Fonte:www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
L’8
Maggio, al Teatro Genovesi di Salerno, nell’ambito del 13°
Festival XS è stato presentato dalla Cricca
di Taranto, l’ultimo spettacolo in gara dal titolo “Le ultime lune” di Furio Bordon.
Nel recensire lo
spettacolo (N. D. R) mi sia consentito citare un ricordo personale. Era il novembre del 1996, io ed una mia cara
amica, gettammo il mondo all’aria per procurarci i biglietti per poter vedere
ad un palmo dal naso Marcello
Mastroianni a Napoli, nel teatro Diana del Vomero. Il 19 dicembre dello
stesso anno, a Parigi, Marcello ci lasciava.
Mi sono accostata alla
visione dello spettacolo della “Cricca”
con particolare attenzione, per notare i punti di forza o quelli deboli che
fatalmente sarebbero venuti fuori dall’inevitabile paragone. Invece no, gli
attori A. L’imperio, P. Nardone e A.
Cofano non hanno fatto rimpiangere lo spettacolo originale, segno che ne
hanno dato una versione rispettosa e consapevole, il padre, per esempio, con
quale mostro sacro si confrontava.
La trama è semplice, ma
densa di significato. Un padre anziano, ma vivace di memoria e di cervello,
aspetta il figlio che deve accompagnarlo in una casa di riposo. Nell’attesa,
parla immaginariamente con la moglie morta.
La scena si apre su di
una stanza oscura, con delle delle quinte disegnate da fumetti per fanciulli,
più in là una scrivania per adulto con una lampada seriosa illumina un angolo
ed interrompe l’aria giovanile della camera. L’uomo si sta preparando per
andarsene, si aggiusta la cravatta, le bretelle, i polsini ed indossa la
giacca. La musica sovrasta lo spazio scenico, è Bach “La messa in si minore”,
Agnus Dei, la voce bianca del cantore crea una sorta di attesa, di sospensione
e di aspettativa, malgrado il momento che l’uomo sta vivendo. La sua vita è trascorsa
tra letture, è stato un professore, ascolto della musica e letture, si, tanti
libri letti, quelli che adesso deve lasciare senza sapere la fine che faranno,
ma è sicuro che andranno persi. Là dove andrà, non potrà neanche ascoltare
musica, ai vecchi l’arte dei suoni non piace ed a lui piace ascoltarla senza
l’ausilio delle cuffie, come gli suggerisce la moglie. Cominciano a pesare le rinunce
a cui dovrà assoggettarsi, ma tant’è, è tutto stabilito, deve lasciare la casa,
la sua stanza serve ad uno dei due nipoti. L’alloggio si è fatto piccolo ed i
ragazzi hanno bisogno ognuno della stanza propria. La sua, ancora tinteggiata
da fumetti, andrà alla più piccola. Il dialogo con la moglie va avanti e si
trovano ad analizzare il loro rapporto, sempre profondo, sempre in accordo,
legame solido andato oltre la morte, se oggi, nel mentre che la sua vita sta
per cambiare definitivamente, riesce ad analizzare a ritroso la loro vita
insieme La donna non riesce a capire perché il loro figlio non abbia insistito
a farlo restare, né tornato sulla decisione ferma del padre. Eppure è così e
stranamente l’anziano signore, prova perfino sollievo a riconoscersi vecchio,
ora può pensare a se stesso, visto che non potrà essere ormai felice, essendo
questa condizione appartenuta al passato. “La vecchiaia”, dice l’anziano
professore, “è come la galera ci stai dentro fino alla morte senza fare
progetti”. Una sentenza senza scampo, una condanna a pensarci bene che si
abbatte melanconicamente su di lui
Arriva il figlio, ha
fretta, sono in ritardo, nella casa di riposo già lo attendono e la crudeltà si
rivela in tutta la sua interezza. Ecco la condizione della vecchiaia, da tl’intero
il dialogo con il figlio, ne esce nella realtà più cruda e come tante persone
l’hanno conosciuta; quella di accompagnare i propri vecchi in case di riposo è
una consuetudine moderna, un tempo il vecchio era il centro della famiglia,
oggi un impiccio per essa. Anche se alla fine, padre e figlio trovano la tenerezza,
la realtà non cambia, il vecchio professore se ne va, perché è quella la
soluzione migliore (?) per tutti.
“Le ultime lune” di Furio
Bordon (1943), scritto nel 1994, è forse il pezzo più significativo portato in
scena, per molti lustri dai principali mostri sacri del teatro. Un pezzo di
limpida scrittura, di precise battute, di dialogo stringato sia con la moglie
morta che con il figlio. Tanta ironia serpeggia nell’unico atto che sta a
nascondere la commozione del vecchio professore. Ecco, ognuno può fare proprie
le considerazioni dell’anziano insegnante e immedesimarsi in quello che viene
inscenato, lui lo fa senza isterismi, lamentazioni o facili cedimenti alla
tristezza o a comprensibili slanci emotivi.
Equilibrato e misurato, con lui, siamo attori insieme.
Il pezzo di Bordon è una
parabola che prima o poi ci potrebbe appartenere, forse non con la stessa
crudezza e forse non è la casa di riposo ad ospitare l’uscita della vita, ma la
solitudine, oh sì quella sì che ci starà a fianco. Bravi gli attori della
Cricca ad interpretare intimi sentimenti. Plauso alla compagnia, dunque, per
essere stata capace di rendere in modo lineare e puntuale la fragranza del
testo, che pure essendo di parecchi lustri ha intatti il sapore e la stringente
e commovente vivacità sentimentale della realtà che ci circonda.
Maria
Serritiello
www.lapilli.eu
Allestimento
scenografico: Franco Marassa, Cosimo
Lanzo
Regia.
A L’imperio
Direttrice
di scena Anna Maria Ruina
Audio
e luci: Teresa Fumarola
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