Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Che Wilde pregevole ci ha
rappresentato, domenica 16 novembre, Roberto Lombardi!
Lo spettacolo, adattato
dall’interprete, che ne è anche il regista, è tratto dall’opera “Sic” di
Piero Santi (1912- 1990) scrittore raffinato, molto
attento alle tematiche legate all’omosessualità ed omosessuale egli stesso, che
visse apertamente la sua condizione.
Oscar Wilde
ha incarnato da sempre la bellezza, l’eleganza, la classe, l’estetica e la
voluttà, per quel suo modo decadente di vivere, ma non è stato bastevole,
sicché in aggiunta gli è riconosciuto il fascino della parola, del sarcasmo e
l’arguzia degli aforismi.
Come, Lombardi lo avrà
ridisegnato in 50 minuti di spettacolo?
La scena si apre su di
uno spazio nudo, nel fondo solo un tavolino e due sedie, il tutto risulta
scarno, arido e si capisce subito che la sola voce di Roberto Lombardi sarà l’attrazione
principale. Il traffico di Milano irrompe nel silenzio della scena ed un
personaggio sconosciuto, in giacca e cravatta, inizia a comunicare le sue
ambasce a chi gli sta di fronte, uno incontrato per caso. Il dialogo è fitto, costruito
con pause ed accelerazioni, con punti di domanda ed ammissioni, non una
confessione, ma solamente voglia di essere se stesso, senza subire giudizi e
penitenze. Che stravaganza proprio nella
città per eccellenza dell’incomunicabilità, Milano, egli sente di trasmettere i
suoi pensieri, le sue sofferenze ad uno sconosciuto incontrato, in uno dei suoi
innumerevoli giri per il parco, durante la pausa pranzo. Lo invita a bere
qualcosa al bar ed ecco il fiume di parole uscire dal suo animo con sofferenza.
Non è Wilde, ma la sua vita è la stessa, è Salvucci, un oscuro contabile
di una ditta dell’operosa Milano, che inghiottisce chiunque non abbia la
sicumera di Wilde. Accade così che la sua figura è riflessa nello specchio
dello scrittore e la vita si scompagina. Quanto c’è di Salvucci in Wilde e
quanto Wilde in Salvucci è confuso o forse no, è la stessa faccia dell’unica
medaglia che insegue la propria omosessualità senza subire discriminazioni.
Wilde lo fu, patì 2 anni di lavori forzati, fu miseramente tradito dal suo
amante “Bosie”, ma amò con tenerezza infinita i suoi due figli, nati dal
matrimonio con Constance Lloyd. Per i piccoli di casa, Wilde scrisse le più
belle favole, un patrimonio affettivo, il più tenero tradotto in letteratura. E
così un solo specchio teatrale, per riflettere la vita di due anime, senza che
l’una sia migliore dell’altra, una considerazione sulla diversità di genere che
buca l’anima, nonostante la disinvoltura dei tempi. Come martire, Wilde si
consegna ad essere condannato per omosessualità e sconta l’amore che non
dovrebbe mai essere un castigo. “Non sono un peccatore per aver amato i
giovani “Salvucci-Wilde grida il suo dolore all’altro, all’ascoltatore che
lo saluta presentandosi: “Roncaglia capoufficio”
Asciutto, preciso, austero,
Roberto Lombardi è stato ammaliante, e l’attenzione del pubblico senza
niuna distrazione, le parole dell’illuminata pièce sono contate, essenziali,
come d’abitudine nei suoi lavori teatrali. Il dialogo ideale, poi, sulla
bellezza e sull’arte, di Oscar Wilde, intrecciate alle tematiche di Piero Santi,
un puro incantesimo in 50 minuti. La verità nell’arte e la bellezza per
resistenza, chi più di Oscar Wilde? E Roberto Lombardi non se l’è lasciato
sfuggire…
Maria Serritiello

Nessun commento:
Posta un commento