolta della "Cantata dei giorni dispari" e si compone di due tempi più un prologo che Felice Avella ha ridotto ad un solo tempo, senza interruzione, di un 'ora mezza in tutto.
Il fatto teatrale si aggira sulla perdita della struttura mobile, entro la quale ogni sera, di paese in paese, Oreste Campese, capocomico, recita assieme alla sua compagnia. L'incendio, sviluppatosi velocemente, gli distrugge ogni cosa, tranne la cassa dei trucchi e dei costumi. Nel paese, non bene identificato, Oreste, che sente la responsabilità del destino della sua compagnia, bussa alla porta del Prefetto, che manco a farlo apposta, si è insediato la sera prima, per cui non conosce ancora gli usi e i personaggi del luogo. Tra i due si sviluppa un dialogo serrato, intorno alla condizione dell'attore, dell'importanza che riveste nel sociale e il ruolo del teatro, trascurato dallo Stato. Inevitabilmente la discussione degenera, tanto che il prefetto De Caro caccia in malo modo Campese. Quest'ultimo offeso nella sua dignità di uomo, velatamente gli inculca il sospetto che quelli che riceverà dopo di lui potrebbero essere questuanti ma anche attori della sua compagnia, senza che lui ne riconosca la differenza.
Ed eccoli ad uno ad uno i personaggi avvicendarsi in scena, con il loro carico di umanità, con i loro desideri, con le loro richieste al limite dell'assurdo, ma tant'è, essi potrebbero essere veri, ma anche l'opposto. Di sapore Pirandelliano, il dubbio s'insinua e vi resta fino alla fine, redendo nobile il teatro e il teatrante se la realtà è simile alla finzione e se la finzione è uguale alla realtà. Un lavoro, questo di Eduardo, meno rappresentato e di non di facile approccio, ma per il Maestro, il teatro è stato vita e lui gli ha voluto dedicare due tempi ed un prologo in cui si potesse percepirne la grandezza. I testi che il dimesso Oreste Campese rappresenta con la sua compagnia dei guitti sono dei classici, che fanno storcere il naso agli intellettuali con la loro criptica, a volte sperimentazione, trascurando che la conoscenza dei lavori classici non è così scontata. Il teatro è educazione e formazione delle masse ed Oreste Campesi lo fa presente al prefetto De Caro, tirando in ballo l'età di Pericle. Un nobile panegirico intorno all'ars teatrandi, un manifesto della poetica drammaturgica di Eduardo, un pezzo di denuncia contro la censura borghese che ipocritamente adultera la verità.
Splendida l'intuizione di Felice Avella, che nel ridurre il testo, sfrondando il ponderoso lavoro, ne ha permesso la fruizione agevole ed immediata. Lui stesso, attore di consumata esperienza, ha dato una dosata versione interpretativa del personaggio chiave, laddove si poteva prendere la mano e gigioneggiare Eduardo. Tutti i personaggi, per cui gli attori della commedia, sono stati di una bravura eccezionale, un team compatto, nessuna sbavatura, nessuno fuori posto, un equilibrio perfetto, una caratterizzazione speciale, che va da Leandro Cioffi, impettito segretario di prefettura, ad Ernesto Fava, un prefetto a cui piace essere magnanimo purché non sia contraddetto, da Anna Maria Fusco Girard, la tipica maestra elementare, estensivamente materna verso i propri allievi ad Andrea Iannone a suo agio sia che ricopra il ruolo del piantone, che quello del farmacista, in scena appena in tempo per morire. E poi un calibrato Geppino Gentile, nei toni e nella gestualità, come l'essere sanguigno e sovrastante per la mole, per arrivare ad Enzo Tota, Quinto Bassetti, medico, un capolavoro d'interpretazione e personificazione. Nessuno potrà dimenticare il nevrotico dottore tant'è stato lo sforzo interpretativo, al limite della caricatura, tutto scatti e tic ma così andava interpretato perché del personaggio non si perdesse nulla. Un virtuosismo recitativo, quello di Enzo Tota, encomiabile tanto più abituati come si è nel vederlo essere interprete privilegiato di Pirandello. Interessante è stata la scenografia del giovane Luca Capogrosso che ha riunito i momenti della commedia in un'unica immagine, riproducente una gigantografia di teatro ottocentesco, poltrone rosse e candelabri dorati, a fare da sfondo, ma anche i particolari come le sedie retrò dello studio prefettizio, che hanno contribuito all'atmosfera di precisione del lavoro. Brava come sempre Angela Guerra nello scegliere a puntino che cosa fare indossare ai componenti della commedia. Il merito del lavoro va sì dato agli attori ma diviso equamente con Marcello Andria l'accurato regista che, ogni volta, consegna agli spettatori lavori emozionali e non consueti, come questo pezzo di Eduardo, per celebrare i trent'anni della sua morte.

Maria Serritiello
 
 
 
 

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