di Maria Serritiello
L’interno della
metropolitana a vista, ha 9 sediolini rossi, di fuori un grosso timer scandisce
secondi che addizionano 2.24 minuti, un tempo ineluttabile, un limite stabilito,
entro il quale si muove l’azione di due sconosciuti: un uomo, Marcos ed una
donna, priva di nome. Realtà e immaginazione s’impossessano della scena e
neanche nel finale c’è nitida chiarezza.
Un contesto banale, dove la metro fa da sfondo
all’incontro occasionale di due sconosciuti, che vivono insieme solo per due
fermate, un luogo quotidiano ed anonimo, ideale per incontri senza conseguenze,
una chiara metafora della vita misteriosa ed intricata.
Sono distanti, 7
sediolini li dividono, abito nero, capelli corti e scialle rosso sulle spalle,
intenta nella lettura di un libro, lei, completo grigio, camicia bianca, senza
cravatta, capelli trasandati e borsa da lavoro in pelle, lui. Ed ecco avere
inizio la narrazione di un tratto di vita disvelata per 2.24 minuti dei due
passeggeri. Un foglietto di carta, per caso o voluto, è lasciato cadere a terra
da parte dell’uomo, prima di scendere alla sua fermata. La donna lo raccoglie
con sussiego e vi legge un’anonima lista di acquisti per la casa,
ripromettendosi di consegnarglielo il prossimo fine settimana, quando si
sarebbero nuovamente incontrati. Inizia, così una fitta rete di messaggi
dall’uno all’altra, dove la posta si alza sempre più e dove il confine dell’innamoramento
si fa sempre più sottile, fino alle richieste impossibili dei due. La donna,
con arte, confeziona il gioco sottile della seduzione, concede e si ritira con
estrema destrezza, implicando nei suoi gesti, forzato sentimento, sensualità
ambigua e sessualità palese, mentre lui innamorato perso, ormai, è in balia
dell’umore volubile della donna. La musica è un forte attrattore tra i due, il
tango triste ballato senza avvitarsi nel vagone vuoto della metro è, però la
negazione più assoluta della voluttuosa seduzione. Marcos ha un piano per
vivere libero l’amore che l’ha preso e che celebra con i versi del poeta
statunitense Wolt Witman, uccidere la moglie e sua figlia! Sì, è sposato, ma
non è l’unico segreto della sua vita, sua madre è stata uccisa(?!) e lui soffocato
dalle sue cure, tanto da esserne malato, è stato nient’altro che un uomo debole
e mai decisionista.
Ecco che la Metro gli
viene in soccorso, con quel breve lasso di tempo, abbinato alla
particolare condizione di solitudine del vuoto vagone, invalicabile
dall’esterno, per dare la stura liberante ai suoi pensieri impossibili, che un
disturbo dell’attaccamento ha potuto provocare nella sua mente. La donna,
distante a sette sediolini rossi, come sanguigno è lo scialle sulle sue spalle,
già seduzione e manifesta carnalità, gli rende forza, vigore e capacità di
realizzare un sogno, quello nato dalla forza del desiderio e non dalla
debolezza accumulata.
Ha in suo possesso tre colpi di rivoltella,
tre colpi per aggiustare la sua vita, forse anche uno e i 2.24 minuti
disposizione che stanno per scadere…
Rivelare la conclusione
sarebbe “delitto” quel finale che ci ha tenuti incollati alle sedie per 90
minuti, senza accorgersene, va svelato sere per sere in teatro, a noi resta di
riflettere sulla bontà del pezzo, della scelta, della bravura attoriale e della
eccellente regia
Decisamente 2.24 è un dramma
psicologico di grande intensità, gli autori hanno dato vita ad una scrittura a
due mani impegnativa e con buoni risvolti creativi, scrivere al femminile, per
l’altro genere, non è sempre facile ed i due scrittori Pascual Carbonell e
Jeronimo Cornelles, amici per caso, ci riescono in maniera egregia.
Scegliere, poi, un lavoro così impegnativo ed avere la volontà di portarlo in
scena, al concorso dell’XS, va tutta la lodevole ammirazione, distribuita
equamente tra il regista Pinuccio Bellone, Della Corte dei Folli, una
nostra vecchia conoscenza e dei due attori: Annachiara Busso e Corrado
Vallerotti, di straordinaria bravura.
Essere stati per 90
minuti rinchiusi nello scompartimento della Metro sotto terra in balia, ora
dell’uno, ora dell’altra, ostaggi dei due personaggi e delle loro ubbie, i segni
di effettiva claustrofobia ed angoscia smisurata ci sono stati tutti. I
dialoghi incisivi e ricchi di sfumature, hanno permesso di esprimere una vasta
gamma di emozioni, dalla gioia alla tristezza, dalla frustrazione alla speranza,
da una conclusione annunciata, a quella non sperata. Non avrà un finale rosa
2.24, come l’amore filmico di “Innamorarsi”, nato nella Metropolitana di New
York, tra Meryl Streep e Robert De Niro, Marcos, che alla donna darà il nome
equivoco di Clodinette, è invaso da un amore folle, forse mai realmente
esistito, se non nella frustrazione della sua mente e della sua psiche
disturbata. Una linea sottile tra sanità e follia, proiezione tra ciò che vede
o crede sia il riflesso del suo stato mentale.
Uno sguardo lucido ed analitico degli autori
su di una mente disturbata e che nell’anonimato della Metro ha la sua compiuta
espressione.
“Non aspettarmi questa
notte, al mio fianco c’è l’inverno…e sono la tristezza e l’inferno.” Marcos
Maria Serritiello
2.24 -Dueventiquattro
di Pascual Carbonell e
Jeronimo Cornelles
con Annachiara Busso e
Corrado Vallerotti
Allestimento scenografico
Gianfranco Sarotto
Coaching Enzo Brasolin
Regia Pinuccio Bellone
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