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di Maria Serritiello
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Inaugurata la settima edizione del Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno
Giovedì, 26 Febbraio 2015
Ad inaugurare la settima edizione del Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno, organizzato dal Teatro Genovesi, domenica 15 Febbraio, è stata la compagnia "Si riprende a volare" della città di Manfredonia, con il lavoro "Coppia aperta...anzi spalancata" di Franca Rame e Dario Fo. Foltissimo il pubblico intervenuto che, ogni anno, conferma l'interesse per la rassegna di ottima qualità, anzi aumenta in abbonamenti, come ha annunciato un soddisfatto Enzo Tota "Al consenso dei fedelissimi, quest'anno abbiamo 14 abbonati in più". Cresce la manifestazione per la passione e la dedizione impiegata ed è soddisfazione per tutti quelli che si adoperano in tal senso, ma è anche vanto per Salerno se il Teatro Genovesi ospita qualificate compagnie provenienti da tutta Italia, il meglio dell'amatoriale.
"Coppia aperta...anzi spalancata" fu scritto nel 1980, da una delle coppia più affiatate del teatro italiano, la più impegnata politicamente, la più qualificata se si parla di uno dei due, Dario Fo, Premio Nobel del 1997, per la Letteratura. Senza nulla togliere al marito, questa pièce è tutta al femminile e molto risente di Franca Rame, del suo pensiero che si ritrova in ogni battuta, in ogni vezzo, in ogni esagerata reazione.
In scena per due ore di spettacolo, con una sola interruzione, ci sono loro, lei in procinto dell'ennesimo suicidio, chiusa nel bagno, lui che tenta di dissuaderla dall'estremo gesto. La ragione di tanto sconquasso è sempre la stessa: il tradimento. Eh sì che al marito piacciono le donne ed Antonia non può sopportarlo, ma quando lei stessa capovolgerà le regole del gioco, accettando la coppia aperta, magnificata da lui, a giustifica delle sue scappatelle, trovandosi la compagnia in un uomo bello, intelligente, aitante, sportivo e perfino cantante rock, lui riterrà la cosa inaccettabile e rivendicherà il sacro vincolo del matrimonio, sia pure in modo ridicolo e privo di ogni dignità. Questa in sintesi la trama del testo rappresentato, interpretato egregiamente dall'attrice Assunta Radogna, che ne ha curato anche la regia. La brava attrice coadiuvata da Gianni Fatone, credibile nella parte dell'uomo a cui spetta sfarfalleggiare, ha reso una versione molto gradevole, evitando di rifare il verso all'autrice, che pure aleggia in alcuni passaggi. Entrambi dialogano, tirando in ballo il pubblico, nel tentativo di attirarlo ognuno dalla propria parte, quasi si fosse in un ideale salotto, una carineria della regia molto apprezzata. E' stata coraggiosa, Assunta Radogna, ma l'audacia non è forse delle donne(?), nel mettere in scena il lavoro che è marchiato da due mostri sacri, tanto che il richiamo al confronto poteva essere naturale ed anche temeraria nello spolverare la problematica esistenziale della donna secondo canoni sorpassati. Dal 1980 in poi sono stati fatti passi in avanti dalle donne, che suicidarsi o tentare di farlo perché il proprio marito non è fedele, sembra anacronistico, come pure risultano superati alcuni riferimenti, ad esempio "Il Rischiatutto" trasmissione televisiva del 1970, che la regia poteva evitare.
"La coppia aperta ha i suoi svantaggi funziona se è aperta da una sola parte, quella del maschio, perché se è aperta da tutte e due le parti ci sono certe correnti d'aria..." Battuta sarcastica pronunciata da Antonia in cui c'è del vero, gli uomini non hanno rinunciato al possesso della propria donna e vedersela sfuggire non è loro congeniale, anche con conseguenze estreme, se ci si riferisce al fenomeno del femminicidio, ma ciò che differisce dagli anni '80, epoca della creazione del testo, è che allora non vi era piena consapevolezza, il movimento femminista aveva ancora il suo bel da fare.
In scena per due ore di spettacolo, con una sola interruzione, ci sono loro, lei in procinto dell'ennesimo suicidio, chiusa nel bagno, lui che tenta di dissuaderla dall'estremo gesto. La ragione di tanto sconquasso è sempre la stessa: il tradimento. Eh sì che al marito piacciono le donne ed Antonia non può sopportarlo, ma quando lei stessa capovolgerà le regole del gioco, accettando la coppia aperta, magnificata da lui, a giustifica delle sue scappatelle, trovandosi la compagnia in un uomo bello, intelligente, aitante, sportivo e perfino cantante rock, lui riterrà la cosa inaccettabile e rivendicherà il sacro vincolo del matrimonio, sia pure in modo ridicolo e privo di ogni dignità. Questa in sintesi la trama del testo rappresentato, interpretato egregiamente dall'attrice Assunta Radogna, che ne ha curato anche la regia. La brava attrice coadiuvata da Gianni Fatone, credibile nella parte dell'uomo a cui spetta sfarfalleggiare, ha reso una versione molto gradevole, evitando di rifare il verso all'autrice, che pure aleggia in alcuni passaggi. Entrambi dialogano, tirando in ballo il pubblico, nel tentativo di attirarlo ognuno dalla propria parte, quasi si fosse in un ideale salotto, una carineria della regia molto apprezzata. E' stata coraggiosa, Assunta Radogna, ma l'audacia non è forse delle donne(?), nel mettere in scena il lavoro che è marchiato da due mostri sacri, tanto che il richiamo al confronto poteva essere naturale ed anche temeraria nello spolverare la problematica esistenziale della donna secondo canoni sorpassati. Dal 1980 in poi sono stati fatti passi in avanti dalle donne, che suicidarsi o tentare di farlo perché il proprio marito non è fedele, sembra anacronistico, come pure risultano superati alcuni riferimenti, ad esempio "Il Rischiatutto" trasmissione televisiva del 1970, che la regia poteva evitare.
"La coppia aperta ha i suoi svantaggi funziona se è aperta da una sola parte, quella del maschio, perché se è aperta da tutte e due le parti ci sono certe correnti d'aria..." Battuta sarcastica pronunciata da Antonia in cui c'è del vero, gli uomini non hanno rinunciato al possesso della propria donna e vedersela sfuggire non è loro congeniale, anche con conseguenze estreme, se ci si riferisce al fenomeno del femminicidio, ma ciò che differisce dagli anni '80, epoca della creazione del testo, è che allora non vi era piena consapevolezza, il movimento femminista aveva ancora il suo bel da fare.
Nessuna meraviglia se "Coppia aperta quasi spalancata" è la commedia più rappresentata e con successo al mondo, gli uomini si riconoscono, così come descritti, quando sono contrattaccati dalla propria donna, mentre loro s' identificano con l'arte della seduzione e il suscitar gelosia, poste in opera dalla protagonista per mantenersi il proprio uomo. In sostanza il costrutto è semplice se è l' "eterno femminino" a trionfare, in barba ai movimenti di emancipazione. Ciò che è utile attualmente in una scrittura di tal genere è la memoria storica, il ricordare il punto di partenza della liberazione della donna presso i giovani che di memoria, a furia di trovare le cose già belle e fatte, ne fanno senza. E' questo il merito maggiore della scelta fatta da Assunta Radogno, oltre all'impeccabile interpretazione e la cura posta nel dirigere il compagno di scena, senza surclassarlo, Gianni Fatoni.
L'insieme della rappresentazione è tenuto unito da una sobria scenografia e sottolineato dalla musica di un giovane Joe Cocher, Feelin' Alright, che con breve jingle ha avviato, intervallato e concluso lo spettacolo. Una commedia piacevole che va incontro ad un finale rasserenante ad opera di due attori eccellenti, anzi tre, vuoi per la sola presenza scenica, Assunta Radogno, Gianni Fatoni e Raffaele De Feudis. Un buon lavoro come inizio per il seguitissimo Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno.
L'insieme della rappresentazione è tenuto unito da una sobria scenografia e sottolineato dalla musica di un giovane Joe Cocher, Feelin' Alright, che con breve jingle ha avviato, intervallato e concluso lo spettacolo. Una commedia piacevole che va incontro ad un finale rasserenante ad opera di due attori eccellenti, anzi tre, vuoi per la sola presenza scenica, Assunta Radogno, Gianni Fatoni e Raffaele De Feudis. Un buon lavoro come inizio per il seguitissimo Festival Nazionale Teatro XS città di Salerno.
Maria Serritiello
01 Marzo 2015
Tre atti unici di Anton Cechov: I danni del tabacco, l'Orso e La domanda di matrimonio, per una rappresentazione fuori dal comune, firmata Enzo Marangelo, al piccolo Teatro del Giullare di Salerno, fino al 1° marzo prossimo. In 60 minuti di spettacolo, non sono solo gli attori a recitare in maniera eccezionale, ma anche gli oggetti che ruotano intorno a loro, diventando essenziali al pari degli attori, se non di più, come la terra, color fondo di caffè, che occupa tutto il calpestio del palco, le sedie, la farina che l'eccezionale Gaetano Fasanaro impasta con le uova, sgusciate al momento, appiccicandosela addosso, così come ad alcuni spettatori della prima fila, ed ancora cipria sparsa profumata per l'aria, terra che Stepanovna raccoglie nel vestito per indicare il possesso e sedie, sfondate e non, più che per sedersi sono utilizzate come oggetti di rivolta. Uno spettacolo allegro, divertente, giocoso, clownesco, dove il teatro, dall'interno, prova a divertire prima se stesso e poi il pubblico. E si vede questo divertimento negli gli attori che, pur impiegando fatica, nel saltare, rotolare, lottare, spostare oggetti e nel caso del superlativo Andrea Bloise, nel mimare in tic nervosi di ogni genere caratterizzanti Ivan Vasil' evic Lomov, si sentono più che mai soddisfatti. Un divertissement scelto non a caso dal regista per l'efficacia del testo, ma anche per rappresentarlo in modo del tutto originale e personale. Un Cechov alleggerito da ogni scoria strettamente letteraria, che poteva appesantire il testo, come nel caso dei "I danni del tabacco", che Enzo Marangelo ha intelligentemente reso, caricando la caratterizzazione degli attori. Ne sono usciti dei bozzetti clownistici assolutamente piacevoli, come nell'orso, dove è magistralmente rappresentato il passaggio repentino dall'odio all'amore dei due protagonisti, mentre il maggiordomo Carlo Orilia, sparisce alla ricerca della pistola per la sfida al duello tra i due. Anche per "La domanda di matrimonio "a fare scena è la straordinaria bravura di Andrea Bloise, un autentico ginnasta, per come si destreggia sulle sedie e Piera De Piano, il cui movimento delle mani, bene ha reso il montare isterico della sua ansia. Autentico mestiere di attore si rileva in Carlo Orilia, un convulso e confusionario, generoso quanto inefficiente, maggiordomo e in Matteo Amaturo, il quale ben caratterizza il ritrovato orgoglio paterno, al di là del pressante desiderio di accasare sua figlia. Brava, come sempre in ogni parte assegnatale, Amelia Imparato che nell'Orso è la vedova inconsolabile, ma pronta a cambiare status. Lui che la tenta, Rocco Giannattasio, è un'autentica rivelazione nel ruolo di Grigorij Stepanovic Smirnov. Tutti sono apparsi tonici, vivaci, ginnici e divertiti. Notevole è il contributo di Virna Prescenzo, che oltre alla scelta delle musiche insieme a Davide Curzio, presente nonostante il suo essere oltre oceano, si è impegnata nell'assistenza alla regia e a curare le luci.
