di Maria Serritiello
Invariabilmente mio padre
alle 6 del mattino, nonostante la scuola fosse finita da 4 giorni, per le
vacanze estive, portandomi il caffè a letto, (grazie!) mi chiedeva a mo’ di
professore, in questo giorno, il 4 luglio, sperando che sbagliassi la risposta.
“Mariosi,( nomignolo affettivo), sai che
giorno è oggi?” “Certo che lo so, è l’anniversario del tuo matrimonio” gli
rispondevo pronta, e prima che potessi capire se avesse preferito che lo
dimenticassi, per attaccare un rimprovero o era contento di avere una figlia
attenta alle le sue date, mi rispondeva con melanconica dolcezza di chi non aveva visto invecchiare il suo amore della la vita dicendomi “Com’era bellina tua madre, un fiorellin del prato, quel giorno a Fiume
del 1943”. E allontanandosi dalla mia stanza, cominciava a cantare la
canzone che gliela ricordava.”…”Fiorellin del prato/, messager d’amore/ bacia la bocca che non ho mai baciato/ fiorellin del prato/non mi dir di no La
pudicizia di allora non si scostava dalla canzone di Panzeri e Mascheroni. Mio
padre, per raggiungere mia madre, che dopo essere nata a Casalnuovo di Napoli, si era trasferita con la sua famiglia a Fiume, attraversava tutta la penisola
con una tradotta, che impiegava tre giorni per raggiungere i confini di allora,
come si studiava dal sussidiario. L’Italia va dal colle di Cadibona, fino alla
città di Fiume, recitavamo per l’interrogazione di geografia. Ora si chiama
Rijeka, non si parla più l’italiano, solo qualche nostalgica persona anziana e
non appartiene più all’Italia di cui fece parte: Regno d'Italia
dal 1924
al 1945, per poi passare alla Jugoslavia
nel 1947
con il maresciallo Tito e quindi dal 1991
alla Croazia.
Mi raccontava, e io mi divertivo un sacco, che dopo essere arrivato fin là, per godersi la vicinanza dell'amata, raccolti in salotto, sul divano imbottito e ricoperto con stoffa operata verde, in mezzo a loro piombava Lulù, il cane non di razza, amatissimo da mia madre, che mal sopportava la sua vicinanza alla sua padrona, scelta come tale, anche se la famiglia si assommava a 10 persone. Ringhiava ed abbaiava e non c'era verso di ammansirlo. Credo, senza tema di sbagliare che il suo odio per i cani venga da lì e per tutto il tempo che è vissuto, il mio primo cane Lolita, una bastardina molto simile a Lulù, vissuto 18 anni, dopo aver superato la guerra ed il trasferimento a Salerno dei miei nonni, zii e cugini, come profughi giuliani, l'ha sempre chiamata con noncuranza "A cana".
Mi raccontava, e io mi divertivo un sacco, che dopo essere arrivato fin là, per godersi la vicinanza dell'amata, raccolti in salotto, sul divano imbottito e ricoperto con stoffa operata verde, in mezzo a loro piombava Lulù, il cane non di razza, amatissimo da mia madre, che mal sopportava la sua vicinanza alla sua padrona, scelta come tale, anche se la famiglia si assommava a 10 persone. Ringhiava ed abbaiava e non c'era verso di ammansirlo. Credo, senza tema di sbagliare che il suo odio per i cani venga da lì e per tutto il tempo che è vissuto, il mio primo cane Lolita, una bastardina molto simile a Lulù, vissuto 18 anni, dopo aver superato la guerra ed il trasferimento a Salerno dei miei nonni, zii e cugini, come profughi giuliani, l'ha sempre chiamata con noncuranza "A cana".
