Fonte www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Meglio non poteva
iniziare il Festival della Letteratura di Salerno, alla sua seconda edizione,
terzo, per importanza, in Italia, dopo quello di Mantova e Pordenone, ma primo dell’Italia
meridionale. A tagliare simbolicamente il nastro, è stato Raffele La Capria,
scrittore, mito vivente della letteratura italiana, con una prolusione ricca di
spunti, chiara, logica e magica per come ha tratteggiato gli inizi della sua
scrittura, Una vera e propria “Lectio Magistralis” dall’alto dei suoi 92 anni,
portati, nella mente, con baldanza giovanile, di chi ha compreso tutto e
conosce il valore della vita da poter trasmettere. Quando è apparso nel Salone
dei Marmi del Palazzo di Città, lo stesso che accolse nel 1944, per sei mesi,
dall’11 febbraio al 15 luglio, il primo governo Badoglio, per Salerno Capitale,
in compagnia di Diego De Silva, scrittore, che l’ha aiutato a salire lo
scalino, un po’ alto, in verità per chiunque, e sistemarsi sul “seggiolone”,
come ha subito definito, con grande
senso dell’humor partenopeo, lo scrittore, il posto d’onore, è stato accolto da
uno scrosciante applauso. Una vera ovazione che non finiva più e poi tutti in
piedi per omaggiare il suo intelletto, sempre vivace, che da più di mezzo
secolo tiene banco nel panorama culturale italiano.
“Non è vera la vita che vivi, è vera la vita
che scrivi” questo il titolo di ciò che ci ha regalato, in più di un’ora ed
ininterrottamente il grande intellettuale napoletano, che ha vissuto la sua
giovinezza nel Palazzo Monumentale Donn’ Anna, del XVII secolo, all’inizio di
Via Posillipo a Napoli, di quanto più bello al mondo ci sia. Così lo descrive
Matilde Serao nelle sue leggende napoletane “Il bigio palazzo si erge nel mare.
Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte
brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie…”
Vivendo, La Capria,
nella bellezza assoluta, la tesi della “Bella Giornata”, descritta in “Ferito a
morte”, un romanzo del 1961, che vinse il Premio Strega, è venuta quasi di
conseguenza e si riferisce all’attesa della felicità, a quella contentezza,
chiara metafora, che prende all’inizio di un nuovo giorno, non sapendo come
esso si svolgerà fino alla sera, ma quest’ultima è quasi sempre attraversata da
un’ombra, dice lo scrittore, perché non c’è vita senza che non vi sia dolore.
Tanti i concetti in bell’ordine esposti e che lo scrittore e sceneggiatore
espone con chiarezza serena e con voce ferma ma addolcita nel fondo, una voce
che scava dentro, induce al pensiero, alla riflessione e ad essere consenziente
in modo totale. Ciò che dice è la tradizione, è la cultura fattasi vita, altro
non siamo che quelli descritti dal cammino della letteratura, cosicché, Ettore,
Andromaca, Achille, Romeo, Giulietta, Otello, gli avari, i prodighi, il canto
del dolce Stil Nnovo, Laura , Beatrice, Il Cantico delle Creature ci somigliano…oh
si, il cammino è lungo per giungere fino a noi, ma è solo attraverso i passi, che ci
hanno preceduto, sappiamo conoscere chi siamo. Ed ancora: “i concetti” dice “creano idoli,
solo lo stupore conosce la meraviglia dei poeti, la realtà è creazione divina,
le parole sono a creazione umana”. Di parole, come ce le ha dette Lui, ne
vorremmo sentire sempre, ma per fortuna, le troveremo tutte, ad una ad una, nel
prossimo Meridiano in uscita, curato da Silvio Perrella. Grazie Maestro!
Foto (Maria Serritiello)
Maria Serritiello
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