Maria Serritiello
06 Marzo 2015
La signorilità, come la gentilezza, diventa sempre più merce rara e se si aggiunge la passione immacolata per il teatro e tanta professionalità, i risultati sono eccellenti. Lo spettacolo offerto dalla compagnia "TeatroNovanta" di Gaetano Stella ed Elena Parmense, coppia di teatro e di vita, al Teatro delle Arti di Salerno, il 27 febbraio scorso, ne è' una conferma puntuale, tanto più significativa se si tiene conto che andava in scena la commedia per antonomasia di Eduardo De Filippo "Filumena Marturano". Pochi sapienti tocchi, di pura classe, hanno fatto sì che ci si è commossi e si è riso uscendo dal teatro convinti di aver fatto un pieno, personale, di ottimismo e buoni sentimenti.
Si comincia con una luce radente sulla testa degli spettatori centrali delle prime file, che fa da sfondo e supporto alla voce calda, forte, vigorosa e napoletana di Tommaso Fichele. Canta, evocativo e magico, "Lu Cardillo" arrangiata dal mago Guido Cataldo, il Maestro salernitano che così lusinghieri successi sta ottenendo in tutta Italia col suo musical "America. La luce si allarga su di una scena d'interno, dominata dal rosso, cui fa da contralto il grigio azzurrino delle pareti ed uno splendido scorcio di paesaggio con case, un vero e proprio quadro! Tale scena rimarrà per tutti i tre atti a testimoniare la scelta, non casuale, di costringere gli spettatori a concentrarsi sulla sceneggiatura magistrale di Eduardo. Varieranno i colori del tavolo in primo piano, della tappezzeria e delle tende, giallo nel II° atto, bianco nel III°. Suggestivo, intenso e possente il prologo di danza classico-moderna del II° atto, come struggente, dolcissimo e di forte impatto emotivo l'uscita di scena della coppia Soriano- Marturano, accompagnata dalla stessa luce radente del I° atto e dalla voce amorosa del giovane Tommaso Fichele che ha riproposto una edizione toccante di "Uocchie c'arragiunate. Pochi interventi, apparentemente minimalisti hanno reso questa edizione di Filumena Marturano, ricordevole. Puntuali, precisi, come da copione, gli interventi dei personaggi di contorno, Chiara de Vita, Antonello Cianciulli, Alessandro Caiazza, Manuel Mascolo, Alfio Battaglia, Elisabetta Condorelli, Lucia Voccia, Francesca Stella, Daniele Nocerino, Valter Aversa. Ottima la prova resa da Elena Parmense, che va ad aggiungersi a quella delle grandi attrici del passato, Regina Bianchi e Regina Senatore, quest'ultima salernitana doc le ha dato consigli per bene interpretare il personaggio. Commovente è stato il monologo della Madonna delle rose ed il pianto liberatorio nel finale. Lei sempre battagliera nel difendere i diritti dei propri figli, di fronte un Domenico Soriano forte, incisivo e deciso a preservare la sua onorabilità di uomo ma altrettanto pronto ad asservirla alla sua anima napoletana. Vale la pena ribadire che la versione approntata da Gaetano Stella è piaciuta moltissimo, la sua anima gentile si è vista tutta, come è piaciuta la decisione di far assistere ad una richiesta di matrimonio, non prevista, da parte di un giovane per la sua amata, salito sul palco tra i sorrisi compiaciuti del pubblico e la benevolenza di Gaetano. Ancora una volta Gaetano Stella, il buon papà della sua compagnia, ha dispensato accoglienza e amorevole sostegno per tutti e quando c'è lui è l'amore a trionfare.
Si comincia con una luce radente sulla testa degli spettatori centrali delle prime file, che fa da sfondo e supporto alla voce calda, forte, vigorosa e napoletana di Tommaso Fichele. Canta, evocativo e magico, "Lu Cardillo" arrangiata dal mago Guido Cataldo, il Maestro salernitano che così lusinghieri successi sta ottenendo in tutta Italia col suo musical "America. La luce si allarga su di una scena d'interno, dominata dal rosso, cui fa da contralto il grigio azzurrino delle pareti ed uno splendido scorcio di paesaggio con case, un vero e proprio quadro! Tale scena rimarrà per tutti i tre atti a testimoniare la scelta, non casuale, di costringere gli spettatori a concentrarsi sulla sceneggiatura magistrale di Eduardo. Varieranno i colori del tavolo in primo piano, della tappezzeria e delle tende, giallo nel II° atto, bianco nel III°. Suggestivo, intenso e possente il prologo di danza classico-moderna del II° atto, come struggente, dolcissimo e di forte impatto emotivo l'uscita di scena della coppia Soriano- Marturano, accompagnata dalla stessa luce radente del I° atto e dalla voce amorosa del giovane Tommaso Fichele che ha riproposto una edizione toccante di "Uocchie c'arragiunate. Pochi interventi, apparentemente minimalisti hanno reso questa edizione di Filumena Marturano, ricordevole. Puntuali, precisi, come da copione, gli interventi dei personaggi di contorno, Chiara de Vita, Antonello Cianciulli, Alessandro Caiazza, Manuel Mascolo, Alfio Battaglia, Elisabetta Condorelli, Lucia Voccia, Francesca Stella, Daniele Nocerino, Valter Aversa. Ottima la prova resa da Elena Parmense, che va ad aggiungersi a quella delle grandi attrici del passato, Regina Bianchi e Regina Senatore, quest'ultima salernitana doc le ha dato consigli per bene interpretare il personaggio. Commovente è stato il monologo della Madonna delle rose ed il pianto liberatorio nel finale. Lei sempre battagliera nel difendere i diritti dei propri figli, di fronte un Domenico Soriano forte, incisivo e deciso a preservare la sua onorabilità di uomo ma altrettanto pronto ad asservirla alla sua anima napoletana. Vale la pena ribadire che la versione approntata da Gaetano Stella è piaciuta moltissimo, la sua anima gentile si è vista tutta, come è piaciuta la decisione di far assistere ad una richiesta di matrimonio, non prevista, da parte di un giovane per la sua amata, salito sul palco tra i sorrisi compiaciuti del pubblico e la benevolenza di Gaetano. Ancora una volta Gaetano Stella, il buon papà della sua compagnia, ha dispensato accoglienza e amorevole sostegno per tutti e quando c'è lui è l'amore a trionfare.
Maria Serritiello
06 Marzo 2015
Tre giorni di cioccolato a gogò, dal 19 al 22 marzo prossimo, bastano per addolcire il palato? Sembrerebbe proprio di sì, se nel gustarlo si ha la visione di uno dei più bei lungomari d'Italia, lungo 1° km e mezzo e largo 30 metri. A possedere questo meraviglioso giardino, arricchito da palme e tamerici, è la città di Salerno, incantevole affaccio sul Mediterraneo, che dopo le luci d'artista, nelle quali era coinvolta la vista, ora ci riprova interessando il gusto. Tre giorni, dunque per assaporare il miglior prodotto artigianale del cioccolato di qualità, presente sul territorio nazionale, senza tralasciare le eccellenti realtà del territorio locale. La manifestazione del Claai Salerno, patrocinata dal Comune e con la collaborazione della Tanagro Legno Idea, si terrà nella Piazza Cavour sul Lungomare di Salerno e aprirà gli stand dalle ore 10,00 alle 22,00. Sarà una buona occasione per godere della bontà di tale prodotto, liberandosi dei pregiudizi che spesso lo demonizzano e conoscerne le innumerevoli qualità che ne giustificano pienamente il largo uso, ancora oggi dalla sua scoperto.
Maria Serritiello
Terra Smossa e La Smorfia Teatro, di Gravina in Puglia, secondo spettacolo al Festival Teatro XS Salerno
07 Marzo 2015
E' "La Morsa" di Luigi Pirandello, il secondo spettacolo in gara, al 7° Festival Nazionale "Teatro XS città di Salerno, con le Compagnie: La Terra Smossa e La Smorfia Teatro, di Gravina in Puglia, (Ba), il 28 febbraio scorso.
