Fonte: www.lapilli.eu
di Maria Serritiello
Non sono bastate le due
repliche del 23 e del 25 gennaio,
con un tutto esaurito, eh sì che al Teatro delle Arti, 600 sono le poltroncine
blue, sicché per accontentare gli spettatori restati fuori, l’8 marzo si è tenuta la terza replica.
Un successo clamoroso ed un unanime consenso per “Festa di Montevergine” di Raffele Viviani, messo su dalla compagnia di Teatro Novanta, direttore artistico Serena
Stella che insieme all’attore napoletano Lucio Pierri sono stati i protagonisti dello spettacolo- evento.
L’impianto corale della rappresentazione è stato perfetto, in scena 40 gli
attori- cantanti e 60 i giovani allievi dell’Accademia
dello Spettacolo e del Musical di Baronissi, la regia impeccabile è di Matteo Salzano, lui stesso attore,
all’interno dello spettacolo, infine una lode particolare va alla scenografia
della Bottega San Lazzaro che ha
saputo ricreare, con una sola scena, mossa opportunamente, il sacro ed il
profano della festa.
Ad iniziare, per creare
l’atmosfera della “Juta” così detta in
dialetto, alla Madonna Schiavona, perché nera, i 60 allievi tutti di bianco
vestiti, simbolo della purezza, si dispongono ai lati del sottopalco ed elevano
un canto mistico.
La festa di Montevergine
ha antiche origini pagane e si tiene due volte all’anno, il giorno della
candelora ed il 12 settembre. Negli anni ’50 ed anche prima era molto
frequentata la salita a piedi al Santuario, per espiare le possibili colpe ed
arrivare puri dalla Madonna per chiedere grazie e misericordia. Ricordo (N.D.R)
che si organizzavano autentiche sfilate di carri, trainati dagli asini
apparecchiati a festa, dai più svariati colori di carta e di prodotti della
terra, uva, arance, fichi, finocchi ed intrecci di castagne secche, dette del
prete, ma anche cesti di cibi, tarallucci e vino che sarebbero serviti per
l’intera giornata trascorsa fuori. Sul carro, così addobbato, prendevano posto
interi gruppi di famiglia ed amici, vociando canzoni tutte in dialetto,
appositamente composte, accompagnate da tammorre, castagnole ed organetto. “Simme jute e simme venute e quanti grazie
c’avimme avuto…”
Eseguito il canto, ha
inizio sul palco, in due atti, ciò che Viviani ha voluto scrivere un testo, il più
popolare possibile. Il sacro mescolato al profano è una caratteristica
meridionale, le preghiere vengono recitate tra canti e balli, tutto usuale e
senza meraviglia, sicché, la festa di Montevergine, presentata al Teatro delle
Arti è stato un tourbillon di personaggi che si sono alternati sulla scena con canti a figliola, preghiere,
suonate di tammorra e fisarmonica, che lasciano immaginare la dura salita,
alleviata dai canti. Arrivano in tanti, in processione, stendardi ed un vero
asino che entra dalla porta laterale per fare il giro tra il pubblico,
cavalcato con destrezza da un pellegrino, venuto da Nola con il seguito dei
devoti. Tra i personaggi che intessano la trama ne citiamo alcuni: O’Turrunaro, O’Sanguettaro, A Maesta, O’
Maccarunaro, O’ Vrennaiole, A Farenara, Ciro Capano, Don Matteo Attunnaro. La
storia, ridotta in due atti dei tre originali, gira intorno a persone di fede
che entrano nel Santuario per chiedere grazie, mentre fuori dei benestanti
consumano caffè, giocano a carte e ordinano il pranzo. Presto, però, s’intuisce
che non tira buon’aria tra Don Matteo, follemente innamorato e ricambiato,
naturalmente di nascosto, dalla moglie di Don Ciro Capano e lo stesso. Per
troncare il mormorio della gente, Don Ciro chiede spiegazioni a Don Raffele sul
“si dice” della possibile tresca, l’incontro potrebbe finire anche in un
solenne “paliatone” tra i due. La moglie del Sanguettaro, in tutto ciò,
impiccia e scioglie i nodi delle accuse, con una facilità a non farsi i fatti
suoi. La lite si aggiusta nel finale, come sempre succede nel modo ipocrita
borghese, le coppie si ricongiungono, mangiano finalmente il pranzo ordinato e
tra Don Ciro e Don Matteo, tra pacche sulle spalle, continueranno a fare affari
tra di loro.
Uno spettacolo d’insieme
eccezionale, la mole di lavoro preparatorio sarà stato faticosissimo ma lo
staff impiegato ha fatto il miracolo della inappuntabile coralità. E’ d’obbligo
citare la bravura di tutti i partecipanti ma un plauso particolare va a Serena Stella, che onora la tradizione
di famiglia, Gaetano Stella, perfetto
in ogni personaggio che interpreta, unitamente all’indiscussa bravura di sua
moglie Elena Parmense. Una famiglia
che ha saputo fare del teatro il centro della propria vita e regalarci, ogni
volta, spettacoli di gran pregio, inseriti nella rassegna annuale “Te voglio bene assaje”. Lo spettacolo si è arricchito per la
presenza di Matteo Salzano e di Chiara
De Vita. Un grazie sentito va al Direttore organizzativo di Teatro Novanta,
Alessandro Caiazza, per
l’organizzazione delle giuste repliche.
Maria Serritiello
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