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lunedì 21 marzo 2022

Terzo appuntamento al Teatro Genovesi di Salerno per il 13° Festival XS Città di Salerno con “La Soglia” da “Le Sas” di Miche Azama


 Fonte: www.lapilli.eu

di Maria Serritiello

E’ da subito che la galera ti entra dentro, con il suo essere buia, scarna, vuota. L’infelicità si tocca con mano. Là dentro, la liberante ha trascorso 16 anni, ora sta per essere liberata, ha pagato il suo prezzo, ma ciò che ha passato si è attaccato al suo essere, fisicamente, per cui gesti, reazioni, riso, pianto, accennata storia della sua vita, sono sotto gli occhi dello spettatore. Si sa che ha due figli piccoli, al momento della carcerazione, una madre che non vedrà più, morirà il giorno stesso della sua liberazione e nel mezzo la sua detenzione rappresentata con accenti forti, che mozzano il fiato. Due i personaggi, la liberante e l’alter ego, a volte secondina, altre volte compagna di cella ed altre volte ancora il sostegno dei suoi ricordi. La soglia è davanti a lei, ma ne ha paura, e se non fosse all’altezza di riprendere la vita dove l’ha interrotta? Si assiste ad un lento feedback, al processo, al patteggiamento, alla condanna, uno sconto minimo sui 20 anni iniziali, alla disperazione di dover abbandonare i suoi figli, già la maternità è sempre così forte su ogni cosa! Come una bambola di pezza la donna viene trasportata nell’istituto di detenzione, una via crucis l’entrata, sottolineata da rumori di ferraglia, di cancelli che si aprono e si chiudono, trilli di telefoni di martellamenti, di sghignazzi e poi, la cella, un buco senz’aria, due casse per branda, una sedia di nichelio, solo sagoma, per dire che la seduta non è un momento di relax come lo è di solito.

“Togliti l’impermeabile” le intima la carceriere, poi con fredda successione tutti gli altri indumenti, fino a restare nuda, un chiaro simbolismo per dire che in cella non sei più nessuno. Brava, Loretta Giovanetti, la regista che con delicatezza tutta femminile è riuscita a rendere nuda la carcerata senza che le parti in mostra avessero un che ben minimo di volgarità espositiva. Lasciati gli abiti della libertà, ora è apparecchiata per la detenzione.

Le visite dei familiari sono importanti, da tre anni non vede suo figlio, ma oggi è il giorno. Si prepara, si veste, si ravvia i capelli, si pizzicotta le guance per coprire l’ovvio pallore e palpitante si avvia. Torna quasi subito, a testa bassa, lo sguardo fisso ed il lutto nel cuore, suo figlio la rifiuta. La vita non le risparmia mai nulla e così da sempre, fino a spingerla in una cella fetida, dove stranamente trova riparo, tanto peggio di là, dove. Così la compagna di cella diventa la sua famiglia, la depositaria delle sue angosce, dei suoi tormenti, delle sue paure, ma anche dei suoi desideri saffici, insomma nel posto che meno te lo aspetti, tra donnacce, prostitute, ladre ed assassine si sta bene, almeno parli; tra infanticide e bordelli, almeno vivi ed ancora, tra crisi delle tossiche o la radio ad alto volume delle più giovani, i pidocchi, panni stesi e la sporcizia delle barbone, almeno esisti.

Il cambio di destinazione, dopo anni di permanenza nella prima prigione è per lei destabilizzante, un adattamento inaccettabile perché si trovava bene nel primo penitenziario, la strappano via, la sistemano sul cellulare e poi in treno. Di effetto scenico il trasferimento, sottolineato da una musica originale che rende l’andar del treno sulle rotaie.

Nuova ambientazione e nuove angosce fino al momento di abbandonare per sempre la prigione. Sta sulla soglia, si guarda indietro e s’imbuca in una di quelle notti senza regole, dove le detenute trasgrediscono le regole, infischiandosi della cella d’isolamento, ironicamente soprannominata Chamonix, per il freddo e d’estate Saint Tropez. “La notte è nostra direttrice” affermano con voluttà senza freni, l’intreccio dei corpi ne è la dimostrazione.

“Addio allora, addio a tutte voi che restate, con il bagaglio pieno di vite iniziate e spezzate a metà, io vado, ma non so chi trovo ad aspettare… Nessuno! Io vivo da sola con il mio crimine, due colpi di fucile in mezzo al petto di mio marito! Ho 49 anni e sono sulla soglia, voglio uscire, noo non voglio, arriverà la prima guardia, mi aspettano, guarderò il passaporto, la foto è di vent’anni addietro, non mi volterò, porta sfortuna, odo il grido di Nicole, lei sconterà l’ergastolo e l’assenza di un’amica particolare. Non piangerò. Guarderò fisso davanti a me, ho paura …la porta sta per chiudersi. Ecco è fuori … “ci sono lacrime del cuore che non arrivano agli occhi”

 

“La soglia”, in francese “le Sas” di Michel Azama, scritta nel 1986 è il terzo  spettacolo del Festival  Nazionale XS di Salerno presentato dalla produzione Grandi Manovre di Forlì per la regia di Loretta Giovannetti, anima e corpo dello spettacolo al quale prestano il loro talento indiscutibile: Beatrice Buffadini, la liberante e una volenterosa Francesca Fantini. Le ridotte misure del teatro hanno reso il pezzo più drammatico di quanto il testo stesso vorrebbe, per via di una indagine psicologica pressoché superficiale nello scandire passaggi, già drammatici, legati alla localizzazione del tutto: carcere femminile di personalità borderline, responsabili di crimini esecrandi, dove naturalmente tutto è più! Ad equilibrare ed a pareggiare la situazione, ecco l’intervento della regia nella scelta delle musiche originali (Renato Billi) e quelle adattate (Matteo Camorani), che sono funzionali al dipanarsi della storia ed a dettare i tempi delle battute, un terzo personaggio in scena, così come la gestualità corporea.

Maria Serritiello

 

La Soglia, riadattamento testo: Loretta Giovanetti

Ideazione progetto luci: Adler Ravaioli

Colonna Sonora Originale: Renato Billi

 Effetti Sonori Tribunale: Matteo Comorani

Arredi di Scena: Sergio Cangini

Costumi e Oggetti: A cura del Cast

Grafica:Beatrice Buffadini

Una produzione: Grandi Manovre in collaborazione con Orto del  Brogliaccio

                         Regia Loretta Giovanetti



Maria Serritiello

www.lapilli.eu




 

 

 

 

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