Ciò che va detto subito è il coraggio del regista Gianni Ricciardelli di rappresentare un'opera quasi sconosciuta del Nobel italiano, con difficoltà di rappresentazione evidente. "La Morsa" è un epilogo in un atto, dove le parole sono bilanciate al tutto che si poggia su gesti lenti, espressioni intense e drammatiche conclusioni. Il fermo immagine dell'inizio rappresenta una casa, una famiglia: moglie, marito, figli(2), cameriera con grembiule ed una figura maschile di troppo: la stessa sarà la rovina della padrona di casa. La scena si anima e si allontanano prima i figli, poi il marito e la cameriera, per rimanere da sola la moglie che vive il suo bene tra lettere d'amore, l'amico libro, tre sedie e un tavolino, sguardi tristi e preoccupati, ora sognanti ora afflitti, tra moti dell'animo e slanci frenati. Una colonna sonora romantica, drammatica, struggente e bruciante accompagna i gesti dell'attesa di lei. Intrigante, dietro alle sue spalle, la scenografia minimale che punta tutto su di un drappo di colore rosso fuoco, che corre all'interno di una cornice giallo dorata, posta a torreggiare, quale finestra, sul buio tragico della vita. L'apertura spalancata sul nulla farà da testimone, nel tempo, con un gioco di contrasto, tra il nero fondale, il drappo rosso e la cornice, quasi un omaggio al pittore Burri. Anche i vestiti che indossano i vari personaggi e il loro colore hanno una logica che li connota, per cui si parte dal tetro grigio dei maschi di famiglia, al bordò scuro della moglie ed a quello chiaro, ma indefinito dell'amante. Ed eccolo l'incontro con l'innamorato a scolpire un legame fatto di paura e di ineluttabile fragilità, che non lascia presagire niente di buono, più che l'amore può la paura di essere scoperto. Il Vaticinio diventa quasi una certezza al comparire del marito, un intenso, rigido ed impietoso, giustiziere, interpretato da Leo Coviello, peccato per la sua afonia, ne avremmo percepito tutte le sfumature interpretative. Alto, scarnito, il serio cipiglio, sempre più fisicamente incarna da vicino gli autoritratti di Lucian Freud, così adatto, consapevole del tradimento della moglie, ad istigarla al suicidio per poi accusare l'amante di averla uccisa. Epilogo drammatico scritto nell'aria e nei volti che nessuno vuole modificare e forse non lo può fare.
Un lavoro serio, difficile, impegnativo, degno della tradizione pirandelliana del Teatro Genovesi salernitano, che un superlativo Leo Coviello, il marito, maschera tragica ed inflessibile, ha interpretato con fisicità ed assoluta bravura il ruolo. Anche Giulia che non fa simpatia per la capacità di cambiare pelle, ora con l'amante, ora col marito e per la fragilità emotiva mostrata negli sguardi amorosi, provocatori, disperati accompagnati dai silenzi immensi, meritevolmente sono stati resi da Maria Pia Antonacci. Un buon lavoro svolto va riconosciuto al regista Gianni Ricciardelli che con pochi accorgimenti ha reso rappresentativo il difficile pezzo, di certo il meno significativo di Pirandello. Buona l'inedita interpretazione musicale e simpatica la partecipazione dei bambini.
Il festival si fermerà per due settimane, così annuncia Enzo Tota, il prossimo spettacolo ci sarà il 22 marzo e già il pubblico si sente orfano dell'incontro settimanale. Già il Festival Nazionale Teatro XS è anche socievolezza, cordialità, comunanza e scambi di giudizi, intensificati, da quest'anno, per il voto che anche il pubblico deve esprimere.
Ciò che va detto subito è il coraggio del regista Gianni Ricciardelli di rappresentare un'opera quasi sconosciuta del Nobel italiano, con difficoltà di rappresentazione evidente. "La Morsa" è un epilogo in un atto, dove le parole sono bilanciate al tutto che si poggia su gesti lenti, espressioni intense e drammatiche conclusioni. Il fermo immagine dell'inizio rappresenta una casa, una famiglia: moglie, marito, figli(2), cameriera con grembiule ed una figura maschile di troppo: la stessa sarà la rovina della padrona di casa. La scena si anima e si allontanano prima i figli, poi il marito e la cameriera, per rimanere da sola la moglie che vive il suo bene tra lettere d'amore, l'amico libro, tre sedie e un tavolino, sguardi tristi e preoccupati, ora sognanti ora afflitti, tra moti dell'animo e slanci frenati. Una colonna sonora romantica, drammatica, struggente e bruciante accompagna i gesti dell'attesa di lei. Intrigante, dietro alle sue spalle, la scenografia minimale che punta tutto su di un drappo di colore rosso fuoco, che corre all'interno di una cornice giallo dorata, posta a torreggiare, quale finestra, sul buio tragico della vita. L'apertura spalancata sul nulla farà da testimone, nel tempo, con un gioco di contrasto, tra il nero fondale, il drappo rosso e la cornice, quasi un omaggio al pittore Burri. Anche i vestiti che indossano i vari personaggi e il loro colore hanno una logica che li connota, per cui si parte dal tetro grigio dei maschi di famiglia, al bordò scuro della moglie ed a quello chiaro, ma indefinito dell'amante. Ed eccolo l'incontro con l'innamorato a scolpire un legame fatto di paura e di ineluttabile fragilità, che non lascia presagire niente di buono, più che l'amore può la paura di essere scoperto. Il Vaticinio diventa quasi una certezza al comparire del marito, un intenso, rigido ed impietoso, giustiziere, interpretato da Leo Coviello, peccato per la sua afonia, ne avremmo percepito tutte le sfumature interpretative. Alto, scarnito, il serio cipiglio, sempre più fisicamente incarna da vicino gli autoritratti di Lucian Freud, così adatto, consapevole del tradimento della moglie, ad istigarla al suicidio per poi accusare l'amante di averla uccisa. Epilogo drammatico scritto nell'aria e nei volti che nessuno vuole modificare e forse non lo può fare.
Un lavoro serio, difficile, impegnativo, degno della tradizione pirandelliana del Teatro Genovesi salernitano, che un superlativo Leo Coviello, il marito, maschera tragica ed inflessibile, ha interpretato con fisicità ed assoluta bravura il ruolo. Anche Giulia che non fa simpatia per la capacità di cambiare pelle, ora con l'amante, ora col marito e per la fragilità emotiva mostrata negli sguardi amorosi, provocatori, disperati accompagnati dai silenzi immensi, meritevolmente sono stati resi da Maria Pia Antonacci. Un buon lavoro svolto va riconosciuto al regista Gianni Ricciardelli che con pochi accorgimenti ha reso rappresentativo il difficile pezzo, di certo il meno significativo di Pirandello. Buona l'inedita interpretazione musicale e simpatica la partecipazione dei bambini.
Il festival si fermerà per due settimane, così annuncia Enzo Tota, il prossimo spettacolo ci sarà il 22 marzo e già il pubblico si sente orfano dell'incontro settimanale. Già il Festival Nazionale Teatro XS è anche socievolezza, cordialità, comunanza e scambi di giudizi, intensificati, da quest'anno, per il voto che anche il pubblico deve esprimere.
Maria Serritiello
Fuori concorso al settimo Festival Nazionale XS città di Salerno “Quando le donne erano di sinistra”
18 Marzo 2015
Fuori concorso al settimo Festival Nazionale XS città di Salerno ed in anticipo sulla giornata della donna, il 1 marzo al teatro Genovesi è andato in scena "Quando le donne erano di sinistra" di Marino Zanetti, sua è anche la regia. Ad interpretare il pezzo è stata l' "Associazione Collettivo Terzo Teatro Gorizia", che tranne alcuni spunti suggestivi come la dolcezza della scena d'apertura, la tipizzazione macchiettistica della comunista sindacale, integralista quanto improvvida e la drammatica consapevolezza della bugia ideologica della figlia che torna amareggiata e delusa, si snoda malinconicamente monocorde e inutilmente triste nei discorsi desueti e scontati delle protagoniste.
"Quando le donne erano di sinistra" e quando erano di moda le ideologie, ovvero tanto ma davvero tanto tempo fa, i lustri si fanno in doppia cifra, è un testo teatrale che non rende giustizia alla condizione della donna in genere e meno che mai a quella politica. La donna rappresentata è una figura perdente, quasi consapevole di non aver alcun diritto ad avere voce in capitolo, ne' di poter sperare in uno slancio di vitalità. Il testo non affronta un'indagine psicologica incisiva ed in esso, non un moto di rivincita, non un anelito di libertà, né un grido d'insurrezione. Ciò che si concedono e si scambiano sono le riflessioni mattutine prima di entrare in fabbrica, ma è più un lamento sulla loro condizione che una consapevolezza di essa e quando vogliono svagarsi le ritroviamo a "ciaccolare", sedute in cerchio a sferruzzare, quasi che la loro operosità non debba mai interrompersi, in attesa dell'ora di cena, dove altro lavoro le attende. Un modo di essere di sinistra non certo illuminato, un tentativo di essere dalla parte delle lavoratrici ma che ne fa unicamente
delle figure modeste e senza luce. Quelle viste muovere dinanzi ad un fondale nero pece, né luce a rischiararle, neanche l'unica finestra con tendine di merletto a fare da spiraglio e che accettano passivamente la loro condizione più per mancanza di idee che per la bruttura della condizione, sono delle brave massaie, prestate alla fabbrica, al lavoro di braccia non per affermare un diritto ma per essere gregarie al lavoro dell'uomo. Un recital fiacco con dialoghi, monologhi e pezzi cantati, evocativi e di lotta, interpretati e ben modulati, più per rispondere alla liturgia del tempo che per essere incisivi ed emozionali.
Le considerazioni non propriamente positive sul testo esulano dal giudicare la bravura delle attrici che hanno mostrato buona capacità recitativa, buone voci per il canto, sia singole che corali e soddisfacente caratterizzazione dei personaggi. Le donne viste in scena, grazia a Dio non ci somigliano più, ma ne apprezziamo il sacrificio del cammino, senza il quale noi non saremmo così.
delle figure modeste e senza luce. Quelle viste muovere dinanzi ad un fondale nero pece, né luce a rischiararle, neanche l'unica finestra con tendine di merletto a fare da spiraglio e che accettano passivamente la loro condizione più per mancanza di idee che per la bruttura della condizione, sono delle brave massaie, prestate alla fabbrica, al lavoro di braccia non per affermare un diritto ma per essere gregarie al lavoro dell'uomo. Un recital fiacco con dialoghi, monologhi e pezzi cantati, evocativi e di lotta, interpretati e ben modulati, più per rispondere alla liturgia del tempo che per essere incisivi ed emozionali.
Le considerazioni non propriamente positive sul testo esulano dal giudicare la bravura delle attrici che hanno mostrato buona capacità recitativa, buone voci per il canto, sia singole che corali e soddisfacente caratterizzazione dei personaggi. Le donne viste in scena, grazia a Dio non ci somigliano più, ma ne apprezziamo il sacrificio del cammino, senza il quale noi non saremmo così.
