Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
“A testa Sutta” è uno dei due spettacoli fuori concorso per la chiusura dell’ottava Edizione del Festival Teatro XS, città di Salerno, interpretato da Giovanni Carta della compagnia “Accura” di Marsala
“A testa Sutta", ovvero la violenza dei maltrattamenti familiari, che trovano una propria anticipazione nella durezza della parola "sutta", comparendo nel titolo e nel prosieguo del pezzo, per riferirsi ad una giocosa posizione del "bionno”, dagli occhi azzurri, nato di sette mesi.
Quella familiare è la più pericolosa delle violenze, perché inflitta da chi, per genetica e ruolo, dovrebbe proteggere, anziché vessare Ma tant'è, la condizione di "diverso" innesca meccanismi mentali incomprensibili, che spesso determinano il passaggio all'atto fisico, proprio di chi non dovrebbe fare altro che accudire ed amare con tutto se stesso.
Violenza, che quasi sempre trova nell' adolescenza un humus mentale, particolarmente fertile, fino a determinare comportamenti ad alto rischio per sé e per le persone che girano loro intorno. Una tragedia, per certi versi annunciata, l’adolescenza di “Bionno”, ma che tuttavia ancora ha forza di sorprendere e commuovere nella sua ineluttabilità.
Violenza, che parte da molto lontano e tuttavia trova nella complicità del cugino "cui capiddi nivuri e l'uocchie nivuri", una modalità di essere, per cui i due vivono una loro amicizia, incompresa dai più e che costerà alla fine la morte di entrambi.
Violenza, quasi ovvia e senza scampo, per il giovane adolescente che si ritrova ad essere poco meno di un albino, con occhi azzurri, in una famiglia caratterizzata da archetipiche connotazioni cromatiche opposte e per le quali il padre, quasi non lo riconosce come figlio. Da altri è guardato con diffidenza e dagli amici non è considerato, quasi fosse colpevole di esserci e di voler continuare ad esserci, nonostante il disamore di tutti.
Il monologo che Giovanni Carta interpreta, con una intensità recitativa da brividi è la terza opera di Luana Rondinelli, giovane autrice siciliana, quasi uno scricciolo, ma già rodata e pronta per spiccare il volo come capace drammaturga. Mite e sicura, essa stessa attrice, testimonia una forza e una determinazione quasi inimmaginabili. Su di un palco spoglio, sfondo nero e la presenza di una cassa, di quelle di un tempo, che servivano a conservare il corredo e che di volta in volta sarà, utilizzata, dall'attore, come sedia, panca, podio, si snoda il dramma. In scena la cassapanca conferma la voglia del "diverso", di dire la sua, con le parole scarne, timidamente e tanta ingenuità, “Curre curre cuscine”, canta più volte, da non confondere con la stupidità. “Bionno”, infatti, ha l’innocenza delle anime, fatta di purezza atavica, quella ancora non corrosa dalla malizia.
Con una energia fisica incredibile Giovanni Carta presta la voce e i gesti ai due cugini, ma anche a tutti i membri della parentela, riuscendo a caratterizzare la personalità di ognuno. Il padre, scorbutico e violento, la madre, patetica e semplice, la zia, anonima, il “cucine”, bello e forte, e “bionno” lo sfortunato della famiglia. Alla ricerca di una sua identità, “Bionno”, teso a giocare, una volta tanto, come le regole violente del quartiere imponevano e cioè con una pistola, al grido di chi” trovo, trovo” se la punta alla tempia e pone fine all’ odiata esistenza di "figghiu" mai accettato, come ribadisce la scritta sulla maglietta sdrucita che indossa. Il gioco del nascondersi, cantilenato dalla sua voce, una sorta di mantra, durante la rappresentazione “uno, due, tre, quattro, cinque”… è finito e la tragedia è così conclusa.
Un delicato gioco di luci e di brani musicali, ora dolci, ora duri ed ora elegiaci, hanno reso il monologo di una bellezza stupefacente, soprattutto per il nobile dialetto, il siciliano, con cui è stato recitato.
A Giovanni Carta, vero mattatore della scena, a lui va anche l’impeccabile a regia, i prolungati e meritevoli applausi.
Maria Serritiello
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