di Maria Serritiello
Con “L’Italia s’è desta”, un piccolo [falso] mistero italiano, di Rosario Mastrota, che ne è anche il regista, e con Dalila Cozzolino, della Compagnia dei Ragli di Roma, il Festival Teatro XS di Salerno, il 26 marzo scorso, è giunto alla sua quarta gara di rappresentazione. Il pezzo scritto dall’autore, è un modo originale di affrontare e dire la propria sulla ‘ndrangheta’ ma anche sulla condizione di annebbiamento generale della nostra patria e lo stato della popolazione vittima di manipolazione diffusa e pervasiva dei mass media.
Carla, la protagonista del monodramma, è da tutti considerata, la scema del paese, per cui la sua non è mai la verità ma è pura invenzione del suo cervello bacato. Intanto lei, nei suoi giri solitari in bicicletta, marcata Vicini, ultimo modello, assiste al rapimento del pullman bianco della nazionale di calcio italiana, a due mesi dall’inizio dei Mondiali. Alla notizia bomba, subito si scatena il carosello da parte dell’esercito, della politica, del mondo dello sport e di giornalisti in odore di scoop. Passano i giorni e della nazionale non se ne sa nulla, eppure la soluzione della misteriosa scomparsa si sarebbe risolta presto, se avessero ascoltato la testimonianza di Carla, ma lei, si sa, è figlia di un Dio minore e come tale è invisibile, né è attendibile per quello che va dicendo. Il muro di omertà degli abitanti, servi della ‘ndrangheta, si issa e si confonde con tutte le altre forze mediatiche, che non fanno altro che confondere le tracce o possibili piste da seguire. Il paese è al centro delle notizie e si gode la popolarità, senza tener conto della verità che può essere gridata al microfono, in uno dei collegamenti televisivi, proprio da Carla, la scema del paese, che incolpevole ed ignara appartiene ad una famiglia di “boss”. Il suo stesso padre è sparito e non ha fatto più ritorno a casa, uno sgarro agli ‘ndraghetisti, ma dal suo canto, aveva precedentemente, fatto sparire per sempre, Maria, l’amica con la quale Carla si confidava. E ‘ndranghetisti risulano anche il macellaio, il giornalaio ed il fruttivendolo con i quali, la ragazza faceva cenno di conversazione, nella sue ingenue uscite.
Quando principia il monologo, Carla arriva in sella alla bicicletta, che le regala la libertà di movimento, purché la ritirata sia prima che faccia notte, a sentir sua madre, dal manubrio pendolano due buste di platica, piene di oggetti che mostrerà in seguito. La scena è arredata in maniera spartana, su cui si distinguono una sedia, con la spalliera ricoperta di figurine della raccolta Panini, un tavolino senza pretese, su cui la protagonista poggia un vecchio modello di radio, gracchiante e malfunzionante, più simile ad un vecchio giocattolo. Issata la bici sul cavalletto, Carla ci introduce nella sua condizione di come la vedono e la considerano gli altri componenti della famiglia e la gente che le sta intorno e con le quali intrattiene saltuari e occasionali rapporti. Semplice e ingenua in un mondo di lupi e faine finisce naturalmente con l'essere considerata tarda mentalmente e come tale per niente degna di attenzione o di ascolto, niente a che vedere con le informazioni di cui sono capaci e fautori, i vari soloni dei giornali o delle televisioni, pronti a gettarsi, quali condor affamati, sulle prede della cronaca nera ed a imbastire su di essi intere settimane di spettacoli spazzatura. La ragazza che sta sul palco, gonnellina corta, calze scure e fiocchetti nei capelli, era nata sana, ma una caduta dalle braccia della mamma l’ha resa infantile ed ingenua per sempre. Della sua famiglia non conosce i segreti ed attende con orgoglio il presidente “Mattarello” come lo chiama lei, per essere insignita di medaglia al valore di civile per aver scoperto dove la ‘ndrangheta nascondeva i calciatori. Nell’ attesa del suo momento di gloria, il monologo si riempie di riflessioni, niente affatto stupide, come i suoi compaesani vorrebbero che fossero, sull’Italia sempliciona, vittima dei mass-media e delle manipolazioni che da essi derivano. Un racconto metaforico di come vanno le cose e di come la parte buona dell’Italia resta inascoltata, perché l’altra parte di faine e di lupi opera affinché questa sia considerata tarda mentalmente. “Mattarello” non arriva e forse tarderà anche il riconoscimento, essendo lei, che, attendendolo, calza scarpe più adatte ad una cerimonia d’onore, figlia di un boss della ‘ndrangheta, da generazioni. A Carla non resta che l’etichetta di ritardata, continuando ad essere tale per sempre, altro che medaglia al valor civile! Ciò lascia l’amaro in bocca se poi ci si domanda: ma l’Italia s’è desta veramente?
Un testo originale, che merita tutte le menzioni, raccolte dal 2012, ad oggi, in ogni manifestazione. Bravo l’autore Rosario Mastrota che ne ha tessuto la trama, ma eccezionale il recitato di Dalila Cozzolino che ha saputo caratterizzare il ritardo mentale del personaggio, con il corpo, la vivacità facciale, la mimica e l’inflessione dialettale perfetta, un calabrese stretto ma comprensivo facile, che le addolciva il tono, anche nei momenti particolari. La sua caratterizzazione ha reso il pezzo, non sempre calibrato, vuoi per ripetitività inutili, vuoi per certi momenti lenti e caricaturali, eccellente. Efficace il fascio di luce e buona la scelta musicale curata dallo stesso autore, di Ramazzotti e Toto Cutugno, rievocativi di qualche tempo fa, che di tanto in tanto escono dalla sgangherata radio e che Carla consulta per sapere della sua premiazione.
Maria Serritiello
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