Maria Serritiello
Presentata all’Auditorium Comunale di Pagani la commedia brillante “Vacanze Turche”
21 Marzo 2015
In un'unica serata, il 14 marzo scorso, nell'elegante Auditorium Comunale "Sant'Alfonso dei Liguori di Pagani, è andata in scena "Vacanze Turche", commedia brillante scritta da Cinzia Mirabella, che ne è anche interprete, assieme a Rosaria De Cicco.
Due amiche, Lisa e Gioia si ritrovano a dover condividere la stanza d'albergo, per la loro vacanza in Turchia, con un misterioso sconosciuto, avvenente che si rivelerà dai modi rudi. Questa in sintesi l'ossatura del pezzo rappresentato in due tempi, su cui s'innesta il vivacissimo dialogo delle due donne cinquantenni, l'una vedova, l'altra single e non per propria scelta, dal quale emergono desideri, sogni e voglia di dare una svolta alla propria esistenza. Il dialogo serrato, poi, a tratti divertente e a tratti scontato e comunque sempre indicativo di una qualche problematicità nei rapporti con l'altro sesso tra le due protagoniste, distrae, forse volutamente, lo spettatore rendendolo quasi cieco ai sottili giochi di luci che preannunciano spesso, più delle parole, l'arrivo sulla scena del "turco". Il giovane, Mario De Felice, un ex tronista di Maria Di Filippi, ricorda sempre più da vicino un rampante esemplare della fauna napoletana, a ribadire, se ce ne fosse bisogno, la virtualità della sua presenza, un sogno delle due o anche una sua possibile realtà sognata. Su questa sottile linea di demarcazione, tra il sogno desiderato e la virtualità di un'esistenza, si giocano delicati intrecci psicologici e verbali che trovano una loro definitiva consacrazione nella trasformazione mentale e comportamentale del maschio. Infatti a conclusione dello spettacolo, il turco da Neanderthal man si trasforma in un serioso damerino che legge compassato l'Ulisse di Joyce. Nel passo prescelto si chiarisce che spesso la virtualità
e' più reale della realtà stessa, dal momento che per giochi spesso ignorati della mente, ciò che noi pensiamo sia la realtà, altro non è che un prodotto sofisticato e attendibilissimo della nostra mente. In sostanza, il turco è una figura davvero esistente o è una proiezione mentale delle due donne? Verrebbe da credere che il troglodita quanto il galante lettore di un libro, che non è alla portata di tutti, siano due aspetti di un'unica realtà interiorizzata dalle protagoniste.
Spigliata, divertente e padrona della scena, Rosaria De Cicco, pacata, ponderata e apparentemente distaccata, Cinzia Mirabella, che ha saputo creare un testo, sì divertente, ma con un certo contenuto che lascia tracce e riflessioni. Soddisfacente la figura del turco, Mario De Felice, che dalla sua ha un fisico statuario che si disvela nei due atti, tra luci ed ombre.
Vacanze turche verrà presentato a Napoli nel prossimo week-end. Direttore di Produzione: Andre Axel NobileProduzione e Management: Tiziana Beato.
Due amiche, Lisa e Gioia si ritrovano a dover condividere la stanza d'albergo, per la loro vacanza in Turchia, con un misterioso sconosciuto, avvenente che si rivelerà dai modi rudi. Questa in sintesi l'ossatura del pezzo rappresentato in due tempi, su cui s'innesta il vivacissimo dialogo delle due donne cinquantenni, l'una vedova, l'altra single e non per propria scelta, dal quale emergono desideri, sogni e voglia di dare una svolta alla propria esistenza. Il dialogo serrato, poi, a tratti divertente e a tratti scontato e comunque sempre indicativo di una qualche problematicità nei rapporti con l'altro sesso tra le due protagoniste, distrae, forse volutamente, lo spettatore rendendolo quasi cieco ai sottili giochi di luci che preannunciano spesso, più delle parole, l'arrivo sulla scena del "turco". Il giovane, Mario De Felice, un ex tronista di Maria Di Filippi, ricorda sempre più da vicino un rampante esemplare della fauna napoletana, a ribadire, se ce ne fosse bisogno, la virtualità della sua presenza, un sogno delle due o anche una sua possibile realtà sognata. Su questa sottile linea di demarcazione, tra il sogno desiderato e la virtualità di un'esistenza, si giocano delicati intrecci psicologici e verbali che trovano una loro definitiva consacrazione nella trasformazione mentale e comportamentale del maschio. Infatti a conclusione dello spettacolo, il turco da Neanderthal man si trasforma in un serioso damerino che legge compassato l'Ulisse di Joyce. Nel passo prescelto si chiarisce che spesso la virtualità
e' più reale della realtà stessa, dal momento che per giochi spesso ignorati della mente, ciò che noi pensiamo sia la realtà, altro non è che un prodotto sofisticato e attendibilissimo della nostra mente. In sostanza, il turco è una figura davvero esistente o è una proiezione mentale delle due donne? Verrebbe da credere che il troglodita quanto il galante lettore di un libro, che non è alla portata di tutti, siano due aspetti di un'unica realtà interiorizzata dalle protagoniste.
Spigliata, divertente e padrona della scena, Rosaria De Cicco, pacata, ponderata e apparentemente distaccata, Cinzia Mirabella, che ha saputo creare un testo, sì divertente, ma con un certo contenuto che lascia tracce e riflessioni. Soddisfacente la figura del turco, Mario De Felice, che dalla sua ha un fisico statuario che si disvela nei due atti, tra luci ed ombre.
Vacanze turche verrà presentato a Napoli nel prossimo week-end. Direttore di Produzione: Andre Axel NobileProduzione e Management: Tiziana Beato.
Maria Serritiello
10 Aprile 2015
L'ultima vittoria" di Luigi Lunari, terza pièce, nel quadro del VII Festival Nazionale, Teatro XS, Città di Salerno, è stata rappresentata al Genovesi dalla compagnia "I Cattivi di cuore" di Imperia, per la regia di Gino Brusco, il 22 marzo scorso.
E' l'urlo, seguito da un lungo lamento che stringe la gola ed affanna il respiro dei presenti a colpire di più. Il viso stravolto dalla smorfia di dolore, che lo rassomiglia al noto quadro di Munch, di Chiara Giriboldi, una delle due protagoniste, è il sunto di questo difficile pezzo, per intensità, drammaticità e fatica interpretativa, del drammaturgo vivente Luigi Lunari. Lei, Marta, esuberante, sicura, sfrontata per come approccia la vita, non può reggere alla crudeltà del destino, non lei una campionessa di razza, brava a tirar di scherma, tanto da vincere il podio ogni volta. Di contro, Alice, Giorgia Brusco, sua sorella, mite, religiosa, timorata e schiva, che pur possedendo grosse capacità ha abbandonato la scherma per dedicarsi alla famiglia. Tra di loro un lungo dialogo portato fino alla fine, inframmezzato dallo sport, l'unico praticato da entrambe, che un tempo le ha viste unite. E' la vigilia delle Olimpiadi, Marta è in procinto di partire, accorta Alice le sta intorno, per accudirla, per riempire la valigia di cose utili, tanto si sa che Marta è svagata. Sono felici le due sorelle, ricordano volentieri pezzi della loro esistenza, tutto sembra scorrere nella normalità, ma di lì a poco si compirà la tragedia. Scorrono su di uno schermo montato in fondo alla scena, immagini in bianco e nero che descrivono ciò che succede a Marta in una frazione di secondo per la scelta dolosa di sua sorella. Quando il quadro si spegne appare Marta su di una sedia a rotelle e se ne intuisce la tragedia. Alice le è accanto senza alleviare, pur nella doverosa dedizione, l'infinita pena di Marta. Una sorta di "Che fine ha fatto Baby Jane", un film cult del 1962, di Robert Aldrich, il rapporto conflittuale tra le due sorelle, in seguito all'incidente paralizzante. Podio mancato, anzi per la campionessa Marta, mai più il gradino più alto come si annuncia, nella scenografia costruito ad arte, da una lunga cassapanca senza il basamento apice della vittoria. Marta è stata trafitta dalla sorella, ma è pur sempre una campionessa ed eccola vincere di nuovo e ad Alice, sterile, offre il suo utero per concepirle un figlio. Un'ultima vittoria e questa volta sulla vita, prima che Alice, a cui ha chiesto la fine, compia l'atto finale.
Testo lucido, duro, paradossale, vince chi perde e perde chi grida alla vittoria. Un dilemma, per l'autore, sul chi siamo, sul ruolo svolto dal libero arbitro nel gioco della esistenza di ognuno e su quanto siamo capaci di controllare le proprie pulsioni più ancestrali, specialmente sotto stress. Su questo dilemma si srotola lo stringente dialogo delle due sorelle che raggiunge tre momenti particolarmente amari soprattutto quando Marta diventa consapevole della sua condizione, quando Alice ammette la propria colpevolezza e quando Marta, a sua volta manifesta la propria gioia per la vittoria sulla sorella ma non sulla vita.
Bellissimo il monologo di Alice, Giorgia Brusco, come il viso tragico e la recitazione passionale di Chiara Giriboldi. Luigi Lunari, l'autore, ha scritto il testo appositamente per le due eccezionali interpreti che di esso ne hanno fatto un capolavoro interpretativo. Buona la musica di sottofondo che va dagli Abba, alla quinta sinfonia di Sciostokovic e alla quarta sinfonia di Mahler. Suggestiva la scelta della regia di servirsi di colori tenui ed il bianco ed il nero per la scenografia, dove però, spicca ripetuto il colore rosso (la valigia, la copertina dei libri, la coperta, il cappotto di alice ed il giocattolo del bimbo nel filmato), segno che il sangue non della passione ma del sacrificio è annunciato.
