Sono trascorsi sedici
mesi senza poter portare a termine la 12 esima rassegna teatrale del Festival
nazionale “Teatro XS -Salerno”, indetta dalla Compagnia dell’Eclissi. La
sospensione al terzo spettacolo, in marzo, ci aveva colti di sorpresa e paura,
il covid 19 stava appestando mondo intero, perciò l’interruzione forzata. Ed
eccoci qua, il primo luglio si riprende, puntuali gli spettatori del Teatro
Genovesi sono dinanzi al sipario rosso che copre lo spazio prima di ogni
spettacolo. Ci salutiamo, abbiamo tutti la mascherina, manteniamo il
distanziamento, attenti a non fare assembramento in quei 10 minuti di attesa
per affollare il teatro. Mi prende la nostalgia (n.d.r.) lo dico a Macello Andria, aggiungendo “sembriamo dei figuranti”, il Festival
ha sempre avuto il suo luogo preciso, il suo spazio, la sua atmosfera che
all’aperto si disperde, tra le mille voci del rione ed il latrare dei cani. Il
Teatro dei Barbuti per me è l’estate piena, agosto, con spettacoli vivaci,
partecipati, è cabaret, è festa, è l’allegria di chi sa che essere in città in
agosto, può godere il fresco, lo sfollamento della città e il buonumore, il
continuum delle vacanze, con le comodità della propria casa.
Però grazie allo slargo
voluto- teatro da Peppe Natella e
continuato con grande perizia da sua figlia
Chiara, noi siamo a concludere l’amato festival.
La scena a
vista e scarna una bambola di pezza altezza uomo, due cassette di plastica ed
un alto involucro di ferro che all’occorrenza, chiudendosi, diventa una gabbia
intorno al monologhista Roberto Capasso.
Il pezzo, presentato, ha un titolo che incuriosisce : Pacchiello, venditore ambulante di taralli,caldi caldi e di guai neri
neri, il testo è di Pasquale Ferro.
Pacchiello, come
spiegherà lui stesso è un untore, uno che ama i soldi e poco, anzi per niente,
la fatica, ha una brutta menomazione fisica, la gobba su di un spalla, che sarà
la sua infelicità e di chi s’imbatterà in lui. Il lavoro lui ce l’avrebbe, il
padre ha un avviato forno ed il pane, mò ci vuole, in casa non manca, ma lui ha
la smania di fare soldi, come se i denari potessero ricompensarlo della sua
bruttezza. Racconta che quando era piccolo e andava per consegne, si nascondeva
e ascoltava le parole delle signore tra cui il debito, l’usura, l’interesse.
Considerò da adulto che questo sarebbe stato il suo mestiere, dare i soldi
guadagnandoci, per poter vedere strisciare ai suoi piedi tutti quelli che non
riuscivano ad estinguere i debiti Cosi fu per Samuele, il suo amico d’infanzia,
bello quanto il sole, che, caduto nelle sue spire, dovette subire l’onta, di
soddisfare le sue voglie, spinto in un portone, mentre sfilavano le colonne
festose dei gigli di Nola. Non andò meglio a Natascia né ad Assunta velo di
sposa. Si marita, pure e fa anche una figlia per non farsi dire dal rione che
non ha capacità sessuali. Insomma un tipo losco, cattivo ed ubriacone, senza un
briciolo di umanità. Vive con la madre l’unica in grado di essergli fedele ed
accogliente e lui, quando la povera vecchierella muore non è in casa accanto a
lei.
Roberto
Capasso ha reso la figura di Pacchiello con grande
veridicità, l’espressione del viso mutevole, ben sottolinea i passaggi, a volte
anche disgustosi, come l’assalto dei pidocchi nei capelli e nel corpo. Un
monologo di sapore antico, come le nenie , cantate sottovoce dallo stesso
Pacchiello, ad esempio:
“Storta
Picoscia tiene e cosce, mosce mosce e sotto o suttanine tiene o scoglio e
margellina”
Il testo, ben arrangiato,
con qualche spunto di pena e malinconia per Pacchiello, risente de Lo cunto de li cunti overo lo
trattenemiento de peccerille, la raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana
scritte da Giambattista Basile ed edite
fra il 1634 e il 1636 a Napoli. Lo stesso Roberto Capasso, bravo nel
ricordare il monologo lungo ed impegnativo, anche dal punto di vista fisico, riecheggiano
le tonalità di Peppe Barra. Uno
spettacolo gradevole, è l’inizio e questo è già tanto
Maria
Serritiello
www.lapilli.eu
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