di Maria Serritiello
Caro Ninì,
tutto per una banale
caduta in casa, ci abbandoni.
Senza una parola, uno
sguardo, una rassicurazione, una promessa per rasserenarci. In silenzio e privo
di conoscenza, ti sei avviato senza voltarti indietro, come per raggiungere una
meta. Eppure ti ho conosciuto, tanti anni fa, ma mai abbastanza, soccorrevole,
amichevole, presente nella vita di chi, al di fuori della tua famiglia, volevi
bene.
Io, tra questi e tu come
un buon fratello, un caro amico, un allegro compagno di svaghi e più̀ di un
disponibile parente. Una mano protesa, con slancio ogni volta, per cui, ora, mi
è difficile trovare le parole giuste per esprimere quanto fossi speciale e che
qualità pregiata di gentiluomo e signore d’altro stampo, tu fossi.
La nostra amicizia è durata
quasi 50 anni, un viaggio lungo, ricco di esperienze, di giornate trascorse, di
racconti e avvenimenti della vita condivisi. La tua gioventù dorata, quale
signore di Mottola, ti era restata attaccata come una seconda pelle e la Puglia
dei tuoi natali, viva ma non invasiva, nella parlata dialettale, tipica
l’espressione quando ti salutavo “Adda’ sci” o quando volevi insegnarmi la
pronuncia corretta di Acqua sale”. Uomo, un nobil uomo, di vasta cultura e di
sensibilità acuita verso l’estetica ed il bello. Amavi la musica classica,
quella ascoltata nell’atrio del duomo di Salerno, o dalla terrazza immensa di
Ravello od anche dai tuoi sofisticati mezzi acustici di casa. Il tuo studio un
sacrario, arredato con libri antichi e foto della tua famiglia di origine e
lasciata a Taranto, a tenerti compagnia. La lettura, un hobby, dei tuoi, che ci ha
permesso di scambiarci analisi e considerazioni, a volte anche in opposizione, su
quanto andavamo leggendo. Ogni conversazione con te era un'opportunità per
imparare o esplorare qualcosa di nuovo, per condividere risate e
spensieratezza. Un uomo completo come marito, Iole, la tua compagna di una intera
vita, piange la tua assenza, senza nessun conforto ed è stretta dall’abbraccio
dei tuoi diletti figli, Tommaso e Checco, due uomini buoni che si apprestano a
vivere la loro esistenza, senza avere le spalle coperte dalla tua forza
discreta. I giovani nipoti, Everton e Wellington, ora a guardare il futuro con
l’esempio della tua professionalità e l’integrità esemplare.
Per tutti di famiglia eri
considerato “Il Gattopardo”, dal bonario sfottò che ti eri guadagnato da me,
nel pretendere da Iole, oltre a tanto altro, l’accuratezza del mettere la
tavola. Col tempo abbiamo sommato tanti di quei lemmi, per richiamare alla
mente episodi divertenti, ma anche no, di quelli trascorsi insieme. Eccoti una
sintesi e nel citarli, tutta la nostra vita avvolge il nastro.
“lo scrittoio leopardiano”,
Il vino di Locorotondo, Le cene al castello (dove il castello era la mia casa
fuori città), Le feste in costume a ferragosto, Gli anni estivi al Lido
Olivieri, giovanili, divertenti e spensierati, I compleanni, Gli onomastici e
le ricorrenze ricordevoli. La visita a Foggia
e la mia ricerca puntuta di trovare un luogo alto nel tavoliere delle Puglie.
Lo so, stai ridendo tutt’ora.
E poi il tuo andare
generoso, avanti e indietro dall’ospedale, per portarmi frutta fresca nella
calura estiva, alleviando la mia malattia, le discussioni articolate, seduti al
fresco nell’aia di Emma, ribattezzato l’Ozio Di San Casciano, consumato tra il
frinire delle cicale e l’albero secolare che gettava ombra nell’ acqua tersa
della piscina. Le mie poesie, che devono a te la luce, accompagnate da un tuo
colorito apprezzamento “Ma lo sai che sono belle ste c...di poesie!!
Così Ninì, mi lasci, ci
lasci, un patrimonio di affettiva eredità, raccolto nei tanti anni distesi
dinanzi a noi e poco importa se te ne sei andato da un’altra parte, io
continuerò a chiederti testarda: “Come stai, oggi? E tu a rispondermi: “Botti,
Botti”, per rassicurarmi ancora.
Maria Serritiello