E' l'urlo, seguito da un lungo lamento che stringe la gola ed affanna il respiro dei presenti a colpire di più. Il viso stravolto dalla smorfia di dolore, che lo rassomiglia al noto quadro di Munch, di Chiara Giriboldi, una delle due protagoniste, è il sunto di questo difficile pezzo, per intensità, drammaticità e fatica interpretativa, del drammaturgo vivente Luigi Lunari. Lei, Marta, esuberante, sicura, sfrontata per come approccia la vita, non può reggere alla crudeltà del destino, non lei una campionessa di razza, brava a tirar di scherma, tanto da vincere il podio ogni volta. Di contro, Alice, Giorgia Brusco, sua sorella, mite, religiosa, timorata e schiva, che pur possedendo grosse capacità ha abbandonato la scherma per dedicarsi alla famiglia. Tra di loro un lungo dialogo portato fino alla fine, inframmezzato dallo sport, l'unico praticato da entrambe, che un tempo le ha viste unite. E' la vigilia delle Olimpiadi, Marta è in procinto di partire, accorta Alice le sta intorno, per accudirla, per riempire la valigia di cose utili, tanto si sa che Marta è svagata. Sono felici le due sorelle, ricordano volentieri pezzi della loro esistenza, tutto sembra scorrere nella normalità, ma di lì a poco si compirà la tragedia. Scorrono su di uno schermo montato in fondo alla scena, immagini in bianco e nero che descrivono ciò che succede a Marta in una frazione di secondo per la scelta dolosa di sua sorella. Quando il quadro si spegne appare Marta su di una sedia a rotelle e se ne intuisce la tragedia. Alice le è accanto senza alleviare, pur nella doverosa dedizione, l'infinita pena di Marta. Una sorta di "Che fine ha fatto Baby Jane", un film cult del 1962, di Robert Aldrich, il rapporto conflittuale tra le due sorelle, in seguito all'incidente paralizzante. Podio mancato, anzi per la campionessa Marta, mai più il gradino più alto come si annuncia, nella scenografia costruito ad arte, da una lunga cassapanca senza il basamento apice della vittoria. Marta è stata trafitta dalla sorella, ma è pur sempre una campionessa ed eccola vincere di nuovo e ad Alice, sterile, offre il suo utero per concepirle un figlio. Un'ultima vittoria e questa volta sulla vita, prima che Alice, a cui ha chiesto la fine, compia l'atto finale.
Testo lucido, duro, paradossale, vince chi perde e perde chi grida alla vittoria. Un dilemma, per l'autore, sul chi siamo, sul ruolo svolto dal libero arbitro nel gioco della esistenza di ognuno e su quanto siamo capaci di controllare le proprie pulsioni più ancestrali, specialmente sotto stress. Su questo dilemma si srotola lo stringente dialogo delle due sorelle che raggiunge tre momenti particolarmente amari soprattutto quando Marta diventa consapevole della sua condizione, quando Alice ammette la propria colpevolezza e quando Marta, a sua volta manifesta la propria gioia per la vittoria sulla sorella ma non sulla vita.
Bellissimo il monologo di Alice, Giorgia Brusco, come il viso tragico e la recitazione passionale di Chiara Giriboldi. Luigi Lunari, l'autore, ha scritto il testo appositamente per le due eccezionali interpreti che di esso ne hanno fatto un capolavoro interpretativo. Buona la musica di sottofondo che va dagli Abba, alla quinta sinfonia di Sciostokovic e alla quarta sinfonia di Mahler. Suggestiva la scelta della regia di servirsi di colori tenui ed il bianco ed il nero per la scenografia, dove però, spicca ripetuto il colore rosso (la valigia, la copertina dei libri, la coperta, il cappotto di alice ed il giocattolo del bimbo nel filmato), segno che il sangue non della passione ma del sacrificio è annunciato.
Maria Serritiello
11 Aprile 2015
Nel quadro delle iniziative, che il salotto letterario "Il Papiro", da poco sorto, ma ricco della partecipazione di personalità notevoli per ampiezza e lucidità mentale, intende portare avanti, c'è quella di presentare opere poco conosciute, ma non per questo modeste, di autori contemporanei. Il fine è di incoraggiarli ed in qualche modo aiutarli a dare il meglio di sé, continuandone ad accrescere maggiore espressività alla e alle loro passioni, sottolineandone i pregi, chiarendo i passaggi più oscuri, invitando i lettori alla riflessione e coinvolgendo gli autori in chiacchierate alfine di una indagine produttiva ed edificante per tutti.
A tal proposito la scelta di questo primo incontro è caduto sulla pièce tragica "Il migliore dei mondi impossibili" scritto con grande sensibilità e maestria da Anna Rotunno, scrittrice ed insegnante di latino e greco al Liceo De Sanctis di Salerno. I presenti all'incontro hanno avuto modo di apprezzare il testo visualizzandolo da un dvd, frutto di una rappresentazione, di qualche tempo fa, al Teatro del Giullare di Salerno, per la regia di Andrea Carraro. L'opera si pone nell'ottica di una rilettura prospettica e ad un ampliamento della tematica dell'Antigone di Sofocle.
Tempi duri per chi ha capacità linguistica superiore dove l'aggettivo fa riferimento alla forza e alla bellezza di un testo tanto elegante quanto di notevole lignaggio letterario, quasi elitario e come tale meritevole di diversa fortuna, per non rischiare di cadere nel dimenticatoio di una società che rifugge qualsiasi problematica esistenziale.
A tal proposito la scelta di questo primo incontro è caduto sulla pièce tragica "Il migliore dei mondi impossibili" scritto con grande sensibilità e maestria da Anna Rotunno, scrittrice ed insegnante di latino e greco al Liceo De Sanctis di Salerno. I presenti all'incontro hanno avuto modo di apprezzare il testo visualizzandolo da un dvd, frutto di una rappresentazione, di qualche tempo fa, al Teatro del Giullare di Salerno, per la regia di Andrea Carraro. L'opera si pone nell'ottica di una rilettura prospettica e ad un ampliamento della tematica dell'Antigone di Sofocle.
Tempi duri per chi ha capacità linguistica superiore dove l'aggettivo fa riferimento alla forza e alla bellezza di un testo tanto elegante quanto di notevole lignaggio letterario, quasi elitario e come tale meritevole di diversa fortuna, per non rischiare di cadere nel dimenticatoio di una società che rifugge qualsiasi problematica esistenziale.
Tema di grande respiro, urgenza, attualità e pregnanza, nonché ricco di vari spunti, quello scelto dall' autrice. Antigone, rinchiusa in cella, per aver infranto la legge emanata dallo zio Creonte che vietava a chiunque di dare sepoltura al corpo di Polinice, suo fratello, reo di aver scatenato una guerra di potere contro suo fratello Eteocle, esso stesso proclamato eroe e come tale sepolto con tutti gli onori, sceglie di morire pur potendosi sottrarre a tale destino per un tempestiva clemenza del re Creonte!
A tale decisione Antigone arriva riandando alle sue origini che le riservano una natalità contaminata, per essere figlia di suo fratello, ma anche per le sue scelte di vita come conseguenza della consapevolezza della propria condizione. Antigone, infatti, è figlia e sorella del padre, impura e consapevole della propria aberranza genetica, pur tuttavia incapace di resistere al richiamo della propria carnalità di sorella. In Antigone c'è la determinazione di non volersi allineare, di volersi sottrarre alle etichette ingiuste della società nella quale non si riconosce più. In un rigurgito di resipiscenza la società ammetteva di aver sbagliato e di riconoscere quindi la giustezza rivendicativa di lei, Antigone, dal canto suo riconosce altresì di non poter accettare neanche quel mondo, che prova a migliorare, dal "basso". Una pièce tragica, dunque, che pone sul tappeto problemi seri e come tale costringe lo spettatore a fare sue, le domande della protagonista e provare a comprendere che, alla fine anche quel mondo perfettibile, agognato dall'eroina ante litteram di Sofocle, finisce per essere, per la stessa, solamente il migliore......dei mondi impossibili!
Verrebbe da chiedere all'autrice che cosa le lascia e che cosa si porta da questa Antigone, La discussione si accende improvvisa tra gli astanti, segno che ognuno da questa tragica figura di Antigone ha da portarsi qualcosa, per ancestrale sentire e lascia in ognuno la consapevolezza di vivere per certi versi, in modo inadeguato.
Ci si augura un proliferare di autori profondi e preparati, come dimostra di saper fare l'abilissima Anna Rotunno, che del linguaggio colto e raffinato ne fa arma seducente. Futuro gramo per una società che dimentica i suoi numeri primi e ...uno!
A tale decisione Antigone arriva riandando alle sue origini che le riservano una natalità contaminata, per essere figlia di suo fratello, ma anche per le sue scelte di vita come conseguenza della consapevolezza della propria condizione. Antigone, infatti, è figlia e sorella del padre, impura e consapevole della propria aberranza genetica, pur tuttavia incapace di resistere al richiamo della propria carnalità di sorella. In Antigone c'è la determinazione di non volersi allineare, di volersi sottrarre alle etichette ingiuste della società nella quale non si riconosce più. In un rigurgito di resipiscenza la società ammetteva di aver sbagliato e di riconoscere quindi la giustezza rivendicativa di lei, Antigone, dal canto suo riconosce altresì di non poter accettare neanche quel mondo, che prova a migliorare, dal "basso". Una pièce tragica, dunque, che pone sul tappeto problemi seri e come tale costringe lo spettatore a fare sue, le domande della protagonista e provare a comprendere che, alla fine anche quel mondo perfettibile, agognato dall'eroina ante litteram di Sofocle, finisce per essere, per la stessa, solamente il migliore......dei mondi impossibili!
Verrebbe da chiedere all'autrice che cosa le lascia e che cosa si porta da questa Antigone, La discussione si accende improvvisa tra gli astanti, segno che ognuno da questa tragica figura di Antigone ha da portarsi qualcosa, per ancestrale sentire e lascia in ognuno la consapevolezza di vivere per certi versi, in modo inadeguato.
Ci si augura un proliferare di autori profondi e preparati, come dimostra di saper fare l'abilissima Anna Rotunno, che del linguaggio colto e raffinato ne fa arma seducente. Futuro gramo per una società che dimentica i suoi numeri primi e ...uno!
Sabato, 18 Aprile 2015
Molto Piacere" è la commedia presentata il 12 aprile scorso, al Teatro Genovesi di Salerno, IV spettacolo del settimo Festival Nazionale "Teatro XS" Città di Salerno. A portarla in scena è stata la Compagnia Impiria di Verona, per la regia di Andrea Castelletti. Tratta dalla commedia di Reza Yasmine "Il Dio del Massacro", è stata trasferita sul grande schermo da Roman Polanski, col titolo "Carnage"
Il pezzo mette a nudo le dinamiche relazionali che si sviluppano nell'ambito della coppia e delle coppie quando messe a confronto, sia in modo fortuito, sia in modo programmato, come lo è in questo caso. Ciò che s'immagina all'inizio è un civile incontro tra genitori, i cui figli sono venuti alle mani ed uno di essi, il figliolo dei genitori ospitanti, ha avuto la peggio. Ma non è così, nonostante i buoni propositi delle due parti. Ai convenevoli iniziali, mantenuti al limite della formalità, man mano si sostituiscono, in un crescendo ansiogeno, ingiurie ed offese. Così i quattro genitori si scagliano l'un contro l'altro, a volte anche in modo pesante (il vomito su gli album della padrona di casa o la rottura del porta cipria, ricordo della nonna, della genitrice ospite) e ciò che contribuisce alla vivace bagarre, che monta ogni volta, è il continuo gioco di alleanze fra di loro, sicché la controparte non è mai fissa e destabilizzata porta per mano alla scena finale.
