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venerdì 6 maggio 2022

“I Giardini dell’Arte” di Firenze con “La signorina Julie” di Strindberg, presenti al 13° Festival XS Città di Salerno



 Fonte: www.lapill.eu

di Maria Serritiello


Niente di nuovo sotto il sole, nel capolavoro di Strindberg, La Signorina Julie, l’opera che fu ritenuta, oscena e proibita, ma siamo nel 1888 e se ne comprende il giudizio. Di per sé la storia, che voleva apparire di larghe vedute non lo è affatto, avanzata solo nella scrittura, nella rappresentazione fisica, ma conformista nella sostanza, sì perché Jean non è altro che uno sciocco arrampicatore sociale che si gioca malamente le carte, se alla fine, le conseguenze del suo stupro ricadono solo su Julie, ed in maniera così estrema.

In una notte d’inizio estate, precisamente quella di San Giovanni, Julie e Jean hanno un incontro carnale, certamente provocato da lei, dalle sue moine infantili, dalle sue voglie innocenti, dal risveglio inaspettato dai sensi, da una voglia di provocare solo perché lei è la Signorina Julie, la padrona e lui non è altro che il suo servo. Spinge la provocazione sino a servire facile l’intento del servitore che è quello di scalare i gradini sociali, tanto da eliminare le ovvie barriere  tra di loro. La fuga e naturalmente i soldi di Julie un piano perfetto a cui ha pensato da sempre. Per conquistarla, ecco raccontarle la favola di tutti gli uomini meschini, lui l’ha sempre amata, fin da bambina, quando la guardava dalla sua capanna da servo, mentre lei passeggiava nel giardino della villa. La tela tessuta intorno alla solitudine di Julie comincia ad avere effetti, la ragazza è abbandonata a se stessa, ad un padre padrone, ad una madre morta. Gira nella casa vuota con la sola compagnia di Kristine, la serva bigotta, che subisce anche lei il fascino perverso di Jean, tanto da farsi tastare liberamente, ma mai arrivare fino in fondo. Il loro stare insieme è più giustificato, il ceto sociale è lo stesso, eppure la serva è più accorta di Julie, prende ma non dà a piene mani. A Julie il gioco seduttivo piace, può smetterlo quando vuole, è la padrona, non lo dimenticasse il servo Jean, per cui gli fa delle richieste sempre più spinte come ad esempio imporgli di baciare il piede calzato dalla scarpa. Sì, vuole umiliarlo, vuole vederlo strisciare per affermare il suo dominio di essere superiore. Lo provoca, lo tocca e si ritira, così più volte, convinta che il gioco lo potesse condurre lei. Ingenua Julie, l’atmosfera, ormai è surriscaldata a dovere e Jean non chiede di meglio, nella sua mente il salto sta per concludersi ed anche in modo facile. Si avvicina alla ragazza con forza e prepotenza, non si poteva più tornare indietro, né serve a Julie il divincolarsi da quella stretta morsa, lei così esile così perbene, lui ormai non si ferma se la porta sotto di sé recalcitrante, urlante, piangente e poi ecco l’affondo. Quello che ne consegue, si lascia immaginare, Julie da signorina perbene, nella sua casa, è trattata alla stregua di una poco di buono e Jean l’avventuriero senza scrupoli, un fantoccio impaurito dalle ire del conte padrone, appena saprà e che lo chiamerà di lì a poco per avere i suoi stivali tirati a lucido. Su tutto si abbatte il giudizio moralistico della serva Kristine, impensabile per lei un atto del genere, consumato nelle cucine della casa. A Julie, infine, non resta che fare i conti con la morale del suo casato più che della credenza del peccato, cerca di assolversi, ma impietoso Jean le indica l’unica soluzione possibile: il suicidio, fornendole anche l’arma, un rasoio affilato.

Appena si fa da parte il sipario, l’aria di tragedia si avverte subito, la scena mostra l’austera cucina della villa, arredata con mobili solidi, ombrosi, senza orpelli e in un angolo, seduta, la serva Kristine, vestita di scuro, capelli tirati all’indietro e con un rosario tra le mani. E’ la notte di San Giovanni, è festa anche per i servitori ma in a cucina si respira aria pesante, aria di attesa. Julie e Jean fuori, nei giardini, mescolati gli altri servitori, provano ad affrontare a modo loro il tema dell’interazione tra le classi sociali e la differenziazione tra il genere maschile e quello femminile, troppo avanzato per la società puritana e conformista di quell’epoca, tanto da restarne schiacciati, ovvero ad esserlo è solo Julie, essendo donna, Jean meschinamente si salva, ma dovrà lucidare per sempre gli stivali del padrone ed accorrere ad ogni suonata furiosa di esso, ma tant’è,  è un  uomo.

 Nel ribadire che molte volte il grande testo o meglio la bontà dello scrittore, facilita la operazione traspositiva del regista: Marco Lombardi, senza per questo voler sminuire la bravura e la resa spettacolare degli attori: Raffaella Afeltra(Julie), Fabio Rubino(Jean), Brenda Potenza (Kristin), ai quali va un plauso incondizionato, mi chiedo perché lo spettacolo mi ha in parte deluso, forse perché Strindberg gioca facile nello scegliere una fanciulla borderline, (attaccamento insicuro), chiusa tra la squassante carnalità e l’onnipresente integralismo becero e bigotto di una religiosità che non lascia vie di scampo? O forse anche per l’anacronismo di tutta la storia, che se per il tempo era un testo avanzato, non lo è stato fino in fondo (vedi il suicidio finale) come l’atto conclusivo a pareggiare le cose.      

Una preziosità sonora è quella del frinire dei grilli, venire dai giardini per invadere la cucina con una ventata di freschezza, ancora possibile il sogno per la Signorina Julie!!!

Maria Serritiello

www.lapilli.eu 



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