Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
A sipario aperto la scena
si presenta oscura e con vari oggetti che serviranno allo spettacolo: due
scatole di cartone, un tavolino, una lavagna ricoperta da un foglio bianco,
colori per dipingere, due scialli dai toni accesi, una quinta stretta ed alta,
che delimita lo spazio scenico con una sua funzione ad effetto. Si va ad
iniziare…
Ai lati del piccolo ed accogliente Teatro del Giullare, due donne vestite
di nero, con orpelli ornamentali rosso fuoco, leggono di rimando delle lettere,
tratte dal diario personale di Frida
Kalo. E’ di lei, del racconto della sua vita, di lei com’è fatta, che si
legge. Una personalità dirompente,
un’artista con un’impronta personale, volitiva e libera fin dai primi anni
della sua esistenza. La lettura va avanti, le due donne si spostano, si
scambiano di posto, poi al centro della scena, aggiungono particolari al
racconto. A 18 anni, un evento che le
segna la vita: un incidente all’uscita di scuola. L’autobus su cui viaggia, con
il fidanzato Alejandro, si scontra con un tram, finendo contro un muro. Le
conseguenze per Frida sono disastrose: la colonna vertebrale le si spezza in
tre punti nella regione lombare; si frantuma il collo del femore e le costole;
la gamba sinistra riporta 11 fratture e il passamano dell'autobus le trafigge
l'anca sinistra; il piede destro rimane slogato e schiacciato; la spalla
sinistra resa lussata e l'osso pelvico spezzato in tre punti. Subisce 32
operazioni chirurgiche ed uno stupro ad opera del corrimano dell’autobus che le
vieterà per sempre di avere figli, ma è viva.
Uno spettacolo
orgogliosamente al femminile, cinque in tutto, tre le donne in scena, con la
regia e le luci dietro le quinte per creare uno spettacolo perfetto. La
sensibilità e la delicatezza di Brunella
Caputo, sua, infatti, è la regia e
la drammaturgia, hanno messo a punto un insieme di canto, di parole e di due
Kalo, immaginate a proposito, per dare respiro alla narrazione, quale riflesso
di una delle due in uno specchio, come quello usato dalla sfortunata pittrice,
per riflettere la sua immagine; lei nel letto intenta a ritrarsi. “Dipingo
me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco
meglio" La drammaturgia di Brunella Caputo, scritta in chiave
poetica, ci porta diritti nel suo dolore, nel suo vivere costantemente con la
morte, 32 operazioni, hanno il loro peso. Una dolenza che non le viene solo dal
suo fisico straziato, ma anche dal suo animo, egli stesso ammalato, che ha un
nome, Diego Rivera, l’uomo che sposa per ben due volte, dopo averlo lasciato,
ma che nel riprenderselo deve passare sui suoi tradimenti, uno su tutti, impossibile
e violento, con sua sorella Cristina. Le
sue lettere, lette sommessamente da Giovanna
Adamo e Cettina Iossi, intervallate da canti di calda atmosfera latina,
riconoscibilissimi: Amado mio ed
Historia de un amor, vocalizzati dalla limpida e forte voce di Maria Luisa Pagliano, sono stati
l’ossatura portante dello spettacolo.
“La mia notte non c’è e tu mi
manchi. “La morte è la mia compagna inseparabile”. “La pittura è l’unica
ragione per aspettare la notte” “La mia città è senza luna, la mia notte mi
precipita”
Frasi di un monologo
interiore di intensa sofferenza, una costante nella breve vita di Frida Kalo,
muore, infatti, a 47 anni. Dalle lettere si passa a scartare le foto, custodite
da due scatole di cartone, ed è lo stesso rimembrare: Alejandro, Diego, i suoi
amanti, le donne con le quali c’è stata un’intesa fisica, ma tutto rubricato con
dolcezza femminile, senza che l’oscenità maschile, faccia capolino. E poi la
sua pittura quella del dolore, dell’erotismo, delle figure ibride, tanto da
farla riconoscere come surrealista, ma non è così, non è un modo per uscire
dalla logica ed immergersi nel subconscio, piuttosto il prodotto della sua
vita, che lei cerca, attraverso un simbolismo giocoso, rendere accessibile.
Un esempio fantastico “La magica sorpresa di un leone
nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie” oppure la sua gamba mozzata immersa in un catino
con l’acqua.
“La morte danza intorno
al mio letto durante la notte” e sì che la notte le è
insopportabile come il dolore fisico, sicché la scrittura del diario è l’unica
consolazione; alle parole sono unite immagini, macchie d’inchiostro o linee, tratteggiate
come se fosse in preda all’automatismo.
L’atmosfera è pregnante,
giochi di luci effusi da Virna Prescenzo,
come quello che accende e spegne la quinta, dietro alla quale Maria Luisa Pagliano canta, rendono la
vita di Frida, sognante, libera, affrancata da quel destino così perverso. Le
scorie materiali non la toccano, Lei è più forte, ce l’ha fatta ad essere il
simbolo nobile di un femminismo, che negli anni che ci accompagnano sembra aver
perso incisività.
Ci sono vari modi per
conoscere teatralmente la vita di un’artista della cultura mondiale, questo di Frida Kalo, con “ Frida Lettere allo specchio” è quello magico di Brunella Caputo.
Maria
Serritiello
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