La commedia, divertente e graffiante, rappresentata in ottanta minuti, senza nessuna interruzione, rinchiude lo spettatore in un ambito ristretto, quale il salotto della casa, costringendolo ad assistere fino alla fine a forsennati battibecchi. Si assiste così, a dialoghi serrati e a tratti a sedute terapeutiche codificate che mettono a dura prova le forze e la bravura degli attori, costretti a stare per lungo tempo all' impedì o seduti su scomodissime sedie giocattolo, come a sancire la regressione infantile, cui vanno incontro i componenti delle coppie, allorquando sono chiamati ad esibire le proprie convinzioni esistenziali e a tirare fuori gli aspetti peggiori della propria personalità. La scelta dei mobili in miniatura non è altro che la materializzazione del disagio avvertito dai genitori che devono scusarsi. L'avvocato, il papà portato per i capelli dalla consorte in quel posto, un pezzo di Marcantonio, ha fatto molta fatica a raggomitolarsi sul divano e ad accomodarsi sulla sedia, per sorbire il caffè. Ecco, anche le tazze sono bricchettini da caffè, la minuteria creata ad arte, necessita, perché l'ego della coppia danneggiata possa essere soddisfatto. Un oggetto, quale il cellullare dell'avvocato, è stato il quinto personaggio in scena, il trillo quasi ininterrotto li ha più volte gettati l'uno contro l'altro, interrompendo il ritmo degli improperi e dell'azione per caricarli di aggressività. Sicché i personaggi si aggregano, si sgregano, si prendono in giro e nei lemmi amorevoli, pronunciati nel discorso, vi è già traccia di battute che, accenderanno la discussione, di lì a poco.
Una seduta di gruppo, a volte scontata, altre volte irritante e altre volte ancora ironica, iniziata in palcoscenico e finita tra gli spettatori, quando come atto liberatorio il pubblico è scoppiato in un irrefrenabile applauso mentre in scena i protagonisti si sono lanciati di tutto. Ciò non vuol dire che si è applaudito solo per questo, ma nel battere le mani c'è stata anche la liberazione per una situazione conflittuale, caduta addosso allo spettatore, sempre rappresentata ai margini e mai esplosa. Interessanti risultano certe invenzioni sceniche, tra cui il fermo immagine, gli arrivi diversificati dei protagonisti e la scelta di non tergiversare sui comportamenti dei minori.
rappresentato dalla Compagnia Teatro Impiria di Verona
La Giuria tecnica conferisce una speciale menzione di merito a Bruno Frusca interprete del ruolo di Simone in Alcesti o la recita dell'esilio di Giovanni Raboni, messo in scena dalla Compagnia teatrale La Betulla di Nave (BS).
Premio speciale della Giuria tecnica allo spettacolo Molto Piacere
il Premio della Giuria dei Giovani Molto Piacere liberamente tratto dal film Carnage di Roman Polanski per la regia di Andrea Castelletti rappresentato dalla Compagnia Impiria di Verona
Graduatoria PREMIO DEL PUBBLICO
LA TERRA SMOSSA – LASMORFIA TEATRO (GRAVINA IN PUGLIA, BA)
La Morsa. Epilogo in un atto
di Luigi Pirandello - regia di Gianni Ricciardelli
7,11
GRUPPO TEATRALE LA BETULLA (NAVE, BS)
Alcesti o la recita dell'esilio
di Giovanni Raboni - regia di Bruno Frusca
8,03
COMPAGNIA SI RIPRENDE A VOLARE (MANFREDONIA, FG)
Coppia aperta... quasi spalancata
di Franca Rame e Dario Fo - regia di Assunta Radogna
8,49
I CATTIVI DI CUORE (IMPERIA)
L'ultima vittoria
di Luigi Lunari - regia di Gino Brusco
8,64
TEATRO IMPIRIA (VERONA)
Molto piacere
liberamente tratto dal film Carnage di Roman Polanski
regia di Andrea Castelletti
8,75
LA CORTE DEI FOLLI (FOSSANO, CN)
Piccoli crimini coniugali
di Éric Emmanuel Schmitt - regia di Marina Morra
9,01
Maria Serritiello
Il pezzo mette a nudo le dinamiche relazionali che si sviluppano nell'ambito della coppia e delle coppie quando messe a confronto, sia in modo fortuito, sia in modo programmato, come lo è in questo caso. Ciò che s'immagina all'inizio è un civile incontro tra genitori, i cui figli sono venuti alle mani ed uno di essi, il figliolo dei genitori ospitanti, ha avuto la peggio. Ma non è così, nonostante i buoni propositi delle due parti. Ai convenevoli iniziali, mantenuti al limite della formalità, man mano si sostituiscono, in un crescendo ansiogeno, ingiurie ed offese. Così i quattro genitori si scagliano l'un contro l'altro, a volte anche in modo pesante (il vomito su gli album della padrona di casa o la rottura del porta cipria, ricordo della nonna, della genitrice ospite) e ciò che contribuisce alla vivace bagarre, che monta ogni volta, è il continuo gioco di alleanze fra di loro, sicché la controparte non è mai fissa e destabilizzata porta per mano alla scena finale.
La commedia, divertente e graffiante, rappresentata in ottanta minuti, senza nessuna interruzione, rinchiude lo spettatore in un ambito ristretto, quale il salotto della casa, costringendolo ad assistere fino alla fine a forsennati battibecchi. Si assiste così, a dialoghi serrati e a tratti a sedute terapeutiche codificate che mettono a dura prova le forze e la bravura degli attori, costretti a stare per lungo tempo all' impedì o seduti su scomodissime sedie giocattolo, come a sancire la regressione infantile, cui vanno incontro i componenti delle coppie, allorquando sono chiamati ad esibire le proprie convinzioni esistenziali e a tirare fuori gli aspetti peggiori della propria personalità. La scelta dei mobili in miniatura non è altro che la materializzazione del disagio avvertito dai genitori che devono scusarsi. L'avvocato, il papà portato per i capelli dalla consorte in quel posto, un pezzo di Marcantonio, ha fatto molta fatica a raggomitolarsi sul divano e ad accomodarsi sulla sedia, per sorbire il caffè. Ecco, anche le tazze sono bricchettini da caffè, la minuteria creata ad arte, necessita, perché l'ego della coppia danneggiata possa essere soddisfatto. Un oggetto, quale il cellullare dell'avvocato, è stato il quinto personaggio in scena, il trillo quasi ininterrotto li ha più volte gettati l'uno contro l'altro, interrompendo il ritmo degli improperi e dell'azione per caricarli di aggressività. Sicché i personaggi si aggregano, si sgregano, si prendono in giro e nei lemmi amorevoli, pronunciati nel discorso, vi è già traccia di battute che, accenderanno la discussione, di lì a poco.
Una seduta di gruppo, a volte scontata, altre volte irritante e altre volte ancora ironica, iniziata in palcoscenico e finita tra gli spettatori, quando come atto liberatorio il pubblico è scoppiato in un irrefrenabile applauso mentre in scena i protagonisti si sono lanciati di tutto. Ciò non vuol dire che si è applaudito solo per questo, ma nel battere le mani c'è stata anche la liberazione per una situazione conflittuale, caduta addosso allo spettatore, sempre rappresentata ai margini e mai esplosa. Interessanti risultano certe invenzioni sceniche, tra cui il fermo immagine, gli arrivi diversificati dei protagonisti e la scelta di non tergiversare sui comportamenti dei minori.
L'atmosfera claustrofobica, resa ancor più, nella versione cinematografica del 2011 di Roman Polanski, allora agli arresti domiciliari, per l'accusa di stupro, è ripresa, quasi uguale, nella capacità di penetrazione e nella soffocante sensazione che il salotto della casa rimanda. Bravi gli attori: Laura Murari, Simonetta Marini, Michele Vigilante e Dino Tinelli, a caratterizzare le parti, l'avvocato di grido, il marito bonaccione, la moglie isterica e l'altra perfettina, un bel gruppo, quello dell'Impiria di Verona, una buona rappresentazione che si aggiunge alle altre in concorso per la vittoria del settimo Festival Teatro XS.
Maria Serritiello
Piccoli crimini
coniugali” penultimo spettacolo de La Corte dei Folli al Festival Teatro XS di
Salerno
E’ “Piccoli
crimini coniugali” di Eric-Emmanuel Schmitt
il penultimo spettacolo rappresentato al Teatro Genovesi di Salerno, all’interno del Festival Nazionale XS, curato da “La Corte dei Folli” di Fossano Cuneo, per la regia di Marina Morra.
il penultimo spettacolo rappresentato al Teatro Genovesi di Salerno, all’interno del Festival Nazionale XS, curato da “La Corte dei Folli” di Fossano Cuneo, per la regia di Marina Morra.
A
levar di sipario, Gilles e Lisa, i due unici interpreti, si avvitano in un
lungo dialogo, durato 100 minuti, in cui ciò che appare non è e viceversa. Sono
passati quindici anni di unione e la loro storia si è avviata in un quotidiano
stanco, forse perché ripetitivo. Un banale incidente casalingo da parte di
Gilles, con conseguente perdita di memoria, mescola le carte tra i due, per
portare alla luce, rancori, gelosie e fraintendimenti. Il loro battibeccare si
svolge all’interno della casa, rifugio e prigione per tutti e due, ma anche
fosco scenario di misfatti coniugali, sia pure piccoli. Ecco la casa, ovvero la
stanza che si vede in scena, a parte quello che s’immagina, è un interno,
arredato da una poltrona smollata al centro, fastidiosissima per Gilles, ogni
volta che va a sedersi e che troneggia impudica al centro del palco, a destra è
sistemato un divano a due posti che li riceve a volte da soli, altre volte avvitati
ed in procinto di un’unione coniugale. A completare la scenografia messa su da
Cristina Viglietta, oltre che interprete, anche sensibile arredatrice
dell’ambiente, sono un tavolino spartano, una libreria a vista ed uno sgabello
girevole e cigolante. Tutte le pareti sono tappezzate da quadri astratti
di modesta caratura.
girevole e cigolante. Tutte le pareti sono tappezzate da quadri astratti
di modesta caratura.
