Fonte www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
In una serata delicata e
dal clima sottile, nella Necropoli
Etrusco-Sannitica di Fratte, i
Concerti di Villa Guariglia in tour fanno spazio alla parola, che musica è.
Parthenope
e altre leggende napoletane, da Matilde Serao, volteggiano nell’aria con le magiche voci di Brunella Caputo, che ne ha curato la
regia e Davide Curzio. La luce e le
ombre sono di Virna Prescenzo e la
musica di Max Maffia, tutto lo
spettacolo è targato Compagnia del
Giullare di Salerno.
Ed eccolo il racconto di
Napoli e le sue leggende, che Matilde
Serao, fervida scrittrice e giornalista, fondatrice, tra l’altro, del
giornale Il Mattino, raccolse per il
piacere di regalare alla sua città un’origine magica: La nascita, il sogno, la
superstizione, le credenze, la magia, il mare e l’amore sono i pezzi letti con
maestria recitativa ineguagliabile.
Per più di un’ora lo
spettatore è rimasto imbrigliato nelle parole della scrittrice napoletana, più
volte candidata al Nobel per la letteratura. E loro due, ai lati del palco e
dietro a due leggii, a rimandarsi frasi, ad incrociare parole, a scandire con
un accordo perfetto e poi… le voci le loro due voci all’unisono come non
succedeva da tempo. Che dono!
“Cimone
amava la fanciulla greca. Invero ella era bellissima: era l’immagine della
forte e vigorosa bellezza che ebbero Giunone e Minerva, cui veniva
rassomigliata. La fronte bassa e limitata di dea, i grandi occhi neri, la bocca
voluttuosa, la viva candidezza della carnagione, lo stupendo accordo della grazia
e della salute in un corpo ammirabile di forme, la composta serenità della
figura, la rendevano tale.
Si
chiamava Parthenope, che nel dolce linguaggio greco significa Vergine. Ella
godeva sedere sull’altissima roccia, fissando il fiero sguardo sul mare,
perdendosi nella contemplazione delle glauche lontananze dello Ionio. Non si
curava del vento marino che le faceva sbattere il peplo, come ala di uccello
spaventato; non udiva il sordo rumore delle onde che s’incavernavano sotto la
roccia, scavandola poco a poco.
L’anima
cominciava per immergersi in un pensiero; oltre quel mare, lontano, lontano,
dove l’orizzonte si curva, altre ragioni, altri paesi, l’ignoto, il mirabile,
l’indefinibile. In questo pensiero la fantasia si allargava in un sogno senza
confine. La fanciulla sentiva ingrandire la potenza del suo spirito e,
sollevata in piedi, le pareva di toccare il cielo col capo e di potere
stringere nel suo immenso amplesso tutto il mondo. Ma presto questi sogni
svaniscono. Ora ella ama Cimone, con l’unico possente, imperante amore della
fanciulla, che si trasforma in donna.
Nella
notte di estate, notte bionda e bianca di estate, Cimone parla all’amata:
“Parthenope, vuoi tu seguirmi?” “Partiamo, amore”. “Tuo padre ti rifiuta al mio
talamo, o soavissima: Eumeo vuole egli per tuo sposo e suo figliolo. Ami tu
Eumeo?” “Amo te Cimone”. “Lode a Venere santa e grazie a te, sua figliola!
Pensa dunque quale nero incubo sarebbe la vita, divisi, lontani – e come,
giovani ancora, aneleremmo alle cupe ombre dello Stige. Vuoi tu partire meco,
Parthenope?” “Io sono la tua schiava, amore”. “Pensa: dimenticare la faccia di
tuo padre, cancellare dal tuo volto il bacio delle sorelle, fuggire le dolci
amiche, abbandonare il tuo tetto…” “Partiamo, Cimone”. “Partire, o dolcissima, partire
per un viaggio lungo, penoso, sul mare traditore, per una via ignota, ad una
meta sconosciuta; affidarsi ai flutti, sempre nemici degli amanti; partire per
andare lontano, molto lontano, in terre inospitali, brune, dove è eterno
l’inverno, dove il pallido sole si fascia di nuvole, dove l’uomo non ama
l’uomo, dove non sono giardini, non sono rose, non sono templi…”
Ma
nei grandi occhi neri di Parthenope è il raggio di un amore insuperabile e
nella sua voce armoniosa vibra la passione: “Io t’amo – ella dice – partiamo”.