Tutta la mia famiglia, da
parte di madre, siamo restati legati alla città di Fiume. Io ci sono stata
varie volte ed è come me la descriveva mia madre, bella, mitteleuropea, vivace,
effervescente sia nell'ora dell’aperitivo che al tramonto. Sono felice quando mi
reco a Fiume, visito il Duomo dove si è sposata, cerco dove abitava, la Via Mameli, vado dove
andava a passeggiare, con nonna Carmela, nonno Alfredo, ma da tutti chiamato
Luigi, e mio padre, ad Abbazia, ora Opatija. Vado, ogni volta, a respirare la
felicità di mia madre, la sua giovinezza e la sua allegria degli anni più belli
vissuti, eppure era 1943 e c’era la guerra!
I miei genitori se ne sono accorti quando al ritorno da Fiume per Salerno, durante il
viaggio di nozze: Venezia, Firenze, Rimini, giunsero a Napoli, linee
interrotte, nessun mezzo per arrivare a Salerno. Mia madre aveva i tacchi ed
indossava l’abito da viaggio, era una bella e giovane signora elegante, mi
raccontava mio padre, che non potendone più dei tacchi alti che le impedivano la
camminata, si tolse le scarpe e calzò, tirandole fuori dalla valigia, un paio di
pantofoline comode di colore rosa, adorne di piume, come usava allora, (come le somiglio,
i tacchi mi hanno sempre impicciata, oltre ai vestiti stretti!) Mio padre
continuava il racconto dicendo che per fortuna trovarono una macchina, una
berlina con lo staffone esteriore, che doveva raggiungere Vietri sul Mare, ma
non avevano posto, la macchina era già al completo. Fu forse la delusione della
giovane sposa o forse l’insistenza di mio padre che si decise, chiedendo il
permesso allo sposo , che mia madre viaggiasse seduta sulle ginocchia di uno
dei viaggiatori e mio padre all'esterno, sullo staffone della berlina, non certo un viaggio comodo per entrambi, ma come avrebbe detto lui, ricordando la parlata dei suoi trent'anni passati, in seguito, a Firenze, come tecnico specializzato per macchine industriali della ditta Enrico Longinotti " Stai a guardare il capello". Arrivati a Vietri, intravidero una Salerno deserta e devastata dalla guerra, lo sbarco sulle
coste, l' Operazione Avalanche, l’aveva messa a dura prova. Ai giovani sposini
toccò, arrivare a piedi in via Nizza, nei pressi dello stadio Vestuti, ma il
palazzo Serritiello, dove vivevano tutti i fratelli di nonno Francesco, con la
sua e le rispettive famiglie, era vuoto e bombardato. Nonna Maria e, Nonno
Francesco e gli altri del clan erano sfollati a Brignano, per cui la marcia
continuò. Quando arrivarono, furono accolti con gioiosa festosità, in effetti mio padre era
andato da solo a sposarsi a Fiume, nessuno dei parenti riuscì mai ad arrivare
per la funzione, l’Italia era divisa in due. Sicché tra spari bombardamenti,
mine, fucilate e tedeschi in ritirata, la nonna Maria, le figlie Modesta e
Rosaria, i fratelli Mario ed Antonio, gli altri due Alberto e Giuseppe erano al
fronte, con tutte le zie e cugine,
avevano preparato la stanza degli sposi, con qualche leccornia che avevano
rimediato, non so come. Ricordo le parole di mia zia Rosaria, della cugina Lucia, di tutte le
giovanette della famiglia e del vicinato, tra cui: Ninina e Melina, sfollate a Brignano,
appena m’incontravano mi dicevano “ Quando
tua madre si svegliò il giorno dopo, indossando la vestaglia lucida di raso
celeste a fiori rosa, uguali allo stemma del
giglio fiorentino e le pantofole piumate, a noi tutte sembrò una fata. Che visione avemmo, in mezzo
al buio della guerra.”
Mio padre perse l’amore
della sua vita il 7 agosto 1961, troppo presto e da quella volta fino alla sua
morte, nel 2004 non vi è stato giorno in cui non sia andato al cimitero. Mia
madre Bianca è stata molto amata. Mio padre non si è mai più risposato,
rimanendole fedele.
Una bella storia da
raccontare in questo giorno, per ricordarla ai miei tre nipoti, ora che il
padre non c’è più.
Maria Serritiello
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