Nell’intento
di ritrovarsi come coppia, oltre che far acquisire la memoria a Gilles, Lisa
cerca con modi suadenti e collaborativi di aiutare suo marito a ritrovare il
bandolo
della propria identità smarrita, ma nel contempo non trascura di rifiutarsi allo stesso, a testimoniare che problemi irrisolti, navigano sotto
traccia nel loro inconscio. Tra andirivieni di accuse, smentite e colpi di scena si scopre che
l'amnesia di Gilles non c'è mai stata, che Lisa beve
e per questa ragione è affetta da frequenti invasioni
dell’'amigdala, che la rendono particolarmente vulnerabile a crisi
di gelosia acute, con spunti impulsivi e compulsivi. Un bel colpo assestato sulla testa del marito, con una scultura lignea è la ragione della finta perdita di memoria di Gilles. Ma loro due si amano ancora, si passa così da un perdono richiesto ad uno
concesso, in un susseguirsi di colpi di scena.
della propria identità smarrita, ma nel contempo non trascura di rifiutarsi allo stesso, a testimoniare che problemi irrisolti, navigano sotto
traccia nel loro inconscio. Tra andirivieni di accuse, smentite e colpi di scena si scopre che
l'amnesia di Gilles non c'è mai stata, che Lisa beve
e per questa ragione è affetta da frequenti invasioni
dell’'amigdala, che la rendono particolarmente vulnerabile a crisi
di gelosia acute, con spunti impulsivi e compulsivi. Un bel colpo assestato sulla testa del marito, con una scultura lignea è la ragione della finta perdita di memoria di Gilles. Ma loro due si amano ancora, si passa così da un perdono richiesto ad uno
concesso, in un susseguirsi di colpi di scena.
Testo
teatrale intenso e talvolta ridondante, ma moderno ed abbastanza
aderente alla realtà sociale, quella che attualmente ci attraversa. Sapiente la regia di Marina Morra ad utilizzare, per sottolineare momenti salienti, luci soffuse e musica d’atmosfera, come le pregevolissime versioni di “Quizas, Quizas, Quizas, My Funny Valentine e Secret Garden. Quanto ai due interpreti: Cristina Viglietta e Pinuccio Bellone sono stati impeccabili, non una battuata dimenticata, né un avvolgimento di lingua, 100 minuti sparati a raffica e senza interruzione. Una bella prova di memoria e di elegante recitazione. Si è fatto notare, piacevolmente, un affiatamento di coppia che è andato oltre la performance di scena, Lisa e Gill, nella realtà sono marito e moglie ed un bacio sul divano, ad un certo punto, ne ha suggellato lo stato. Bravi anche per questo!
aderente alla realtà sociale, quella che attualmente ci attraversa. Sapiente la regia di Marina Morra ad utilizzare, per sottolineare momenti salienti, luci soffuse e musica d’atmosfera, come le pregevolissime versioni di “Quizas, Quizas, Quizas, My Funny Valentine e Secret Garden. Quanto ai due interpreti: Cristina Viglietta e Pinuccio Bellone sono stati impeccabili, non una battuata dimenticata, né un avvolgimento di lingua, 100 minuti sparati a raffica e senza interruzione. Una bella prova di memoria e di elegante recitazione. Si è fatto notare, piacevolmente, un affiatamento di coppia che è andato oltre la performance di scena, Lisa e Gill, nella realtà sono marito e moglie ed un bacio sul divano, ad un certo punto, ne ha suggellato lo stato. Bravi anche per questo!
Maria
Serritiello
L’ “Alcesti” del Gruppo teatrale “La Betulla ultimo spettacolo in gara al VII° Festival Nazionale Teatro XS di Salerno
Finale col botto, al Teatro Genovesi di Salerno, in occasione
dell' ultima giornata del VII° Festival Nazionale Teatro XS, edizione 2015, con la rappresentazione dell'“Alcesti” o la recita dell'esilio di Giovanni Raboni, per la regia di Bruno Frusca ed il Gruppo Teatrale “La Betulla”: Ester Liberini (Sara), Andrea Albertini (Stefano) e Silvio Lazzaroni (il custode) e Bruno Frusca (Simone).
In una fuga a tre, da un regime totalitario, si ritrovano, in un teatro dismesso e con l'aiuto del custode, il vecchio
Simone, suo figlio Stefano e Sara la moglie di
quest'ultimo. Tutti e tre sono convinti di potersi salvare, ma
non è così, solo Stefano sa che i posti a disposizione sul mezzo che
dovrebbe liberarli sono solamente due. Chi è l'Alcesti di turno? Chi sarà come la mitica eroina della tragedia di Euripide, che sceglie di morire per salvare suo marito Admeto? Per Stefano non ci sono dubbi, dovrebbe sacrificarsi suo padre, avanti con gli anni e senza troppe aspettative. Sara, invece, crede che nessuno debba sacrificarsi, lasciandosi guidare dall'amore per il teatro, che condivide soprattutto con l’anziano Simone.
Ad apertura di sipario, lo spettatore viene, per brevissimo tempo, introdotto in una scenografia, costruita ad arte, arieggiante
l'Ade, dal quale la mitica Alcesti confessa i motivi del suo
sacrificio. Basta poco, però, per capire che la condizione cambia, infatti, a denunciarlo sono gli abiti moderni indossati e le valigie a mano dei tre, ma anche ciò che riempie la scenografia, ad iniziare dalla sinistra del palco, nel quale campeggia una scultura in polistirolo, con vaste bruciature, raffigurante Cristo, mentre sulla destra un'altra, dello stesso materiale, ricorda "la pietà Rondanini" di Michelangelo, al centro, poi, colonne volutamente in bilico o diroccate, segno del degrado nel quale vive il teatro sotto quel regime. Qua e là, inoltre, qualche seggiola, rimediata all’ultimo momento e di modesta fattura, su cui a turno siederanno i tre personaggi. In una simile condizione di abbandono padre, figlio e moglie, devono esprimersi sulla propria scelta, lo fa egregiamente Simone, il bravissimo Bruno Frusca, con l’ineccepibile monologo, in un crescendo di
dolenzìa, fino ad arrivare all'acme, lui sa che la vita, alla sua età, non vale la pena viverla, ma non per questo vuole rinunciarvi, anzi e
sceglie di non morire. Con una recitazione nervosa, avvitata e risentita, invece, Stefano, Andrea Albertini, non accetta la condanna a morte di sua moglie. Dal suo canto, la donna, Ester Liverino, pendolo in bilico tra padre e figlio, per quanto tragica sia la sua figura, comunica e sparge, con una limpida recitazione, tranquillità e pensieri positivi, al punto tale da abbondonare la scena quasi inosservata. Il teatro per lei è la sola ragione di vita e per esso è disposta al sacrificio estremo. Il finale dell’originale scrittura di Giovanni Raboni mutuata dalla ben più famosa Alcesti di Euripide, non sarà una sorpresa e sebbene sia rappresentata in tempi moderni, si concluderà come l’antica tragedia.
La compagnia de “La Betulla”, presente per terza volta al Festival Teatro XS di Salerno, è una vecchia conoscenza, molto apprezzata dal competente pubblico del Genovesi e dalla giuria del festival, per le produzioni di spessore nelle quali si cimenta, ogni volta, basta ricordare "Il Visitatore" di Eric Emmanuel Schmitte e "Copenaghen" di Michael Frayn, per capire che anche l' “ Alcesti” di Giovanni Raboni, non deluderà le aspettative.
La rappresentazione, si consuma con poca musica che pur avrebbe animato la scena, al posto del sinistro sferragliare di chiavi, ad ogni apparizione del custode, messo di notizie. Della bravura degli attori, tutti di consumata esperienza, non si discute, anzi un plauso in più va a Bruno Frusca, per la bella prova, senza trascurare gli altri per la precisa e puntuale interpretazione, ma del testo di Raboni, si. La scrittura molto letteraria evidenzia nella prima parte, assenza o quasi di motivazioni, gli attori sono inchiodati in scena, in dialoghi farraginosi, le emozioni latitano e il ritmo dello spettacolo non lievita, anzi si mantiene stagnante per lunghi tratti, solo quando la scelta incalza, la scena si anima e le emozioni non mancano. Così il dramma si consuma, Sara, sempre più simile ad Alcesti, si allontana inosservata, mentre padre e figlio ancora si arruffano in discorsi egoistici. Si comprende bene che Stefano ha un conflitto irrisolto col genitore e quest'ultimo rivendica tutto per se’ un sentimento innaturale, quello di sopravvivere al figlio. Tutto si è compiuto, padre, figlio e moglie si sono rivelati per quello che sono, con le loro debolezze, i loro sentimenti, i loro egoismi, ma in aiuto accorre la “pietàs” di Raboni, sicché la tragedia si avvia ad un finale più giusto. Come l'Alcesti di Euripide si salva ad opera di Eracle, così Sara-Alcesti di Raboni, lo sarà altrettanto, ma ad una sola condizione: che i superstiti non indaghino sul personaggio femminile che li precede.
