Ferdinando Bianco è nato
a Terzigno, in provincia di Napoli, ma ha svolto la
sua attività di medico, prima a Savoia di Lucania ed il restante ad Avigliano
in Basilicata. Ha due passioni, la frutta, meglio se colta dall'albero e che
mangia a iosa, ed il tennis, sport nel quale è particolarmente versatile, ma
essendo un uomo di scienza, e ' in costante studio della prospettiva
scientifica della problematica esistenziale, ovvero, chi siamo, da dove veniamo
e dove andiamo (il brodo primordiale). Da diversi anni dipinge con tecnica
mista e colori pigmentati e variamente assemblati. Ha un curriculum espositivo di
una certa importanza. Le sue opere possono essere visitate sul suo sito:
biancoferdopere.
Il dott.re Bianco è un accanito lettore di tutto ciò che fa accrescere la conoscenza, compito arduo se si è vissuti avviluppati nelle credenze della comunità. Per noi ha letto " L'illusione della conoscenza" degli studiosi Steven Sloman ePhilip Fernbach e che nelle righe successive prova a dare una breve sintesi della lettura, per introdurci alla tematica
Gli esseri umani hanno sviluppato società e tecnologie molto complesse, ma la maggior parte di noi non sa nemmeno come funziona una penna o una bicicletta. Com'è possibile che si sia ottenuto così tanto nonostante si comprenda così poco? Gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach sostengono che noi sopravviviamo e prosperiamo malgrado le carenze della nostra mente perché viviamo in una ricca comunità della conoscenza. La chiave della nostra intelligenza sta nelle persone e nelle cose intorno a noi. La natura intrinsecamente collettiva della conoscenza spiega perché spesso supponiamo di saperne di più rispetto a quanto effettivamente sappiamo e perché i metodi didattici e di management basati sul singolo individuo spesso falliscono. Ma le nostre menti collaborative ci permettono anche di fare cose incredibili. Questo libro sostiene che il vero genio può essere trovato nei modi in cui creiamo l'intelligenza usando la comunità che ci circonda.
Gli esseri umani hanno sviluppato società e tecnologie molto complesse, ma la maggior parte di noi non sa nemmeno come funziona una penna o una bicicletta. Com'è possibile che si sia ottenuto così tanto nonostante si comprenda così poco? Gli scienziati cognitivi Steven Sloman e Philip Fernbach sostengono che noi sopravviviamo e prosperiamo malgrado le carenze della nostra mente perché viviamo in una ricca comunità della conoscenza. La chiave della nostra intelligenza sta nelle persone e nelle cose intorno a noi. La natura intrinsecamente collettiva della conoscenza spiega perché spesso supponiamo di saperne di più rispetto a quanto effettivamente sappiamo e perché i metodi didattici e di management basati sul singolo individuo spesso falliscono. Ma le nostre menti collaborative ci permettono anche di fare cose incredibili. Questo libro sostiene che il vero genio può essere trovato nei modi in cui creiamo l'intelligenza usando la comunità che ci circonda.
Le credenze sono
difficili da cambiare perché sono avviluppate nei nostri valori, nella nostra
identità e sono condivise con la comunità in cui viviamo. In più, le credenze
che abbiamo nella nostra testa sono poche e spesso errate, modelli causali,
perché si sono andate strutturando in tempi e modi durante i quali, non solo
non eravamo dotati di conoscenze che consentissero una deliberata consapevolezza
ma propensi a costruzione di adeguate e sostenibili credenze. Si viveva periodi
di grande vulnerabilità che faceva il paio con una voglia di apprendere, per
migliorare ed affilare le proprie armi in un contesto afflitto e caratterizzato
da conoscenze sempre più complesse, nonché incontrollabili nel numero degli
ambiti e nella complessità e profondità dei contenuti e dalla turbolenza
esplosiva delle stesse. Cresciuti a pane e credenze, false, a scrocco e
disponibili quasi solo per noi ci siamo sempre ritirati nelle proprie stanze
affidandoci toto corde all’ illusione di conoscere le cose dal momento che la
comunità risponde in modo appropriato alle mie esigenze conoscitive specie se
le stesse sono spesso ridotte al lumicino. Demandiamo sempre di più agli altri,
intendendo per altri non solo i componenti la nostra comunità ma anche i mass
media e i dispositivi elettronici con tutto l’ambaradan ad essi connesso, non
ultimo gli audiolibri e i viaggi virtuali, ancora per fortuna non molto diffusi
in Italia ma già ben presenti all’estero. Qualche volta, si fa per dire, la
nostra comunità sbaglia e spesso noi, per l’ illusione della conoscenza che ci
guida non siamo neanche presi dal dubbio di tale sbaglio e non sentiamo neanche
il bisogno di verificare la nostra personale comprensione delle cose. E’ la
ricetta perfetta per un pensiero antiscientifico con tutto ciò che questo
comporta. Non a caso la rivista scientifica “Le Scienze” in occasione del suo
50* anniversario ha sentito il bisogno di dedicare a tale argomento tutta
una serie di articoli volti a giustificarne e glorificarne l’importanza,
incaricando Chiara Lalli, docente
alla “Sapienza” di Roma, insieme a Carlo Cattaneo, docente anche lui, il
compito di sviscerare in tutta la sua complessità, senza trascurare alcun
dettaglio il ruolo giocato dalla Scienza nello sviluppo armonico e funzionale
di una Società che intendesse fare della democrazia la sua cifra stilistica più
significativa. La conoscenza deliberata e scientifica alla fonte della vita,
dunque, la conclusione che deve sgorgare limpida e pulita dal bailamme delle
informazioni-imput con i quali il contesto sociale-politico reale subissa la
nostra comunità e noi stessi. E se prima si poteva pensare che all’origine del
disamore per la Scienza ci fosse solo un problema di colmare un deficit, alla
luce degli studi fatti in proposito si è capito che non è più un problema di
vuoto da colmare ma di acquisire la consapevolezza della necessità di un cambio
di paradigma, che se da un lato vede impegnati i ricercatori e con essi i
divulgatori scientifici a rivedere il loro modo di porgere la Scienza,
dall’altro vede la società tutta impegnata a incentivare la formazione di
credenze più scientifiche partendo, se il caso lo richiede, dalla
consapevolezza che si può sbagliare e che ci si deve sempre sentire impegnati a
rivedere le proprie conoscenze sulla base delle ultime conquiste della Scienza
stessa. Pena una deriva antiscientifica catastrofica per tutti perché si
diventa più vulnerabili e più manipolabili da possibili malintenzionati. Come
dire che il nostro rapporto con una conoscenza scientifica consapevole assume
un ruolo di primaria importanza per lo sviluppo armonico nostro e della nostra
comunità forse cominciando a considerare il dubbio che la nostra comunità possa
sbagliarsi in merito alla utilità della Scienza.
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