Sono
mille anni che il lido imbalsamato li aspetta. Mille primavere hanno gittata
sulle colline la ricchezza inesausta, rinascente, dalla loro vegetazione e
dalla montagna sino al mare si spande il lusso irragionevole, immenso, sfolgorante
di una natura meravigliosa. Nascono i fiori, olezzano, muoiono perché altri più
belli sfoglino i loro petali sul suolo; milioni e milioni di piccole vite
fioriscono anche esse per amare, per morire, per rinascere ancora. (…)
Parthenope e Cimone vi portano l’amore. Dappertutto, dappertutto essi hanno
amato. Stretti l’uno all’altra, essi hanno portato il loro amore sulle colline,
dalla bellissima, eternamente fiorita di Poggioreale, alla stupenda Posillipo;
essi hanno inchinato i loro volti sui crateri infiammati, paragonando la
passione incandescente della natura alla passione del loro cuore; essi si sono
perduti per le oscure caverne che rendevano paurosa la spiaggia Platamonia;
essi hanno errato nelle vallate profonde che dalle colline scendevano al mare;
essi hanno percorso la lunga riva, la sottile cintura che divide il mare dalla
terra. Dovunque hanno amato. (…) Quando Parthenope viene a sedere sulla roccia
del monte Echia, quando essa fissa lo sguardo sul Tirreno, più fido dello
Ionio, l’anima sua si assorbisce in un pensiero. La ragione ignota è raggiunta,
il mirabile, l’indefinibile, ecco, è creato, è reale, è opera sua. E mentre la
fantasia si allarga, si allarga in un sogno senza confine, Parthenope sente
giganteggiare il suo spirito e sollevata in piedi le pare di toccare il cielo
col capo e di stringere il mondo in un immenso amplesso.”
E’ valsa la pena
scriverla tutta, copiarla su carta digitale, per riascoltare la recitazione a
memoria di Brunella e Davide, che dell’amore sono il simbolo.
Ma anche la leggenda de O
Munaciello, tra le altre che si sono ascoltate mi piace segnalarla come
(N.D.R.) la vecchina, mia vicina di casa, mi raccontava da bambina. In verità
mi piaceva crederci, ma mi sembrava tanto un racconto di fate e di maghi, più
che un fatto reale come lei credeva, sta di fatto che il 15 luglio scorso,
Davide e Brunella mi hanno fatto rivivere l’infanzia.
La
leggenda del Munciello ha origini antichissime. Secondo
alcuni, questo strano personaggio sarebbe realmente esistito a partire dal 1445
durante il regno di Alfonso V d'Aragona. All'epoca, come ha riportato la
giornalista partenopea Matilde Serao, a tenere banco a Napoli era la storia
d'amore tra Caterina Frezza, figlia di un ricco mercante di stoffe, e Stefano
Mariconda, un semplice e povero garzone. La coppia si incontrava di nascosto
durante la notte, per non farsi scoprire dalla famiglia della ragazza. Il
giovane raggiungeva la casa di lei percorrendo un pericoloso sentiero sui
tetti di Napoli. Una sera, però, fu lanciato nel vuoto e morì.
“Caterinella fu rinchiusa subito dopo in un
convento, dove diede alla luce il bimbo frutto di quella relazione clandestina.
Il piccolo nacque però deforme e la madre cominciò a vestirlo con un saio col
cappuccio, come quello che indossano i frati domenicani. Veniva deriso per le
vie del quartiere Porto e tutti cominciarono a chiamarlo "lu
munaciello". Morì poi misteriosamente, anche se poco dopo ossa di nano
furono rinvenute in una cloaca e molti avanzarono l'ipotesi che potesse essere
stato ucciso dai Frezza. Il popolo napoletano, tuttavia, continuò a vederlo per
le strade della città e ad attribuire alla sua sete di vendetta gli eventi
sfavorevoli che si verificavano.”
Credenze
legate al Munaciello
Il Munaciello si
manifesta agli abitanti della casa con gesti che esprimono simpatia o antipatia
a seconda dei casi. Non a caso un antico proverbio recita: "O Munaciello: a chi arricchisce e a chi
appezzentisce". Secondo il folclore napoletano, non bisogna però mai
rivelarne la presenza se non si vuole attirare su di sé la sfortuna. Lo si può
propiziare lasciando per lui qualcosa da mangiare, che potrà poi trasformare il
cibo in oro, ma non si può poi divulgare la notizia della magia in giro,
altrimenti scomparirà in un battibaleno. Si dice che molti abbiano fatto
improvvisamente fortuna grazie al suo intervento, tanto che quando
qualcuno ha avuto un arricchimento improvviso, si dice "Forse avrà il munaciello in casa". (Fonte dal Web)
I
concerti di Villa Guariglia in Tour sono anche questo, magia
di note e magia di parole, lo stesso suono, lo stesso incanto.
Maria Serritiello
www.lapilli.eu
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