La conclusione è ancora una volta dall' Ade, per cui torna in scena l'antica Alcesti ad immortalare la partenza dei propri cari, sofferenti nel corpo e nello spirito, dolenzia che ricorda, molto da vicino, in quel loro piegarsi verso la libertà, la tela di Boccioni dal titolo “Quelli che partono"
Maria Serritiello
Al Festival Nazionale “Teatro XS” città di Salerno vince lo spettacolo “Piccoli crimini coniugali” de La Corte dei folli di Fossano (CN)
15 Maggio 2015
Che il Festival Nazionale "Teatro XS" città di Salerno fosse altra cosa dalle kermesse teatrali, spalmate in tutt'Italia, non vi erano dubbi, ma se ne avuta certezza, del successo pieno di questa settima edizione, dall'indice di gradimento del pubblico, 900 spettatori ruotanti nel complesso. Grazie ad un lavoro preparatorio da parte della Compagnia dell'Eclissi, per tutti questi anni passati, la settima edizione si è connotata particolarmente, anche per la qualità buona dei testi e per l'eccellenza delle compagnie ospitate. Ma il Festival Teatro XS è anche altro e cioè: clima di attesa che accompagna ogni inizio, voglia di esserci ad ogni spettacolo, rammarico, invece, per averne saltato qualcuno, atmosfera affettuosamente amicale, tra i presenti, unitamente al desiderio di discutere ogni pezzo, per poi votare, la novità di quest'anno, ed ancora la melanconia nostalgica del tutto finito, ma anche allegria festosa del buffet, con gli attori ospiti, a fine serata. Del Festival teatro XS Città di Salerno si è accorto anche Trenitalia che alla pag 64 ne dà notizia e ciò non può non fare che piacere, riempendo di orgoglio quanti si adoperano per la buona riuscita di esso. E così come da tradizione, anche la serata conclusiva del 10 maggio scorso, ci è stata porta con grazia soave, eleganza e sorriso dolcissimo da Concita De Luca, presentatrice ufficiale di ogni serata ultima del Festival, la cui voce, pasta di zucchero, assieme a quella affaticata e felice di Vincenzo Tota, hanno rivelato i vincitori della settima edizione del Festival Teatro XS.
Tutti, per aver portato a Salerno il meglio del teatro amatoriale, avrebbero meritato di vincere, non fosse altro per la fatica, l'impegno e la passione profusi, ma la gara ha le sue regole per cui, questi i risultati:
Vince il VII Festival Nazionale di Teatro XS Città di Salerno – Edizione 2015 lo spettacolo" Piccoli crimini coniugali" di Éric- Emmanuel Schmitt rappresentato dalla Compagnia La Corte dei Folli di Fossano (CN).
Premio per la migliore regia a Gino Brusco per L'ultima vittoria di Luigi Lunari rappresentato dalla Compagnia I Cattivi di Cuore di Imperia.
Premio per il migliore attore a Pinuccio Bellone, per l'interpretazione di Gilles in Piccoli crimini coniugali di Éric- Emmanuel Schmitt, rappresentato dalla Compagnia La Corte dei Folli di Fossano (CN).
Premio per la migliore attrice ad Assunta Radogna per l'interpretazione di Antonia in Coppia aperta, quasi spalancata di Dario Fo e Franca Rame, rappresentato dalla Compagnia Si riprende a volare di Manfredonia (FG)
Ex equo a Simonetta Marini per l'interpretazione di Margherita in Molto piacere liberamente tratto dal film Carnage di Roman PolanskiTutti, per aver portato a Salerno il meglio del teatro amatoriale, avrebbero meritato di vincere, non fosse altro per la fatica, l'impegno e la passione profusi, ma la gara ha le sue regole per cui, questi i risultati:
Vince il VII Festival Nazionale di Teatro XS Città di Salerno – Edizione 2015 lo spettacolo" Piccoli crimini coniugali" di Éric- Emmanuel Schmitt rappresentato dalla Compagnia La Corte dei Folli di Fossano (CN).
Premio per la migliore regia a Gino Brusco per L'ultima vittoria di Luigi Lunari rappresentato dalla Compagnia I Cattivi di Cuore di Imperia.
Premio per il migliore attore a Pinuccio Bellone, per l'interpretazione di Gilles in Piccoli crimini coniugali di Éric- Emmanuel Schmitt, rappresentato dalla Compagnia La Corte dei Folli di Fossano (CN).
Premio per la migliore attrice ad Assunta Radogna per l'interpretazione di Antonia in Coppia aperta, quasi spalancata di Dario Fo e Franca Rame, rappresentato dalla Compagnia Si riprende a volare di Manfredonia (FG)
rappresentato dalla Compagnia Teatro Impiria di Verona
La Giuria tecnica conferisce una speciale menzione di merito a Bruno Frusca interprete del ruolo di Simone in Alcesti o la recita dell'esilio di Giovanni Raboni, messo in scena dalla Compagnia teatrale La Betulla di Nave (BS).
Premio speciale della Giuria tecnica allo spettacolo Molto Piacere
il Premio della Giuria dei Giovani Molto Piacere liberamente tratto dal film Carnage di Roman Polanski per la regia di Andrea Castelletti rappresentato dalla Compagnia Impiria di Verona
Graduatoria PREMIO DEL PUBBLICO
LA TERRA SMOSSA – LASMORFIA TEATRO (GRAVINA IN PUGLIA, BA)
La Morsa. Epilogo in un atto
di Luigi Pirandello - regia di Gianni Ricciardelli
7,11
GRUPPO TEATRALE LA BETULLA (NAVE, BS)
Alcesti o la recita dell'esilio
di Giovanni Raboni - regia di Bruno Frusca
8,03
COMPAGNIA SI RIPRENDE A VOLARE (MANFREDONIA, FG)
Coppia aperta... quasi spalancata
di Franca Rame e Dario Fo - regia di Assunta Radogna
8,49
I CATTIVI DI CUORE (IMPERIA)
L'ultima vittoria
di Luigi Lunari - regia di Gino Brusco
8,64
TEATRO IMPIRIA (VERONA)
Molto piacere
liberamente tratto dal film Carnage di Roman Polanski
regia di Andrea Castelletti
8,75
LA CORTE DEI FOLLI (FOSSANO, CN)
Piccoli crimini coniugali
di Éric Emmanuel Schmitt - regia di Marina Morra
9,01
Maria Serritiello
La Compagnia dell’Eclissi con il “Dolore sotto chiave” chiude la rassegna nazionale Festival Teatro XS Salerno
18 Maggio 2015
Ecco, lo spettacolo che, ad ogni fine Festival Teatro XS Salerno, la Compagnia dell'Eclissi mette in scena, oltre ad essere la raffinata prova teatrale, per il pubblico è un vero e proprio dono. Così il 10 maggio scorso! "Dolore sotto chiave" di Eduardo De Filippo, una chicca poco rappresentata, è stata scelta felicemente dalla Compagnia dell'Eclissi per un'ulteriore celebrazione, dopo "L'arte della commedia" del trentennale della morte del grande drammaturgo italiano. 45 minuti di spettacolo, in cui tutto intorno è sparito per cedere il posto a loro, ai due personaggi di rilievo, Lucia e Rocco, ma anche agli altri due di rincalzo, i vicini-amici. Si apprende, così, che Lucia ha tenuto nascosto a Rocco, in viaggio per lavoro, la morte della moglie. Lui, intanto, per dare vita ad un'esistenza grigia si è nel frattempo innamorato di un'altra, da cui aspetta anche un bambino. Quando Rocco scopre le bugie della sorella e cioè che era vedovo, ma cinicamente libero da tempo, le si scaglia contro, accusandola di avergli negato e il naturale e dovuto cordoglio e la possibilità di un'esistenza diversa accanto alla donna che ama. Dolore sotto chiave nacque come radiodramma nel 1958 e fu portato in scena, tra il 1964 e il 1966, da Franco Parenti e Regina Bianchi, avendo Eduardo rinunciato al ruolo di protagonista. Stranamente, Eduardo non interpretò mai il ruolo di protagonista di questa commedia.
Due mostri sacri in scena, Vincenzo Tota e Marianna Esposito, la cui bravura va oltre ogni possibile apprezzamento. Perfetta la caratterizzazione di Lei, restituita da una mimica facciale di mobilità unica, per cui recitare con il volto, oltre che con la voce, è stato un suo pregio precipuo. Di contra la foga, la passione, la rabbia, il carattere, le pause ed il malinconico ripensare, tutto per la definizione del personaggio, nella recitazione di Enzo Tota. Che dire di Lui, se non riconoscergli, appunto, la "passione" per ogni personaggio che interpreta, li rende unici e per questo ricordevoli. Bravo Marcello Andria, il regista di questi curati capolavori che mette in scena, così "Dolore sotto chiave", con una precisa regolarità, senza sbagliarne alcuno, con la modestia e la semplicità di chi sa il teatro e lo ama. Un jolly, merito della suo eclettismo nel caratterizzare ogni personaggio affidatogli, è Felice Avella, entra ed esce da ogni personaggio con estrema facilità e professionalità ed anche questa volta la sua performance ha lasciato il segno. Altra figura di rilievo della rappresentazione è stata Angela Guerra, inappuntabile nei suoi vestiti di scena e perfetta nella recitazione, quasi una sottolineatura alle parole. Qualunque sua apparizione è lodevole, tanto che se ne ricorda ogni caratterizzazione. La scena scarna, solo una tavola imbandita, è attraversata da poca luce e dal suono di un mandolino che ne esalta la mestizia, il dolore sotto chiave, per l'appunto.
Due mostri sacri in scena, Vincenzo Tota e Marianna Esposito, la cui bravura va oltre ogni possibile apprezzamento. Perfetta la caratterizzazione di Lei, restituita da una mimica facciale di mobilità unica, per cui recitare con il volto, oltre che con la voce, è stato un suo pregio precipuo. Di contra la foga, la passione, la rabbia, il carattere, le pause ed il malinconico ripensare, tutto per la definizione del personaggio, nella recitazione di Enzo Tota. Che dire di Lui, se non riconoscergli, appunto, la "passione" per ogni personaggio che interpreta, li rende unici e per questo ricordevoli. Bravo Marcello Andria, il regista di questi curati capolavori che mette in scena, così "Dolore sotto chiave", con una precisa regolarità, senza sbagliarne alcuno, con la modestia e la semplicità di chi sa il teatro e lo ama. Un jolly, merito della suo eclettismo nel caratterizzare ogni personaggio affidatogli, è Felice Avella, entra ed esce da ogni personaggio con estrema facilità e professionalità ed anche questa volta la sua performance ha lasciato il segno. Altra figura di rilievo della rappresentazione è stata Angela Guerra, inappuntabile nei suoi vestiti di scena e perfetta nella recitazione, quasi una sottolineatura alle parole. Qualunque sua apparizione è lodevole, tanto che se ne ricorda ogni caratterizzazione. La scena scarna, solo una tavola imbandita, è attraversata da poca luce e dal suono di un mandolino che ne esalta la mestizia, il dolore sotto chiave, per l'appunto.
Maria Serritiello
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